Verstappen, Vettel e Leclerc: carote e bastoni infiniti (o introvabili) sempre e solo quando conviene

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Tempo di lettura: 7 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
24 Luglio 2022 - 20:52
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Ritenendo di fondamentale importanza, sempre e comunque, esprimersi innanzitutto con coerenza e costanza di pensiero nei confronti di chi legge per non passare per il folle di turno – anche se tanto piace – sarebbe auspicabile leggere, nei confronti di Charles Leclerc, quanto meno lo stesso numero di critiche e macchinazioni della carriera viste per i suoi predecessori o avversari, in questo caso i due uomini della “V” citati nel titolo.

Con questo non intendo dire che Leclerc meriti di essere appeso in sala mensa come Fantozzi per un errore sul quale abbiamo un’ammissione di colpa e diverse certezze tecniche a supporto. Intendo dire che, quando si parla di Charles, il magazzino delle carote risulta essere sempre pieno mentre in passato la raccolta è sempre stata stranamente povera, con un ricorso ai bastoni usati di dritto e di rovescio quasi sistematicamente.

Per essere ancora più preciso, il messaggio che voglio far passare è quello relativo alla volontarietà o meno di usare bastone e carota, a convenienza o meno, in base al personaggio.

I tre personaggi che voglio prendere in esame sono Max Verstappen, Sebastian Vettel e, appunto, Charles Leclerc.

Parto dal campione del mondo in carica. Uno che, a detta di Francesco Mandelli (per diverso tempo un opinionista di Formula 1, come io potrei esserlo, che ne so, di cricket) era il “più grande pacco della Formula 1”, con una convinzione quasi commovente se ripensata al giorno d’oggi. Uno che, nel nostro paese, è stato massacrato dai media ad ogni errore solo perché avveniva in episodi contro le Ferrari, incidentalmente le uniche macchine contro cui le Red Bull potevano lottare mentre le Mercedes vincevano con mezzo minuto di vantaggio. Uno che, poi, ha dimostrato con i fatti una crescita esponenziale diventando poi quello che è ora.

Ecco: Verstappen, che dal 2019 è globalmente il miglior pilota in pista (lo dicono i dati in rapporto alle monoposto guidate, non io), ancora oggi vive sull’eredità degli errori e delle cappelle provocate tra 2015 e 2018, quando era poco più che un ragazzino per una scommessa (poi vinta) dalla Red Bull nel farlo esordire giovanissimo. Verstappen ancora oggi viene trattato con carote servite quasi di nascosto e bastoni pronti ad essere sfoderati non appena succede qualcosa che non va (come una pole mancata o una gara chiusa in seconda posizione) o un Pérez che viene complottato per favorirlo.

Sebastian Vettel ancora oggi vive sulla scia degli ultimi tre anni in Ferrari. Non c’è gara, da quando è in Aston Martin, in cui non si parli del suo ritiro e non si usino le sue attività extrapista – quelle sociali ed ambientaliste – per buttarla in caciara sul fatto che non è più concentrato, non più così e non più cosà, tranne poi dover abbassare i toni in quelle poche volte (ma mica solo per lui) in cui fa bene.

Vettel le carote non sa nemmeno cosa siano, stritolato dalla scelta tafazziana ed autolesionista (che condivido, anyway) di non farsi un’immagine, finta o veritiera, con i social (e non con le azioni, che in teoria sono quelle che contano); il tutto con un bersaglio sulla schiena a partire da Singapore 2017, dove in realtà i rapporti con la Ferrari erano già belli che compromessi per X motivi, dai tecnici richiesti e non avuti (pensava di vivere all’epoca di Schumi, sbagliando clamorosamente) alle metodologie di lavoro vincenti in Red Bull che qui non ce ne frega nulla perché siamo la Ferrari. E se non ci credete ci sono libri che testimoniano il tutto.

Tutte cose che non contano quando si deve puntare il mirino a prescindere. Il paragone dell’errore di Charles a Le Castellet con quello di Hockenheim 2018, che oggi viene continuamente citato, non l’avevo immaginato semplicemente perché continuo a credere nelle voci e nelle conferme che ho avuto sul fatto che quello della Germania non sia stato un errore del pilota. Eppure, ogni volta in cui c’è da ritirare fuori qualcosa che possa minare l’immagine del tedesco, vedo non ci si fa molti problemi ad estrarre i bastoni retroattivi.

Arrivo a Charles con una doverosa premessa. È un pilota che io apprezzo terribilmente e ho imparato ad ammirare sin dalla GP3, quando era ancora così anonimo e poco conosciuto da rispondere a semplici Tweet di complimenti. Charles ha una velocità innata e un passo tremendo quando è tutto in ordine e più volte quest’anno lo ha dimostrato, pur senza concludere delle gare. Penso a Barcellona, a Baku, ad oggi.

Per quanto mi riguarda la differenza tra lui e Verstappen risiede in maggioranza negli anni di esperienza in più in favore di Max, tre. Che sembrano pochi ma non lo sono per niente e si vedono eccome, ora che i due corrono insieme a pari età anagrafica. Senza quei tre anni di formazione, anche a furia di errori, difficilmente l’olandese avrebbe vinto il titolo dell’anno scorso.

Charles, in confronto a Max e Sebastian, di bastoni ne ha visti pochissimi nonostante, se andiamo a riprendere l’elenco degli errori commessi dal 2018 in avanti, questi non siano proprio pochi, anzi. Perché Charles di cappelle e di macchine a muro ne ha messe più di quante si voglia ricordare in questi anni, ma le critiche sono sempre state a zero. Scelta che potrei anche apprezzare, ma trovo incoerente col passato.

D’altronde Charles è un prodotto della Ferrari, è nato e cresciuto in questo ambiente, gode a prescindere del 100% della fiducia del team sin da quando è entrato a far parte della FDA e questo si riflette evidentemente anche sui media, che si guardano bene dal pestare duro con lui e lo faranno probabilmente anche adesso. Il mistero di Hockenheim costò a Vettel un Hamilton a +17 in classifica e sequele di insulti. Oggi Verstappen va a +63 quando sarebbe potuto essere a +31 (e senza considerare situazioni come Monaco e Silverstone) ma la squadra fa quadrato attorno al monegasco, che si assume con coraggio la paternità degli errori.

Qual è, quindi, il succo del discorso?

Il succo è molto semplice. Gli errori capitano a tutti, ma il come giudicarli poi sta a chi li vede e, soprattutto, a come li si vogliono interpretare.

Nello specifico, apprezzo la difesa della Ferrari nei confronti di Charles perché i panni sporchi si lavano in casa, nonostante un KO che minerebbe le speranze di più di una squadra in ottica mondiale. Ma non posso non notare che con Vettel (ma anche con Alonso) il modus operandi non sia stato lo stesso anche in condizioni meno sfavorevoli, con i risultati mediatici che abbiamo visto nel tempo. Il tedesco, la cui situazione interna viene portata a conoscenza solo da qualche mese a questa parte, è stato completamente (o scientemente?) lasciato in balia degli insulti – e dei bastoni – della stampa in più occasioni e ancora oggi ne paga le conseguenze, con considerazioni spesso strampalate e campate in aria. Un errore come quello di oggi non è difficile pensare come sarebbe stato recepito. Con Verstappen non parliamone. Forse solo un futuro passaggio in Ferrari porterebbe alla miracolosa conversione dei giudizi nei confronti dell’olandese come nei casi di Alonso o dello stesso Vettel, tanto odiati e bastonati da avversari e poi, al primo giorno in rosso, diventati idoli istantanei. Ecco, ora che mi ricordo qualche carota Sebastian l’ha vista, nei primissimi tempi.

Proprio l’arrivo dei piloti in Ferrari è un altro esempio calzante di come i pareri possano cambiare solo al differente colore di tuta. Altre storie di coerenza inesistente di cui il mondo dei media si rende spesso protagonista, senza capirne gli effetti su chi legge.

Immagine: ANSA

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