Una domenica Bestia-le. Di passaggio, di cerchi che si chiudono, di un cielo azzurro che, dall’alto, guarda e illumina il suo simbolo a due ruote, dal numero 23
Stavo facendo quattro chiacchiere con un truciolo di gomma. È stato scaraventato, verso metà gara, in curva uno, e da lì si è goduto la restante parte dello spettacolo. Abbozzava un fiero sorriso: la sua madrepatria era una gomma di Bastianini. Era contento di aver contribuito a qualcosa di tanto importante; così come lo era di aver evitato, clamorosamente, di essere sotterrato da un’infinità di altri suoi simili. Il potente impianto di illuminazione, però, ne rivelava uno strato di malinconia e dubbio sulla funzione della sua esistenza: giaceva lì inerte, nel suo ricordo di velocità; conscio, dell’inconsapevolezza pendente sul suo destino; del suo impotente trasudare ipocrisia. Pareva uno specchio: rifletteva me, rifletteva l’umanità tutta.
Per qualche istante m’ero illuso che l’eco del rombo dei motori avrebbe potuto soffocare altri generi di rumori che, per cause di forza maggiore e di innovazioni nella telecomunicazione, ci accompagnano durante l’arco delle giornate e proprio non ci piacciono. Un’eco ipocrita. Gioia, dolore, rabbia, tristezza, euforia: emozioni per le quali ci affanniamo oltremodo nel renderle nostre, mentre a pochi o a poco più di duemilacinquecento chilometri da casa un numero imprecisato di persone è costretto a farle proprie, a viverle tutte assieme ed a sacrificare quel po’ di colore nell’anima in nome del negativo imperante.
Il cielo osserva: talvolta tace, talvolta illumina le gesta di un ragazzo, a detta dei più, dolce ed al tempo stesso scostumato. Enea non è propriamente un nome da coniglio, ma neanche da mago: eppure dal cilindro si è tirato fuori da solo, con un inconsapevole aiuto di Ducati che, nell’assegnargli la GP21, ha fatto sì che la chiusura del cerchio inaugurale avvenisse nel modo più Fausto possibile.
Ipocrita Yamaha, nell’ignorare che in coda al detto “squadra che vince non si cambia” campeggi un implicito “ma si evolve”: storie non di prime gare, ma di digiuni quinquennali interrotti da un titolo frutto perlopiù di lauto talento del singolo. Civiltà nel tifo: mi unisco al coro, da docile e consapevole canarino, che accompagna l’orologio nel passaggio digitale oltre il minuto quarantasei. Civiltà nei diritti: il coro si assopisce, tituba, e poi foraggia. Cosa? Un Paese, a cinque megametri dal mio baricentro, lussuoso in verticale e povero, nel profondo, di rispetto, inclusione e, per l’appunto, civiltà. Esso come altre mega-realtà nelle quali si esporta competizione, illusoriamente cultura, si importa tanto capitale e delle quali, di come tutto frustato tace, ce ne importa un bel nulla.
L’aritmetica non scende a negoziati, e Márquez lo sa così bene da affidare temporaneamente le luci della ribalta al suo compagno di box, vestire i panni del ragioniere ed assistere, nei pressi della quinta, all’harakiri un po’ blu e nero, tanto rosso, dei titolari al ruolo di protagonista. Trentatré buone, dorate, sudafricane ragioni per seguire, con sincero interesse, la stagione venti-ventidue. Il motomondiale è ripartito: lo stare tranquilli e tranquille, riparandoci in esso, sarà la nostra dolce e scostumata bugia.
Immagine: Gresini Racing
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