Siamo arrivati alla fine dell’anno ed è normale guardarsi indietro, cercare nella mente i momenti che più hanno colpito, quelli di ricordare.
In una stagione come questa, però, è difficile non lasciare da parte quello che è stato l’aspetto sportivo e pensare a chi non c’è più e non fa più parte delle foto che scarichi, dei racconti di gara e delle vicissitudini che si raccontano di questo mondo. Charlie Whiting, Niki Lauda ed Anthoine Hubert hanno lasciato, ognuno a modo loro, un vuoto inaspettato.
Lo storico direttore di gara ci ha lasciati nel sonno alla vigilia della gara inaugurale della stagione, a Melbourne. Un primo colpo basso all’entusiasmo che avvolge il Circus all’inizio delle ostilità dopo un inverno di motori spenti. Whiting era personalità rispettata ed apprezzata all’interno del Paddock e la sua improvvisa dipartita ha preso tutti talmente alla sprovvista che la FIA ha ravvisato la necessità, a partire dalle stagioni prossime, di nominare un vice direttore di gara ufficiale in caso di assenza del primo in carica, attualmente Michael Masi.
Su Niki Lauda non c’è molto da aggiungere. Personaggio leggendario, scomparso dopo problemi che si sono susseguiti per mesi. Sembrava invincibile, il caro vecchio Niki. La sua fama, le sue battaglie, i suoi miracoli sportivi ed umani precedevano il suo cappello rosso d’ordinanza, il suo volto segnato dal rogo del Nurburgring ed i tre titoli iridati. Uomo schietto, a costo di essere criticato. Spesso la grandezza di un personaggio si “scopre” quando non è più con noi ma nel suo caso, al di là delle frecciatine e delle dichiarazioni a volte oltre le righe, la sua sola presenza parlava da sé. La sua è una grande perdita, per tutti.
Anthoine Hubert era un ragazzino al loro cospetto: la sua scomparsa, così violenta, mi ha dato da pensare per giorni. Sono anni che assisto alla morte in pista. Non mi abituerò mai. Tralasciando la solita abitudine di dare risalto al Motorsport solo quando avvengono eventi del genere, atteggiamento che parla per sé, ogni volta che queste tragedie fissano la loro X sul calendario ci si rende conto che si può fare sempre qualcosa di più sul fronte della sicurezza. Capisco, pur non condividendolo, il punto di vista di chi accetta la morte come logica conseguenza di uno sport pericoloso. Ho, dopo anni di esperienza, la fortuna di poter parlare con dei piloti e con persone a loro vicine. È confrontandosi con loro che si capisce quanto temano ogni volta che il loro caro sale in auto. A volte puoi leggere la paura nei loro occhi. Credo che chi corre sia cosciente di quello che rischia e sia il primo ad accettare la possibilità di un incidente. Ma questo, almeno per quanto mi riguarda, non giustifica il fermarsi con la ricerca di soluzioni che possano mitigare gli effetti di un evento inaspettato. Come abbiamo visto più e più volte, il rischio non sarà mai cancellato. Ogni volta succederà qualcosa di non previsto che farà puntare il dito su un aspetto non considerato a sufficienza. Quindi no, non bisogna fermarsi proprio nel rispetto di chi ci ha lasciati, soprattutto se così giovane e con una vita ancora davanti.
Lo sguardo va quindi al 2020, com’è giusto che sia. Senza dimenticare però chi c’è stato e, in qualche modo, resterà sempre.
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