Abbassare la testa, mettere da parte il proprio spirito focoso di tifoso più incallito e ammettere la bruttezza di qualcosa che si ama non è una cosa facile, ma purtroppo non si può sempre chiudere gli occhi e far finta che tutto sia perfetto quando parliamo di ciò che ci piace. È successo con la Formula 1, per i fan più accaniti delle gare endurance sta accadendo con il WEC e ora, purtroppo (per me almeno), è arrivato anche il turno della Superbike. Fa male ammetterlo, ma il campionato delle derivate di serie, un tempo famoso e apprezzato per le sue battaglie ostiche e per la forte presenza di marchi famosi nel mondo delle due ruote, sembra essersi perso per strada. Non tanto nella presenza di marchi in corsa, ma proprio per quanto riguarda il primo punto: le lotte e l’equilibrio che ha sempre aumentato la sfida tra i team e i piloti in competizione. Anche se, a dire il vero, è una visione un po’ troppo limitata, e dire che negli ultimi anni non ci sono state manche combattute in SBK è fortemente errato.
Più che di penuria di battaglie si parla più di un prodotto, quello della SBK, che sembra essere diventato parecchio scadente: barboso, scontato, piatto. In una parola? Noioso. La stagione 2017 terminata ieri in Qatar è stata per me (e giuro, ve lo dico col massimo dell’onestà) una vera impresa da concludere. E le due manche notturne di Losail, svolte tra il venerdì e il sabato, sono il riassunto perfetto della situazione della Superbike alla vigilia di un cambio regolamentare di proporzioni non indifferenti: una categoria in cui il pilota migliore, Jonathan Rea, guida la moto migliore, la Kawasaki ZX-10RR. Ed è facile intuire, già a priori, i possibili risultati che si possono ottenere, ovvero un campionato la cui competizione viene massacrata con l’accetta. Quest’anno, fatta eccezione per alcune manche come a Phillip Island e Misano, non si sono mai visti outsider in grado di sorprendere i big e lottare per il podio.
È stato davvero questo il mondiale… anzi, i mondiali degli ultimi anni? Campionati senza competizione per l’uomo da battere? Beh… ni. Di certo Johnny ha dimostrato come questi tre titoli siano tutto frutto delle sue abilità, e i vantaggi spropositati nelle classifiche generali lo confermano. Non so voi, ma avere 148 punti di vantaggio su un pilota come Chaz Davies (che sì, ha avuto una stagione al di sotto delle aspettative ma comunque buona) non è una cosa normale o indifferente. E lo stesso vale per il povero Sykes, che dopo un 2015 in cui ha preso mazzate dal neo-arrivato e un 2016 che invece lo ha visto quantomeno reggere meglio il confronto, nel 2017 è entrato in una crisi nera come la pece, non riuscendo nemmeno nella sua classica doppietta di Donington. E stiamo pur sempre parlando di un ex-campione del mondo.
Sono quindi i piloti, gli avversari di Jonathan Rea, il problema? Questa volta credo che la risposta sia un “no” deciso. Se si analizza squadra per squadra tutti i piloti dei principali team, scopriremo come gran parte di essi avrebbero le carte in regola per essere degli ottimi outsider nel corso di un campionato: abbiamo campioni provenienti dalla Supersport (van der Mark e Laverty), dalla Superstock (i nostri Raffaele De Rosa e Lorenzo Savadori), volti provenienti dal BSB (Alex Lowes) e persino ex-campioni, capaci di conquistare la corona pochissimi anni fa, prima dell’“era Rea” (Guintoli). Purtroppo per tutti loro il mezzo, che sia una Yamaha, un’Aprilia o una BMW, non è minimamente comparabile alle Ninja e nemmeno alle Ducati Panigale di Davies e Melandri, a causa di gestioni non eccellenti dei progetti, poco interesse delle Case (in particolare quelle giapponesi) e di fondi limitati per i team privati che gareggiano. A conti fatti quindi, le moto in lotta per la vittoria sono sempre quattro, che si riducono poi a due o addirittura a una spesse volte.
La situazione in cui Rea si trova al momento è similare a quella di un Valentino Rossi nel suo periodo d’oro con la Honda. Rossi, il pilota migliore in MotoGP (che fino all’anno prima si chiamava 500cc), aveva a disposizione il mezzo migliore, la leggendaria RC211V sfornata dalla Casa dell’Ala Dorata. Risultato? Il biondo pesarese conquistò undici successi nel 2002, a cui si aggiunse anche la vittoria di Ukawa in Sudafrica, e il suo quarto titolo, mentre l’anno dopo l’eroe di Tavullia concluse sedici gare su sedici sul podio (nove vittorie, cinque secondi posti e due terzi) e la sua avventura in HRC nel modo migliore possibile. Solo i rivali Biaggi e Gibernau (che possiamo individuare come i Davies e i Sykes di allora) riuscirono ogni tanto a mettergli i bastoni fra le ruote, ma solo per ottenere le briciole. Come Rossi quindici anni fa, il tre volte campione del mondo si ritrova ora nel medesimo caso, senza rivali all’orizzonte che possano farlo sudare sulla lunga distanza di campionato.
Dopo aver ricomposto il quadro generale di questa situazione, veniamo al nocciolo della questione: come risolvere tutto il patatrac saltato fuori da questa serie di eventi? Dorna ha provato già a dire la sua, promuovendo (con non poche difficoltà) un regolamento nuovo per il 2018, con introduzione di una sottospecie di “Balance of Performance” stile WEC o, proprio per fare paragoni con categorie messe anche peggio, il WTCC. Le limitazioni ai giri del motore che affliggeranno le moto più forti, sulla carta, potrebbero essere anche una scelta vincente, quindi per il momento non esprimo giudizio a riguardo. Il sistema a punti per gli upgrade motoristici per livellare la situazione tra team ufficiali e privati potrebbe invece porre grossi problemi di comprensione per quei team che godono già di supporto dalla Casa madre (come il team Puccetti col futuro debuttante Razgatlioglu). E infine, l’inserimento di alcune componenti motoristiche nella lista della componentistica “a basso costo” per i team, in aggiunta a freni e sospensioni.
Difficile dire se queste modifiche regolamentari aiuteranno o meno, ma di certo spero abbiano un risvolto migliore di quello della terribile regola sull’inversione della griglia. Tredici partenze in gara-2 non sono bastate a Lavilla e compagnia per capire come quest’abominio (che onestamente non ha altra descrizione) non solo non ha livellato le prestazioni, ma ha addirittura mostrato il gap mastodontico che c’è, persino nel sistema di partenza, tra Ducati, Kawasaki e tutte le altre concorrenti. E nonostante tutto, la regola rimarrà valida anche per l’anno venturo. Allegria proprio, e ancora più allegria nel sapere come pure l’idea di disputare la prima manche nello stesso giorno delle prove sia rimasta inalterata.
Nell’attesa di sapere se questi provvedimenti presi pochi giorni fa da Dorna saranno efficienti, propongo di mettere qui, per iscritto, tutte le possibili idee per ridare interesse alla formula. Ribadisco come queste siano idee e ipotesi pure e semplici, pensieri soggettivi con i loro pro e contro visti a mente fredda, quindi molto probabilmente alcuni di essi non saranno nemmeno realizzabili. Ma sognare non costa nulla, no? E quindi partiamo.
Centralina | Avendo funzionato in MotoGP, la soluzione della centralina unica potrebbe rivelarsi buona. E infatti… si è deciso di rimandare il suo utilizzo di almeno un anno. Rimanendo seri, produrre una centralina fatta su misura da un produttore unico (come Kawasaki, che in estate si è proposta per la produzione con l’ovvio “no” da parte di Ducati) può essere un serio problema, poiché trovare un accordo su chi debba avere questo “privilegio” potrebbe rendere la discussione lunga mesi interi, se non anni.
Calendario | Inserire in calendario eventi in luoghi con mercati proficui per le Case motociclistiche più blasonate potrebbe rivelarsi una buonissima idea, a fianco ovviamente dei “grandi classici” dove veder gareggiare le derivate di serie (come Imola o Donington, che sembrano rimasti tra i pochi luoghi in grado ancora di attirare pubblico). Tra le possibili tappe in grado di invogliare le Case a investire inserirei l’Argentina (che sarà inserita in calendario nel 2018) e anche il Giappone, il quale potrebbe dare la spinta decisiva a Yamaha e a Honda per tornare a dare il massimo anche in questa serie. Tra i miei desideri personali inserirei anche la Russia con il suo tracciato a Mosca, anche se non gode di certo di un’ottima fama dopo la morte in pista di Andrea Antonelli. Il problema che tutte queste tappe hanno in comune è il costo per raggiungerle, di certo non irrisorio e quindi difficile da affrontare per i team minori.
Nuovi talenti | Più che una proposta, questa è una realtà che già da un paio di anni si è concretizzata via via sempre di più. Piloti come van der Mark, Savadori o i prossimi in arrivo, cioè Rinaldi e Razgatlioglu, rappresentano una possibile e nuova linfa vitale per risvegliare i fan e ridare loro interesse. Un’occasione da non farsi scappare, in particolare col piccolo fenomeno turco che sembrerebbe davvero capace di cose straordinarie in sella alle Kawasaki del team Puccetti.
Ispirarsi alle altre classi | Come detto più volte da giornalisti focalizzati sull’argomento, la crisi Superbike sembra affliggere unicamente il prodotto della classe maggiore, e sembra quasi irreale che la Superstock 1000, che corre con le stesse moto ma con una centralina meno raffinata, gomme non slick e parti del telaio in alcuni casi differenti (come per il forcellone), sia di gran lunga più interessante e più combattuta e lo dimostra il fatto che la lotta per il titolo si sia allungata fino all’ultimo round a Jerez. Una buona idea sarebbe anche quella di prendere spunto dalla Superbike inglese, che rapisce tutt’oggi il pubblico britannico con corse al limite e molto spettacolari e con moto prive, nel modo più assoluto, di aiuti elettronici. Persino la Supersport 600, anche qui luogo in cui un mattatore fa piazza pulita (Sofuoglu solitamente), regala e ha regalato nel 2017 più emozioni della SBK.
Pubblico | (Ri)Avvicinarsi al proprio pubblico facendo riassaporare la vecchia magia che contraddistingueva il mondiale è d’obbligo. Di certo rivedere battaglie accese in questo mondiale non sarebbe male per i fan, ma forse anche a livello pubblicitario si potrebbe fare di meglio. La scomparsa dalle scene e dalle quinte di leggende come Troy Bayliss e Max Biaggi non ha sicuramente aiutato. Si sa, la nostalgia rende tutto più dolce, quindi riavvicinare questi personaggi ai paddock della SBK non sarebbe male.
Con questo abbiamo elencato alcuni, non tutti chiaramente, possibili rimedi che sulla carta potrebbero risolvere i guai in cui il mondiale si trova. Io e (credo) molti dei lettori di quest’articolo vorremmo vedere il prodotto in salute e in grado di far alzare in piedi il pubblico all’ultimo giro di ogni gara, un po’ come la MotoGP sta riuscendo a fare attualmente nonostante la presenza del binomio Marquez-Honda. Con la buona volontà e il desiderio di rendere proficuo e avvincente anche questo campionato, sono sicuro che la Dorna abbia le carte in regola per farlo. Bisognerà vedere, tra poco più di tre mesi, se ce l’avrà fatta.
Fonte immagine: worldsbk.com
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