Ci sono cerchi che non immaginiamo nemmeno aprirsi, iniziare una strada che possa portarli, un giorno, a chiudersi.
Riempiamo giornali, TV, siti web di parole al vento, opinioni, pensieri, ipotesi, illazioni, verità presunte o false.
Raccontiamo gesta per come le vediamo o per come avremmo voluto vederle, cercando in qualche modo di convincere chi ci legge o ascolta della nostra idea.
Il tutto spesso senza conoscere i protagonisti dei nostri racconti, senza sapere cosa pensano veramente al di là delle dichiarazioni pubbliche, quelle confezionate dagli uffici stampa o da qualche munifico sponsor.
Il sale delle competizioni è la rivalità: non quella addolcita dalle attestazioni di stima reciproca ma quella fatta di lotte, forti, aggressive, a volte oltre i limiti.
Si tratta però pur sempre di corse. La vita non è solo gare ma anche il conoscersi, magari, dopo aver combattuto, essersi scontrati, essersi divisi il pubblico tra uno e l’altro.
Voglio pensare a questa immagine come un messaggio silenzioso. Quando si smette di tifare si capisce ancora di più che gli avversari sono necessari e che vanno rispettati. Che anche loro, come il tuo pilota, hanno un obiettivo, una storia che li porta ad incrociare carriere e traiettorie.
Damon Hill che, a Goodwood, guida la macchina con cui Michael Schumacher gli ha strappato un titolo mondiale dalle mani, al di là delle fazioni di chi ha un’idea e di chi un’altra, è un’immagine che dopo 25 anni chiude un cerchio infinitamente lungo.
È una riconciliazione, magari un perdono, forse un modo di dire “sarebbe bello parlarne dopo tutto questo tempo”. È un segno del meteo con il bagnato sotto le slick, come in quella Spa dell’anno dopo il botto di Adelaide.
È, soprattutto, un momento che mette fine a 25 anni di polemiche, storie, aneddoti e racconti. Ed il fatto che sia Damon a chiudere questo cerchio, davanti a Corinna, ha un significato ancora più nobile. Perché, e su questo saremo tutti d’accordo, la sua parola silenziosa vale più delle nostre mille.
Immagine: Instagram/Damon Hill
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