Un giorno che non dobbiamo dimenticare

F1GP GiapponeGran Premi
Tempo di lettura: 5 minuti
di Alessandra Leoni @herroyalblues
7 Ottobre 2014 - 19:15
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In questi giorni, trovare delle parole adeguate per esprimere il proprio punto di vista sul terribile incidente occorso a Jules Bianchi, è difficile. Si rischia di fare la figura della persona superficiale, della disinformata (che vuole fare informazione), della persona scontata e banale, o della inutilmente polemica, con pochi fatti a disposizione per dimostrare la bontà delle proprie opinioni.

In questi giorni, si è detto molto, moltissimo – tutto e il contrario di tutto. Come al solito s è andati a caccia di indiscrezioni, voci, pettegolezzi (poi smentiti), e si è andati a caccia del dettaglio rivoltante per avere qualche visita in più, sbattendo in prima pagina la Marussia distrutta e mettendo in evidenza e in massima condivisione il video dell’impatto del 25enne – video che è stato prontamente rimosso dai canali “free” come YouTube, ma che le grandi testate continuano ad avere a disposizione.

C’è solo una cosa che vorrei dire: non dobbiamo dimenticare quello che è successo domenica. Non dobbiamo dimenticare, perché quello che è successo è il solito “dramma-risveglia-coscienze” che arriva quando la corda viene tirata quella volta di troppo, da parte di chi è indaffarato a contare le banconote da 500 €. Loro continueranno a contare le banconote, perché sicuramente domenica si correrà a Sochi come se niente fosse successo, noi invece, tra giornalisti, professionisti, ma anche solo fan e appassionati, dobbiamo far sentire la nostra voce e far arrivare il messaggio che così non si può andare avanti, che ci sono già stati tanti segnali negli ultimi anni, che indicavano che qualcosa avrebbe dovuto essere messo in discussione, di nuovo, in F1.

Stamattina ho trovato questo bellissimo intervento (che riporto tradotto in parte) dal titolo: “A Day F1 Fans Would Love To Forget… But Shouldn’t“. Ovvero: un giorno che i fan di F1 vorrebbero tanto dimenticare… Ma non dovrebbero.

Non dobbiamo dimenticare questo giorno e dobbiamo fare in modo che da qui le cose possano cambiare veramente. Ma non dobbiamo dimenticare che non dobbiamo aspettare la tragedia perché si faccia qualcosa. Anche nella nostra vita quotidiana.

Sono passati già vent’anni da quel tragico weekend a Imola – quando la F1 ha perso sia Roland Ratzenberger e Ayrton Senna. Potevano essere tre, se Rubens Barrichello non fosse sopravvissuto. Quel weekend è stata una sveglia per lo sport, una chiamata a cui ha prontamente seguito un’enorme enfasi sulla sicurezza nella disciplina. Va detto che la F1 è diventata estremamente sicura. Va detto che la FIA e la F1 hanno fatto un lavoro fantastico, rispettando la sicurezza nel motorsport.

Da allora, abbiamo avuto dei momenti che hanno istigato discussioni, ma non hanno avuto come risultato un passo significativo in avanti. Nel 2009, in Ungheria, una molla della sospensione si è levata dalla monoposto di Barrichello, durante le qualifiche, e ha colpito il casco di Felipe Massa. In qualche modo, e ringraziando il cielo, Massa è sopravvissuto. Da quella volta, era stata lanciata l’idea di fare degli abitacoli chiusi, ma niente è stato fatto. Forse perché Massa è sopravvissuto e si è ripreso, e l’incidente è stato molto atipico.

Passiamo al 2012, quando Maria De Villota ha subito danni alla testa all’Aerodromo di Duxford, durante un test per la Marussia. Lei si è poi ripresa, per quanto abbia perso un occhio, e i sensi dell’olfatto e del gusto. Nell’Ottobre 2013 (un anno dopo essere riapparsa in pubblico), è morta a causa di un arresto cardiaco, reputato come una delle conseguenze del suo incidente, e dei danni che il cervello ha subito nell’incidente. È stato, ancora una volta, un pro-memoria dei pericoli di questo sport e un’altra occasione persa per esprimere preoccupazione verso la sicurezza.

Durante il Gran Premio del Belgio, nel 2012, vedere Grosjean volare sopra il muso della monoposto di Fernando Alonso, è qualcosa che ancora mi perseguita. L’incidente è avvenuto in una manciata di secondi e poteva costare la vita ad Alonso, per qualche centimetro di meno. Di nuovo, le chiacchiere circa l’eventualità di un abitacolo chiuso erano tornate a circolare. Si era espressa preoccupazione per la sicurezza dei piloti in F1, a causa dell’abitacolo aperto, ma chiuderlo non sarebbe stata la risposta definitiva.

L’incidente occorso a Jules Bianchi ha riaperto la questione circa la sicurezza. Non era così impossibile prevederlo. Laddove c’è un incidente, ne può seguire un altro, specialmente in condizioni di pioggia e di aquaplaning, che rendono i piloti dei meri passeggeri in men che non si dica. Si poteva correre anticipando la gara e in condizioni più asciutte, è stato suggerito. Altri hanno obiettato il correre la gara con la minaccia del tifone sempre presente. I danni alla testa di Bianchi non solo possono essere decisivi per la carriera, ma minacciano pure la sua vita.

Non sempre sono d’accordo con Niki Lauda, e due volte nel paddock, mi è capitato di essere un po’ intimidito da lui, e ho cercato di esprimermi sempre con cautela. Niki è molto schietto, ma dice cose sensate (che ci piaccia o no). Ha detto: “Il motorsport è pericoloso. Ci abituiamo quando non succede niente, e poi all’improvviso ne rimaniamo sorpresi”. Non ci vuole molto per essere d’accordo su questo punto.

Spesso, qualcosa di tragico deve succedere perché si faccia qualcosa. Si può applicare alla nostra vita quotidiana, a casa, o in ufficio: qualcuno deve cadere dalle scale per poter installare un corrimano, per esempio. Sia la FIA che la F1 sono molto proattive, ma anche reattive, in certi casi. È una linea sottile difficile da bilanciare. Non tutte le situazioni possono essere previste o prevenute, ma l’incidente di oggi potrà portare a decisioni più caute circa il correre in condizioni non clementi.

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Un Commento su “Un giorno che non dobbiamo dimenticare”
DaniMotorSport dice:

Concordo in toto con tutto l’articolo anche se ho paura che qualcuno (FIA) la vorrà dimenticare presto……

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