Quello che è successo tra la fine delle qualifiche messicane e le tre ore successive è sostanzialmente roba che neanche nelle garette di kart amatoriali. I protagonisti di questa figuraccia mondiale sono sostanzialmente tre. Max Verstappen, il suo team e la direzione gara.
Il primo ha dato il via alle danze passando a tuono a fianco di Valtteri Bottas con il finlandese a muro e la bandiera gialla esposta. Lui ha detto di non averla vista ma, essendoci passato poco a fianco, si fa leggermente fatica a credergli. Ipotizziamo, comunque, che abbia detto la verità. D’altronde i sensori della Mercedes che fanno scattare tutti gli allarmi sui pannelli in pista e sui volanti si sono rotti e quindi la tecnologia è andata fuori uso. Cosa, tra l’altro, gravissima. Ma anche credendo a Max su questo la monoposto nelle protezioni l’ha vista chiaramente e, quindi, alzare quanto meno un minimo il piede (lì, e non dopo come mostrato dalla telemetria) sarebbe stato sufficiente. Non contento, con una discreta dose di spavalderia, ha ammesso in conferenza stampa di aver fatto esattamente quello che ha fatto perché tanto, nel caso, con un sola bandiera gialla gli avrebbero tolto l’ultimo crono ma non quello precedente, già di suo valevole per la pole. Una sincerità in pieno stile tafazziano, una martellata sugli zebedei condita da sorriso sarcastico che sa tanto del primo acerbissimo Verstappen e non di quello maturo ed attento dell’ultimo anno e mezzo. Soprattutto, una leggerezza che ha fatto partire il circo dell’investigazione.
Passiamo al team. Con Leclerc già passato senza migliorare e con Bottas a muro gli uomini al muretto avevano il dovere di avvisare il loro pilota di rallentare, perché la pole sarebbe stata comunque al sicuro dagli attacchi degli altri piloti. Vettel infatti è passato circa 15 secondi dopo il botto del finlandese (rallentando), Max addirittura dopo 20. Un’enormità se consideriamo la tecnologia di cui sono a disposizione i team in qualsiasi momento. Perché non è stato avvisato? Difficile da sapere. E questa è la prima colpa degli uomini di Horner. La seconda, visto che da subito si parlava di una possibile investigazione, è stata quella di non istruire il loro pilota a minimizzare l’accaduto, invece di fare lo sgargiante davanti ai microfoni. Incredibile se si pensa che Red Bull è forse la prima azienda al mondo in fatto di marketing e comunicazione…
Ed ora arriviamo alla direzione gara, quella che più di tutti ha peccato di lucidità. L’eccezionalità dell’episodio è stata chiara sin da subito. Ed allora perché procedere come se niente fosse con il programma tra interviste, conferenze stampa, comunicati ufficiali sui canali media per poi dover tornare indietro sui propri passi? E soprattutto perché svegliarsi solo dopo le parole di Verstappen? Questo è l’aspetto più incredibile di questa vicenda, perché vista così sembra quasi che, senza l’ammissione suicida dell’olandese, tutto sarebbe passato in cavalleria senza alcun problema. Il che lascia abbastanza basiti: com’è possibile che dalla fine delle qualifiche, con tutto il materiale a disposizione, ci siano volute tre ore per conoscere il nome del vero poleman?
Una situazione imbarazzante ed una figura evitabile da parte di tutti, soprattutto quando si parla di sicurezza in un anno come questo.
Immagine: Twitter/Max Verstappen
È vietata la riproduzione, anche se parziale, dei contenuti pubblicati su P300.it senza autorizzazione scritta da richiedere a info@p300.it.