Valentino, l’ultimo baluardo dell’adolescenza

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
6 Agosto 2021 - 09:30
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Cosa facevamo, chi eravamo, cosa pensavamo del futuro quando abbiamo sentito per la prima volta il nome di Valentino Rossi? Nel 1996 alcuni ragazzi che scrivono su questo sito non erano ancora nati. Altri, come me, trafficavano già con i PC (nel mio caso scoprivo un vero e proprio amore per il computer) ma Internet era ancora una parola semisconosciuta, un miraggio; un lusso per pochi che, con i rumorosi modem a 14.4k ed una linea telefonica, iniziavano ad esplorare il web con Internet Explorer o Netscape Navigator. I cellulari? Per lo più erano ancora solo le camionette della Polizia. Insomma era un altro mondo, un altro modo di vivere il presente, le persone, la vita ed anche le corse.

Le emozioni delle gare erano racchiuse nella stanza in cui si osservavano i propri idoli, senza ancora la possibilità di condividerle all’esterno, in diretta, con gli amici. Ed è lì, in quel micromondo che si creava tra te e la televisione, in quella connessione ideale ed irreale con la pista, che Valentino Rossi iniziò la sua lunghissima rincorsa verso la leggenda, unendo con un filo invisibile quel mondo così lontano e quello ultra connesso di oggi. Contribuendo, con la sua ascesa, a rendere il Motomondiale mediaticamente importantissimo, in Italia e nel mondo, ancor prima dell’era nata appositamente per questo scopo, quella dei social.

Si arriva ad un punto in cui che certe decisioni sono ormai attese, nell’aria: fa sempre un certo effetto, però, sentire “quelle” parole dalla bocca del diretto interessato. Ci saranno ancora mesi per metabolizzare un cambiamento epocale, per prepararsi all’assenza più importante degli ultimi venticinque anni. Ma il distacco, quello vero, quello del giro di rientro dell’ultima gara dell’anno, sarà storico, emozionante, traumatizzante soprattutto per chi ha iniziato a seguire il Motomondiale con quel 46 giallo già presente; che fosse impresso sulla carena di un’Aprilia, una Honda o una Yamaha poco importa. Una carriera così lunga permette ad intere generazioni di specchiarsi in essa. C’è chi da adolescente è diventato adulto e genitore, trasmettendo la propria passione alla prole. C’è chi, da piccolo bimbo con il sogno di diventare pilota, ha visto trasformarsi una foto ricordo con Valentino nell’essere un suo avversario in pista.

valentino

Ci sono intrecci di vita legati a doppio filo ad un viaggio lungo un quarto di secolo. Nel mio caso l’adolescenza ed il mio essere tifoso si basava su quattro colonne sportive portanti. La prima, lo sapete, era Michael. Poi, in ordine sparso, c’erano altri tre nomi: Marco Pantani, Andriy Shevchenko, Valentino Rossi. Se riguardo i diari delle superiori ci sono le loro immagini, gli articoli che parlavano di loro. Rivedere i loro video di quei tempi mi fa ancora emozionare. C’erano weekend in cui tutti e quattro erano tra la pista, le strade ed i campi di calcio e ci si arrangiava come si poteva per poter seguire tutto. Ma era un periodo meraviglioso, fatto di sogni, idoli, punti di riferimento e gioie sportive indimenticabili. Valentino è l’ultimo baluardo della mia adolescenza che si ferma, spezzando il sottile filo rimasto con quel periodo. È l’ultima candelina a spegnersi su una torta dopo una lunga e vigorosa ultima soffiata. Fa riflettere, ti fa guardare alle spalle ed emozionare un po’, ripensando a tutto quello che è stato e a come il mondo è cambiato con la sua costante a riempire le domeniche da pista.

Il messaggio più bello che ho letto sul ritiro di Valentino è quello di Max Biaggi: qualche lustro fa mai avrei detto che sarebbe andata così. I riconoscimenti più importanti, a volte, sono quelli che arrivano da chi con te si è scornato più di tutti ed è sportivamente emozionante leggere ciò che Max ha scritto; incluso quell’invito implicito a trovarsi un giorno, spiegarsi, raccontarsi davanti ad un bicchiere di vino. Il modo con il quale, magari, potrebbero scoprire di essere meno lontani di come sono sempre stati e scoprirsi nuovamente, in una veste diversa. Valentino e Max e non più Rossi e Biaggi. Due uomini che hanno dato tanto al motociclismo e che, ora, non hanno più bisogno di lottare per lo stesso obiettivo.

La portata di questo addio è e sarà epica: coinvolgerà l’intero movimento del Motomondiale sotto qualsiasi punto di vista, sportivo, commerciale, televisivo. L’eredità di Valentino sotto il nome di VR46, il suo team che correrà anche in MotoGP a partire l’anno prossimo, sarà una magrissima consolazione per chi, alla prima gara del 2022, cercherà quel 46 sulla griglia di partenza della MotoGP dovendosi poi ricordare, convincere, rassegnare all’idea che non lo vedrà più, che quell’era è finita e che non si è voltata solo una pagina come tante, ma si è chiuso l’ultimo libro di un’enciclopedia infinita, nei numeri e nelle emozioni. Con il privilegio, per molti, di aver assistito alla sua scrittura sin dall’inizio e quel pizzico di malinconia per il tempo che non risparmia nessuno. Nemmeno le leggende.

Immagine: Media Petronas SRT

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