Brembo

Voglia di silenzio

di Alessandro Secchi
alexsecchi83 alexsecchi83
Pubblicato il 28 Dicembre 2019 - 22:53
Tempo di lettura: 2 minuti
ARTICOLO DI ARCHIVIO
Voglia di silenzio
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Il lungo pellegrinaggio del web è già iniziato. Il 29 dicembre non è una semplice data nel calendario per chi mastica pane e motori ma è il simbolo della beffa, di un destino che ti chiedi se possa esistere o meno se è capace di accanirsi così tanto e in così pochi istanti, dopo una vita passata a 300 all’ora.

È una giornata che si trasforma in un continuo ricordo: immagini, video, citazioni. Le foto di Méribel, i servizi riproposti, la neve, le rocce, lo Schumi invincibile e quello di cui non si sa più nulla, i tifosi assiepati a Grenoble, il compleanno e via così. Un insieme che si ripete ciclicamente, anno dopo anno, come se fosse un mantra, un modo per stemperare, mitigare il peso di un’assenza della quale, a volte, si fa fatica a rendersi conto tanto è stata improvvisa, tanto è incomprensibile.

La vita è anche questo: rischiarla per trent’anni, nei quali puoi morire ad ogni curva di un qualsiasi tracciato e poi cadere nel più insulso dei tranelli ed uscire di scena lasciando di te un ricordo, una speranza, l’appigliarsi a qualche parola alla quale dare il significato che spesso si vuole per autoconvincersi, più che quello reale.

Sono passati sei anni da quel giorno e questa volta mi piacerebbe solo sentire, leggere, vedere del fragoroso silenzio. Come se nulla fosse successo, come se fosse una giornata di pausa lavorativa come un’altra, come se il calendario saltasse dal 28 al 30 dicembre facendo finta di nulla, senza guardarsi alle spalle.

Resta questa immagine. Perché noi siamo qui a ricordare e riempire il web di parole, magari anche a sproposito, sul grande Michael Schumacher, ma pur sempre da semplici estranei.

È nell’immedesimarsi in questo sguardo che vengono brividi non replicabili: quelli di chi deve sopportare un doppio peso, quello del cognome e quello dell’assenza. Solo lui può conoscerlo: con tutto l’orgoglio del mondo nel poterlo chiamare, ormai occhi dritti alla camera, “Papà”.


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