Tre diapason a oltranza

BlogParola di Corsaro
Tempo di lettura: 5 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
8 Giugno 2018 - 09:00

Rossi 72 punti, Viñales 67, Zarco 64. Osservando la classifica dei tre uomini di punta Yamaha, con Marc Márquez in testa a 95, si potrebbe anche dire che la situazione non sia così tragica. È vero, 23 punti di distacco per il primo inseguitore dopo solo sei gare non sono bruscolini, ma è altrettanto vero che gli uomini di Iwata hanno ancora tredici tappe per ribaltare la situazione a proprio favore. Quindi, tutte le parole riguardanti la crisi Yamaha sarebbero state buttate al vento? Tutto andrebbe a gonfie vele per i giapponesi?

Direi proprio di no, per entrambe le domande. È vero, il distacco dalla testa non è ancora abissale ed è perfettamente colmabile, ma le ultime stagioni ci hanno abituato a una Yamaha in grado di costruire il proprio vantaggio di punti e risultati in campionato proprio nella prima metà di campionato, fino ad Assen circa. A oggi, il 2018 di Iwata registra zero vittorie nelle prime sei gare, una cosa che non accadeva dal 2003, ed è l’unico dei tre marchi principali a non aver ancora assaggiato il gusto del successo.

Continuando con le statistiche, la discrepanza tra efficacia della moto ed effettivi risultati aumenta in continuazione. La M1, incredibile ma vero, è la moto che finora ha ottenuto più piazzamenti a podio in queste sei gare, e l’unica a esserci riuscita in tutti i GP disputatisi. Alcuni eventi hanno di certo influito moltissimo (come la gara anomala dell’Argentina e lo strike a tre in Spagna) ma pensandoci è una faccenda parecchio seria e curiosa. È come se questa M1, nonostante le palesi difficoltà nell’esprimere il proprio potenziale, riuscisse sempre e comunque a dare qualche sprazzo convincente.

Anche il dato sulle qualifiche è impressionante: di sei qualificazioni effettuate, la quattro cilindri in linea è partita al palo ben quattro volte (scartando però la prima posizione di Viñales in Texas, merito della penalizzazione di Marc Márquez). Un ulteriore prova di come la “coperta Yamaha” sia anche più corta di quella degli avversari. Cercare la prestazione in qualifica si traduce poi in gare passate per almeno metà in difesa, per poi solo nel finale accelerare (come successo a Rossi sia al Mugello che a Jerez).

Molte pezze le stanno mettendo i piloti, inutile nasconderlo. Tralasciando Syahrin, capitato suo malgrado sulla moto clienti per riempire il buco lasciato dal povero Folger, le tre punte della casa giapponese se possibile ci fanno capire ancora meno sulle reali potenzialità della moto. Zarco, essendo molto piccolo e di conseguenza leggero di statura, sembra aver elaborato una maniera di guidare la moto efficiente ma poco amichevole per le Michelin sulla lunga distanza; Rossi, dopo aver capito che per il momento Yamaha non sembra uscire da questi grattacapi, parrebbe aver modificato il proprio stile di guida per assecondare la sua moto, come fosse un’amica pignola a cui dare corda. I due sono quelli che più hanno esaltato tutti in sella alla moto di Iwata, autori di tre pole sensazionali in Qatar, Francia (Zarco) e Italia (Rossi).

Ma nonostante i loro sforzi, gli avversari sembrano ancora ben più avanti e la situazione di Yamaha forse è rispecchiata più dal pilota più deludente in questo inizio di stagione. Maverick Viñales l’ha detto apertamente, oramai: lui e tutto il suo team hanno le idee confuse, non si capacitano di avere una moto da prima fila il sabato e poi un “macinino” con l’aumento del caldo la domenica. E “Top Gun” pare essere stufo di questa tremenda e confusionaria situazione: passare dalle stelle alle stalle nel giro di un anno, perdendo competitività e chiaramente anche la testa della classifica, non era di certo nei suoi piani quando ha rinnovato fino al 2020. Dal canto mio continuo a dire che l’atteggiamento di Maverick non mi piace per nulla: il continuare a ripetere che la moto “non va” senza dare spiegazioni adeguate a riguardo, forse, è solo un modo per non comunicare troppe informazioni anche ai media riguardo le grane del team, ma se spiegasse così i problemi anche al suo team non sarebbe affatto d’aiuto.

Vero anche che, dall’altra parte, Valentino Rossi non sembra saper più cosa incolpare per dare una spiegazione alla mancanza di risultati. Prima le gomme nuove portate da Michelin nel 2017 (proprio al Mugello), poi le carene, il telaio e infine la centralina. E se anche questa non si rivelasse il problema? Significherebbe che Yamaha dovrà continuare l’annata brancolando nel buio… più di quanto già faccia, s’intende. Forse la mancanza di un pilota molto esperto sulla M1 come Lorenzo ha tagliato loro le gambe, ma mi pare difficile che Rossi, durante la presenza del maiorchino, non dicesse già la sua in merito allo sviluppo del prototipo; che sia allora stato l’arrivo di Viñales, con uno stile proveniente dalla Moto2 da accontentare, a scombussolare totalmente i piani? Non direi nemmeno questo, visto l’arrivo esplosivo ai test fine 2016, con tempi da capogiro sin da subito.

L’ingaggio di Lorenzo forse sarebbe stato determinante per il team, anche per avere un team privato nuovo dopo l’addio di Tech3 (che sarebbe stato ben disposto a ospitare il maiorchino, chiaramente). Ed è per questo che la mossa fatta da Honda ieri pomeriggio, con l’ingaggio di Jorge Lorenzo, dà più fastidio alla Yamaha che alla Ducati stessa: se davvero un ritorno alla Yamaha per Jorge sarebbe stato abbastanza problematico per i connazionali della Honda, toglierlo dal mercato è come aver tagliato di netto le gambe al team Yamaha anche per il 2019 (sulla carta almeno).

La speranza è che Yamaha ritrovi la quadra in fretta, e non credo sia una speranza solo mia ma di tutti i fan della MotoGP, assetati di duelli e battaglie. Rossi, Viñales e anche Zarco avrebbero tutto ciò che serve per combattere con Honda e Ducati, tranne il mezzo appunto. Lin Jarvis e soci dovranno rimboccarsi le mani insieme ai piloti, perché i miracoli non avvengono da soli.

Fonte immagine: motogp.com

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