Verginelle e vendicatori

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Tempo di lettura: 6 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
26 Giugno 2017 - 01:00
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Ma davvero pensavate che due piloti di Formula 1 possano rispettarsi tra di loro, soprattutto se si giocano il titolo mondiale?

Io non so da dove arrivi questa ondata di buonismo che per settimane o addirittura mesi ha dipinto Vettel e Hamilton come due piloti che si rispettano tra di loro, tra interviste allo zucchero da far venire il diabete e attestati di stima preconfezionati. Questa, come in tutte le altre occasioni vissute negli anni, è una pura invenzione della stampa che monta film che non hanno senso di esistere. Due piloti, per definizione, non potranno mai essere amici fino a quando non appenderanno il casco al chiodo. Solo dopo essersi ritirati, forse, potranno ricordare e condividere determinati momenti della loro carriera. E dico forse perché, come abbiamo visto, Hamilton e Rosberg dopo il 2016 hanno completamente chiuso i loro rapporti dopo più di dieci anni di condivisione di piste e carriera. La lotta per il titolo ha distrutto tutto quello che di buono c’era tra loro, figuriamoci che cosa può succedere tra due che non hanno mai vissuto insieme niente della loro vita privata o sportiva e che sono totalmente agli antipodi in quanto a stile di vita e atteggiamenti fuori dalla pista. Negli ultimi 25 anni gli unici rivali per il titolo che si sono rispettati oltre un certo limite sono Schumi e Hakkinen, un‘eccezione clamorosa se ci pensiamo.

Dopo la gara di Baku, finalmente, ecco a voi i veri Hamilton e Vettel: due piloti che si giocano il titolo mondiale, due piloti pronti a tutto per primeggiare come tutti i campioni che hanno corso sulle piste della Formula 1 e non solo. Soprattutto, due grandi figli di puttana come tutti i piloti. Perché questo sono una volta abbassata la visiera, uomini che rischiano la pelle per arrivare davanti a tutti in tutti i modi possibili, non semplici impiegati che fanno per otto ore il loro lavoro alla scrivania. Questi sono ragazzi che mettono il loro ego davanti a tutto, che pongono la loro convinzione di essere i migliori al mondo di fronte a qualsiasi altra cosa. Secondo voi Hamilton e Vettel quando si trovano uno dietro l’altro pensano al rispetto reciproco, alle frasette di stima o a trovare il modo migliore per passare davanti sul traguardo, incluso il bucare le gomme con la spada laser? Quello che è successo oggi a Baku è finalmente la dimostrazione della loro essenza, al netto delle interviste e delle finte pacche sulle spalle. Già a Barcellona ci erano andati vicini, ora è finita la finta amicizia.

Giù le maschere, è ora di giocare a carte scoperte.

E le carte scoperte ci dicono che Hamilton, come da tempo a questa parte, è capace di viaggiare sul limite della provocazione borderline come nessun altro in Formula 1, mentre Vettel a giudicare dalle sue reazioni sembra che in corpo abbia più sangue latino che tedesco e questo l’ha portato, ancora una volta, a fare la figura del pirla, mitigata solo dal problema all’headrest dell’inglese.

Sì perché Lewis, con la sua aurea da impeccabile verginella God Blessed, utilizza sempre tutta la sua malizia sfociando in alcune occasioni nell’eticamente poco corretto. E per quanto in direzione gara passi sempre tutto liscio e il regolamento sportivo non preveda nemmeno una reprimenda per il girare ad Abu Dhabi come una GP3 nel tentativo disperato di recuperare un mondiale perso, o per l’entrare in una curva a 80 all’ora dietro SC e uscirne a 40 piantandosi come una Mclaren (cosa ripetuta ampiamente anche dopo la bandiera rossa), a me questo genere di giochetti piace poco. Provasse in Indycar con Kanaan, Dixon o qualcun’altro a fare certe manovrette gli passerebbe probabilmente anche la voglia di girare con un mix ciabatte più calzino al limite della denuncia per oltraggio al decoro, sebbene questo c’entri poco con lo sport. Così come suona poco edificante il dichiararsi contrario agli ordini di scuderia e poi ottenere strada non una ma due volte in Bahrain e chiedere che Bottas a Baku si disinteressi di Stroll e di un secondo posto per fare da tappo a Vettel, manco nel suo contratto ci fosse scritto che la posizione di guida predefinita è a 90°. In questo, l’ho già detto e lo ripeto, ci vedo davvero poco del campione con buona pace dei numeri che dicono e non dicono. Tra l’altro anche in questo c’è una grande similitudine proprio con Vettel, ovvero l’esplosione del palmares grazie anche alle vetture più forti mai viste in Formula 1. Valga per entrambi, però, per coerenza.

A sua volta, Vettel deve farsi un esame di coscienza grosso come una casa, perché perdere la brocca così oggi è costato la vittoria di gara, e non è la prima volta che Seb sclera clamorosamente. Messico 2016 è relativamente vicino, e se sei il primo pilota della Ferrari e stai lottando per il mondiale le questioni sono tre: o sei Nico Rosberg, fai finta di niente e ogni volta che puoi ti metti davanti a Lewis e lo fai sbroccare (2016), o sei Fernando Alonso e sai rispondere alle sue furbate con altrettanta stronzaggine e quindi replichi a provocazione con provocazione (2007, e quanto vorrei 2018), oppure limiti le tue reazioni in macchina ai gesti italici e una volta sceso lo vai a cercare ai box ispirandoti davvero, stavolta, a Schumi a Spa ’98. Così, però, non ha senso, anzi: se si fosse limitato alla sfanculata che ormai conosciamo bene, magari la manovra di Lewis sarebbe stata vista in ottica diversa. Ma vendicarsi sul posto tipo bulletto del quartiere, oltretutto rimettendoci, è da ciula, passatemi il termine. Questo nonostante, sia chiaro, per come sono andate le cose non so quanti altri piloti sarebbero restati calmi e tranquilli. Anche perché noi giudichiamo in pace divanati, popcornati e aperitivati, ma la visiera sono loro che la calano.

Se non altro spero che dopo questa gara la si smetta con la storia del rispetto e i film hollywoodiani sui due che si cercano e vogliono lottare ruota a ruota. Li si lasci liberi di scornarsi come meglio credono, con i loro pregi e difetti, perché velocisticamente parlando non hanno nulla da invidiare l’uno all’altro e il mondiale è ormai questione loro. L’importante è non vederli e giustificarli come scolaretti alle prese col compitino di matematica ma per quello che sono: piloti con un unico obiettivo, vincere, per il quale sono disposti a tutto. Prost e il tanto chiamato in causa Senna sono arrivati all’eliminazione fisica dell’avversario pur di vincere il mondiale.

Qui siamo ancora alle caramelle. Buon divertimento.

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