Vie di fuga, Track Limits e dissuasori: un problema da risolvere per sicurezza ed equità sportiva

Motorsport
Tempo di lettura: 9 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
18 Luglio 2022 - 20:15
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Quello dei Track Limits è un problema che affligge da anni il Motorsport dalla F1 in poi e che, ancora oggi, non ha trovato una soluzione sicura sotto tutti gli aspetti.

La progressiva espansione delle vie di fuga in asfalto negli ultimi vent’anni e la contemporanea necessità di porre un limite all’esuberanza dei piloti, spinti ad andare oltre il limite sapendo di non perdere tempo in caso di divagazioni oltre i cordoli esterni, hanno portato a soluzioni varie per cercare di arginare il problema dei Track Limits e porre tutti sullo stesso piano sportivo.

Tappetini sintetici, review “ad occhio”, sensori annegati nell’asfalto, cordoli di diverso tipo e dissuasori all’esterno di questi si sono alternati nel corso degli anni senza, però, chiudere una volta per tutte la questione.

Proprio su dissuasori, “salsicciotti” o rialzi in genere si stanno – finalmente – concentrando le critiche delle ultime settimane, con il Motorsport che a 360° – sia a due che a quattro ruote – ha recepito l’inutile pericolosità di questa soluzione. Non solo F1 e monoposto, infatti, hanno e hanno avuto a che fare con incidenti causati da questi dissuasori che, con l’obiettivo di non far spingere oltremisura i piloti, si trasformano in pericolosissimi trampolini. Anche nei campionati GT e nelle ruote coperte in generale ci sono stati casi. Il più recente è quello di Henrique Chaves durante la 6 ore di Monza del WEC.

Il video che segue raccoglie diversi episodi nei quali cordoli mal costruiti e dissuasori hanno creato pericoli per i piloti in pista.

I casi più datati riportati da questo video risalgono al 2014, con Tereshchenko in GP3 a Spa-Francorchamps (cordolo interno ad oggi identico) e Heidfeld in Formula E. Quindi possiamo dire che sono quasi 10 anni che il problema esiste ma è stato sottovalutato. Riguardo vie di fuga e relativi Track Limits gli argomenti di discussione sono molteplici e cerchiamo di riassumerli qui di seguito.

Vie di fuga in asfalto. Sicurezza o spettacolo?

Le lamentele sui Track Limits sono logica conseguenza della nascita ed espansione delle vie di fuga in asfalto che, negli anni, hanno visto tantissimi circuiti nel mondo cambiare fisionomia. Ufficialmente la sostituzione della ghiaia con il manto di asfalto fu giustificata con motivazioni legate alla sicurezza e alla sua capacità di rallentare maggiormente le monoposto in caso di uscita di pista. Negli anni abbiamo avuto però più volte conferma che la singola casistica di incidente è determinante affinché questa giustificazione sia valida.

L’asfalto rallenta sì le monoposto in modo superiore alla ghiaia, ma solo con determinate condizioni. Ad esempio, con pista bagnata, il pericolo che vetture senza controllo percorrano decine di metri senza fermarsi dopo un incidente è più ampio rispetto ad un tracciato asciutto, dove comunque esiste la possibilità che questo non rallenti a sufficienza. Una monoposto che rimane senza una o più ruote non può esercitare la stessa forza di attrito e, pertanto, scivola con una velocità superiore a quanto succede con la ghiaia.

Questa, a sua volta, porta con sé altri “effetti collaterali” a dimostrazione che non necessariamente una soluzione è, a prescindere, migliore dell’altra. Il caso dell’incidente di Guanyu Zhou a Silverstone è illuminante sotto questo aspetto. La monoposto, ribaltata, ha strisciato per circa 150 metri sull’asfalto e per 45 sulla ghiaia. Nella prima parte la velocità è diminuita in modo inferiore rispetto alla seconda ma, una volta arrivata sulla ghiaia, l’Alfa Romeo ha subito i suoi effetti, infossandosi prima con il diffusore per poi ribaltandosi facendo leva sulle gomme di protezione. Per riassumere: la ghiaia ha contribuito maggiormente alla diminuzione della velocità ma, in questo caso, ha portato ad effetti non voluti come l’ultimo ribaltamento.

In definitiva, la sentenza che l’asfalto sia meglio a prescindere della ghiaia rappresenta un falso. La singola casistica è infatti fondamentale, così come è difficile trovare una soluzione che possa soddisfarle tutte. Uno degli ultimi gravi casi nei quali l’assenza della ghiaia è stata tragicamente impattante è stato quello del GP del Belgio 2019 di F2, costato la vita ad Anthoine Hubert. La carambola multipla nella quale lui e Juan Manuel Correa sono stati coinvolti tra gli altri è stata propiziata anche dall’incapacità dell’asfalto di rallentare a sufficienza le monoposto fuori controllo all’uscita del Raidillon.

Negli anni, specialmente in F1, si è anche diffusa una giustificazione diversa e più commerciale dell’adozione delle vie di fuga asfaltate. Una monoposto che non si insabbia è una monoposto che può continuare a girare e, di conseguenza, a mostrare gli sponsor. Lo stesso concetto è applicabile anche a tutte le piste di nuova generazione comparse negli ultimi decenni, nelle quali non manca mai un tornantino a bassa velocità utile a riprendere da vicino le monoposto e relativi loghi. Una visione diversa e, forse, neanche da escludere totalmente.

Un ultimo punto di discussione riguarda il fatto che molte piste sono condivise tra due e quattro ruote. Ogni categoria ha quindi le sue necessità in termini di spazi e di vie di fuga e non è pertanto facile riuscire a trovare una linea che possa essere valida sempre e per tutte le serie che corrono su uno stesso tracciato.

L’esuberanza dei piloti

I piloti cercano di sfruttare al 110% ogni occasione si presenti loro davanti. Le vie di fuga in asfalto hanno contribuito a spingere ancor di più su questo fronte, con limiti della pista abusati in più occasioni. Con un regolamento interpretato a “ondate” nel corso degli anni, la politica sui Track Limits ha sempre ricevuto ampie critiche da parte di piloti e addetti ai lavori.

Da sottolineare come l’utilizzo oltre misura dei limiti del tracciato abbia anche aumentato la pericolosità generale con piloti che, sapendo di poter contare su spianate di asfalto, hanno spesso approfittato della situazione per evitare incidenti; riuscendoci in alcuni casi, meno in altri e aprendo quindi un altro fronte di critiche, le più aspre su “piloti troppo abituati ai videogiochi”.

Track Limits: come sono stati gestiti fino ad ora

Come anticipato ad inizio articolo, diverse sono state le soluzioni provate per dissuadere i piloti dal procedere oltre i limiti della pista. A prescindere va ricordato che il regolamento è chiaro su questo fronte: i limiti del tracciato sono rappresentati sempre e comunque dalle righe bianche. Nel tempo, però, l’attuazione ed il controllo di questa norma fondamentale sono passati (e continuano a passare) da metodi diversi di verifica che non hanno ancora trovato una certa stabilità, anzi.

L’adozione dei dissuasori gialli all’esterno delle curve (foto di copertina), negli anni, ha portato anche a problemi alle monoposto come cedimenti di sospensioni (nel caso di dissuasori perpendicolari al senso di marcia) o danni alle ali anteriori o al fondo, con conseguente pericolo in caso di volo contro le protezioni. Eppure, nonostante diversi episodi nei quali la loro pericolosità è stata più che confermata, continuano ad essere presenti.

Per quanto riguarda invece i cordoli interni, il caso di Dennis Hauger e Roy Nissany a Silverstone ha alzato nuovamente la soglia di attenzione su quelli che vengono volgarmente chiamati “salsicciotti”. Utilizzati per evitare un taglio interno con conseguente guadagno di tempo, è da anni che questi si rivelano delle trappole pericolosissime. I casi già citati di Tereshchenko e Heidfeld sono lontani ormai 8 anni, eppure non ci si è ancora mossi per trovare una soluzione.

Mentre i tappetini sintetici hanno mostrato tutti i loro limiti (e la loro pericolosità) in caso di pista umida e gomme slick, l’utilizzo dei sensori annegati nell’asfalto (e della review “umana” in caso di loro assenza) per rilevare i Track Limits ha ancora una volta dato il là a molte critiche nel corso del weekend austriaco di Formula 1, con decine di tempi cancellati durante i tre giorni e penalità, sia in griglia che in gara, a carico dei piloti.

Non vi è dubbio sul fatto che l’utilizzo di un sensore sia un metodo quanto meno democratico e valido per tutti i piloti allo stesso modo. Molto più difficile è, invece, dimostrare che un millimetro in più o in meno possa costituire un effettivo vantaggio in termini di tempo, anche perché dipende sempre dalla casistica con la quale il sensore stesso viene attivato, che sia un’uscita provocata da un sovrasterzo piuttosto che un’altra dinamica.

La quantità eccessiva di tempi cancellati nel weekend di Spielberg (85 tra Qualifiche, Sprint e Gara) ha risollevato la questione, anche alla luce delle tante lamentele espresse dai piloti. A questo punto e alla luce degli eventi delle ultime settimane è però doveroso capire quale possa essere una soluzione definitiva.

Quali alternative

La necessità dal punto di vista sportivo, senza inficiare la sicurezza dei piloti e degli addetti ai lavori, è quella che il pilota stesso, in caso di uscita larga, perda effettivamente del tempo sul giro. I sensori applicati ai cordoli, in questa situazione, non hanno alcun effetto rallentante: il pilota può continuare a spingere e, in base alla sessione (qualifica o gara) le sanzioni sono diverse, dai tempi cancellati alla penalità di cinque secondi.

Di fatto ciò che può innescare una perdita di tempo effettiva è un fondo diverso dall’asfalto al di là di cordoli o righe bianche, che sia questo erba o ghiaia. Tra le alternative di cui si parla da tempo c’è quella di stendere una prima striscia di ghiaia, larga qualche metro, subito all’esterno dei cordoli per poi tornare ad avere il consueto asfalto. Il rovescio della medaglia potrebbe però essere un diverso comportamento della monoposto in caso di incidente, un po’ come abbiamo visto per il caso Zhou. E, oltretutto, una soluzione di questo tipo sarebbe meno pericolosa per vetture a quattro ruote rispetto alle moto. Considerato infatti, come detto, che sulla stessa pista si svolgono gare di più categorie, ognuna con peculiarità differenti e diverse richieste in ambito sicurezza, è quindi immaginabile la difficoltà per organizzatori e federazioni varie nel trovare un accordo di massima.

In conclusione

Se possiamo dire con una discreta certezza che l’eliminazione dei dissuasori gioverebbe alla sicurezza, al tempo stesso trovare una soluzione ai Track Limits appare più difficile di quanto sembri. Ciò che però si può pretendere, per una pura questione di equità sportiva, è che si trovi o si continui ad utilizzare una soluzione con costanza. Anche la diversa interpretazione dei limiti gara per gara è infatti fonte di polemiche che non fanno altro che rinviare discussioni necessarie e, lo abbiamo visto, ormai urgenti.

Immagine: Media Red Bull

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