Tra W Series e F1 Academy: il motorsport femminile cosa vuole essere da grande?

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Tempo di lettura: 14 minuti
di Matteo Gaudieri
24 Dicembre 2022 - 14:00
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Chiuso un campionato, se ne fa un altro. La transizione da W Series a F1 Academy ha segnato una parentesi negativa nel movimento rosa del motorsport che tanto bene sta facendo con altre iniziative

Far capire al mondo intero l’importanza di supportare il movimento femminile nel motorsport, stranamente, è davvero complicato. Un tentativo era stato fatto in Gran Bretagna con la dimenticata “Formula Women” tra il 2004 e il 2006, senza raggiungere il fine previsto. Ci ha pensato successivamente la FIA a fare un primo vero passo avanti con la creazione di “FIA Women in Motorsport” nel 2009, ma poco si è raggiunto sin da allora. Guardando alle categorie propedeutiche che seguono la F1, solamente Tatiana Calderón, Vicky Piria, Carmen Jordá, Sophia Flörsch e poche altre sono riuscite a raggiungere quei paddock senza ottenere risultati eclatanti.

Mancava ancora qualcosa e la montagna da scalare era alta, soprattutto per combattere il famoso luogo comune della donna in cucina che tanto ha sminuito la figura femminile: a memoria, ricordo una battuta di Sergio Perez dopo le prove libere del Gran Premio di Gran Bretagna del 2014, ove il messicano si è detto felice per il debutto di Susie Wolff in Williams, ma questa positività si è scontrata col muro della vergogna al solo pensiero di essere battuti dal gentil sesso.

Il machismo che tanto invade l’ambiente delle corse motoristiche ha precluso opportunità a chi le meritava e il caso di Emma Kimiläinen credo che sia il più eclatante: la finlandese, dopo una convincente stagione in Formula Palmer Audi nel 2009, cercò l’occasione in Indy Lights, ma tutto si fermò bruscamente a causa delle richieste di foto in topless del main sponsor (un magazine per adulti) della scuderia candidata numero uno a darle un sedile. Tale dinamica ha posto un freno alla sua carriera ed Emma tornò in pista solamente nel 2014. Nel voler essere maliziosi, le continue “mancanze di fondi” che si leggono in giro probabilmente nascondono altro.

Riavvolgendo il nastro agli ultimi anni, tanti sono stati i progetti fondati per alimentare il movimento femminile come “The Girls on Track” della Federazione, con tanto di supporto anche da parte della Ferrari Driver Academy, e Iron Dames. Tra questi, ce n’è stato uno in particolare che tanto ha fatto discutere l’opinione pubblica, ricevendo subito l’etichetta di “controverso” per come è stato strutturato, un qualcosa di apparentemente nuovo ma che in realtà ha tante similitudini con quella Formula Women già citata che non è mai andata oltre un certo confine: la W Series.

Ma perché era così tanto criticata? In un mondo in cui si lotta la parità dei sessi, il format della W Series risultava stonato: un campionato dedicato esclusivamente alle donne che sembrava alzare dei muri piuttosto che abbatterli; persino Flörsch ha espresso tanta disapprovazione verso questo programma. L’intento nobile della serie non è mai stato capito dal grande pubblico, forse più per pigrizia che per ignoranza in questo frangente, ma la verità è che, per com’è stato organizzato, c’era armonia. Parliamo comunque di dare la possibilità a delle ragazze giovani in rampa di lancio o a delle veterane di mettersi in macchina, di competere tra loro in modo completamente gratuito (non esisteva una tassa di iscrizione), di avere materiale tecnico equo in tutto e per tutto anche grazie all’assenza di vere e proprie squadre e di poter, di conseguenza, migliorare la propria immagine, macinare chilometri utili per poi sbarcare altrove.

La prima edizione, quella del 2019, si è rivelata interessante nelle partecipanti, nel suo essere novità e nella competitività delle gare. Si è laureata campionessa Jamie Chadwick, che ha ricevuto in premio cinquecentomila dollari americani per finanziare il proprio futuro. Fin qui nulla di male, ma i problemi sorgono con l’avvento della pandemia: il 2020 sportivo viene cancellato (nonostante comunque in molti tra gli organizzatori di diverse serie siano riusciti a organizzare una stagione all’interno del vecchio continente) e si è passati dunque all’eSport con la creazione di “W Series Esports League”, un campionato sul simulatore iRacing con tanto di dirette sulla piattaforma streaming Twitch e creato con l’unico scopo di permettere alle ragazze di poter restare in qualche modo in attività.

Si passa al 2021, dove la W Series torna in pista come serie di supporto della F1. Un passo in avanti molto importante in termini di visibilità se si va a considerare la gioventù della serie. Le parole del CEO della W Series, Catherine Bond Muir sono gloriose: “[…] quando promettemmo che la W Series sarebbe diventata più grande e migliore in futuro, la partnership con la F1 è sempre stata l’obiettivo finale“. Una crescita quella citata dalla Muir che apparentemente c’è stata, ma all’interno qualcosa iniziava a scricchiolare. Vince ancora Chadwick, si passa al 2022, insorgono i problemi economici e il round di Singapore chiude anticipatamente il campionato e, forse, stacca la spina che teneva in vita la W Series dopo i problemi economici. E nel frattempo nasce la F1 Academy.

La poca e frettolosa programmazione a breve e a lungo termine

Come già scritto, il 2019 si è rivelato un anno interessante come stagione pilota della serie, destando curiosità e allo stesso tempo scetticismo per quella che, nell’immaginario collettivo, pareva più essere una setta che un vero e proprio aiuto. La cancellazione del campionato 2020 è stato un duro colpo a livello economico, aumentando la forbice del passivo; per una serie che non aveva alcun tipo di guadagno dalle iscrizioni di squadre (strutture che formalmente nemmeno c’erano) e piloti è stato un duro colpo.

La sopravvalutazione della stessa W Series è stata sicuramente la chiave che ha condotto il progetto a questo epilogo. Il 2021, per quanto ottima a livello mediatico la scelta di seguire la Formula 1, ha rappresentato il passo più lungo della gamba che ha aumentato i costi: pensiamo solamente alla trasferta in USA, a cui si sarebbe dovuta aggiungere l’originale finale di Città del Messico stroncata solo dalla pandemia.

Organizzare dunque un double header dall’altra parte dell’oceano ha un prezzo e i campionati formula che si possono permettere tale spesa sono solamente quelli continentali o serie sufficientemente grandi da poter viaggiare in lungo e in largo, come la Formula 1. Perché ho scritto di “Sopravvalutazione della W Series”? Perché il CEO aveva parlato, in sede di annuncio della partnership col Circus, di crescita di importanza della W Series; parole forse troppo generose dopo un solo anno di pista e un altro passato su iRacing. Troppa ambizione per un campionato che, a conti fatti, è una serie Formula Regional.

Si è passati da un estremo all’altro, dal seguire il DTM ad arrivare al paddock della massima espressione del motorsport, senza una programmazione graduale. Non si è pensati a ad avviare la partnership partendo da un numero ridotto di weekend per poi aumentare la quantità nel corso degli anni, ma direttamente concentrando l’intero calendario sin da subito. E nel 2022 questa scelta ha portato alla chiusura anticipata della stagione, in quanto la W Series si è trovata impossibilitata ad affrontare, oltre alla trasferta americana, anche l’aggiunta delle tappe asiatiche. Ci tengo a evidenziare quanto sia stato faticoso permettere lo svolgimento del round di Singapore in mezzo a infinite certezze, a scontri con le pilote e affrontando la tappa con uno staff ridotto e senza copertura televisiva completa sull’attività in pista.

La divisione a squadre attuata nel 2021 poteva essere una vetrina funzionale per poter attirare nuovi potenziali investitori, arrivando a un vantaggio condiviso: loro sarebbero arrivati a mostrare il marchio sulle vetture diventando titolari di un team, mentre la W Series avrebbe avuto introiti dalle sponsorizzazioni. Oltre a Puma, che si è unita al progetto sin dalla sua nascita grazie al proprio programma “She Moves Us”, si sono presentati solo nel 2022 delle aziende il cui riferimento era… la criptovaluta. Certamente qualcosa di poco rassicurante, per quanto questo fenomeno si stesse diffondendo a macchia d’olio in tutto il motorsport. Le compagini impegnate tra 2021 e 2022 sono state le seguenti:

Tra l’anno passato e quello corrente si possono notare diversi cambiamenti in negativo, passando da Forbes che ha promesso un impegno a lungo termine allo schema Ponzi dell’economia attuale, rappresentato da CortDAO e Quantfury. Un piccolo segnale che è passato troppo in sordina ma, rileggendo le dichiarazioni colme di entusiasmo di chi è stato presente nella griglia di partenza del 2021, si può intuire a posteriori come qualcosa stesse già scricchiolando alla base, fino alle crepe che hanno sconquassato tutte le fondamenta di un progetto nato con tanto potenziale.

La felicità di esserci è praticamente svanita subito, testimoniata da quanti elementi hanno poi abbandonato il campionato: oltre a Forbes, notiamo la scomparsa dell’unica vera squadra, ossia Veloce Racing, e di The Bunker. A sostituirli ci ha pensato anche Caytlin Jenner, un nome che ha avuto trascorsi all’interno degli sport motoristici e non e che, dunque, ha vissuto in prima persona cosa significhi competere. Un acquisto che ha lanciato un indizio su cosa volesse davvero la W Series con quella specifica mossa, ossia cercare di raggiungere quel pubblico che, forse, col motorsport ha sempre avuto poco a che fare, arrivando all’attenzione di questi soggetti con l’idea di una nuova competizione dalle forti tinte rosee in un ambiente principalmente dominato dai maschi. Quello che traspariva maggiormente dall’organizzazione era la volontà di puntare tutto sull’originalità di un’esclusiva al femminile, così da far breccia su più fronti dal punto di vista mediatico (e si torna dunque all’ingresso di Jenner) e strategico lato marketing.

L’errore di una ricerca ossessionata dei riflettori è risalito a galla con il loro supporto verso la causa dell’inclusività transgender nello sport, andando contro il pensiero della celebrità televisiva statunitense. Un’incongruenza non da poco, dato che Jenner portava con sé anche tante controversie e tanto astio dalla comunità transgender del mondo.

Due auto appartenevano anche alla W Series Academy, progetto che includeva le più giovani ragazze della griglia e che permetteva loro di usufruire di strutture e tutoraggio al fine di migliorare, oltre a garantire la loro presenza nella serie nella stagione successiva. La premessa era straordinaria, ma l’esecuzione lo è stata meno a causa di un raggio d’azione troppo ristretto e di una mancata visualizzazione di un fine a lungo termine: le pilote cambiavano ogni anno e non era concesso, dunque, di dare continuità al lavoro iniziato. Inoltre, l’Academy non si concentrava sul supportare il movimento femminile al di fuori del campionato, cosa che sarebbe stata ideale. Per fronteggiare un incredibile aumento dei costi all’interno del motorsport servono iniziative, specialmente se utili a supportare una minoranza per espandere tale movimento. Le varie case costruttrici o scuderie presenti nel globo non offrono le proprie strutture gratuitamente; la W Series si sarebbe dovuta inserire in tale contesto, garantendo un percorso di crescita a chi, da bambina, ha preferito indossare un casco e salire su un kart. È davvero una rarità vedere un programma di giovani piloti cambiare così tanti volti di anno in anno: se penso solo alla Ferrari Driver Academy, Charles Leclerc è l’alfiere più rappresentativo e ne ha fatto parte dalla GP3 sino all’approdo alla corte del Cavallino avvenuto nel 2019.

Passando invece alla pista, la W Series è riuscita a portare ben quattro ragazze a svolgere dei test di F3 negli ultimi due anni, illudendo su una possibile collaborazione tra le parti al fine di integrare il campionato all’interno dello schema piramidale delle serie propedeutiche della F1. Così non è stato: questi test si sono rivelati fini a sé stessi e senza alcun tipo di sbocco per il futuro. Personalmente, avrei preferito vedere la W Series creare una propria squadra in F3 costringendo le prime tre classificate del proprio campionato a comporre la line-up per la cadetteria, così da iniziare a tingere di rosa il mercato piloti bloccando possibili ritorni delle vincitrici all’ovile, aumentando dunque la possibilità delle altre ragazze di risaltare in W Series. Secondo la mia ipotesi, sarebbe stata questa la vera occasione per Jamie Chadwick di mettersi in mostra piuttosto che accontentarsi della chiamata all’ultimo minuto in Formula Regional del 2020; sarebbe stata questa un’ottima possibilità per Alice Powell, Emma Kimiläinen e Beitske Visser di poter fronteggiare una griglia di talenti di livello internazionale, virando poi verso le ruote coperte visto il loro status di veterane.

Tale insieme avrebbe permesso alle giovani Marta García, Nerea Martí, Belen García, Irina Sidorkova ecc. di guadagnare posizioni in classifica generale grazie alle assenze delle pilote top, acciuffando il posto in F3 per mettersi davvero in gioco, ricevendo dunque la tanto attesa chance che la Formula al femminile avrebbe dovuto garantire rilanciando le quotazioni rosa nel paddock. L’effetto, invece è stato l’opposto, perché dall’essere un trampolino di lancio la serie è stata tramutata in una piattaforma che non mira verso l’alto: l’esempio più incredibile è stato quello di Léna Bühler che, piuttosto che correre gratuitamente in W Series, ha preferito rinunciare a gareggiare per concentrarsi nella ricerca fondi al fine di puntare ad altre serie.

E il progetto eSport? Un nulla di fatto: il canale Twitch è stato usato solamente per trasmettere quell’attività in pista non bloccata dalle televisioni, ma di competizioni virtuali organizzate dalla serie non c’è stata alcuna traccia dopo il 2020. Per di più, la W Series avrebbe dovuto partecipare alla 24h di Le Mans organizzata da Virtual Le Mans Series, ma non ha mai preso il via a causa di problemi tecnici.

Il futuro in alto mare e l’arrivo della F1 Academy

Come già anticipato, la crisi interna ha messo fine alla stagione 2022 della W Series e ha creato tanti punti interrogativi sul futuro. Sembrava alquanto strano che una serie indipendente potesse imporre la propria forza all’interno di organizzazioni capeggiate dalla FIA e, forse, la stessa Federazione ha giocato un ruolo importante nel raggiungimento di questo epilogo: non sembra troppo casuale che, una volta accertata la crisi in W Series, iniziasse a girare qualche voce di troppo circa l’intenzione della F1 di organizzare un campionato femminile. Non sarebbe una prima volta: la volontà della FIA di avere un monopolio si è vista con quanto fatto nel contesto dei campionati Touring Car, con la prima creazione della F2 per fronteggiare la GP2 (salvo poi comprare quest’ultima) e, infine, con l’unificazione della GP3 e della Formula 3 europea.

La possibilità di diventare serie di supporto del Circus è stata forse la trappola decisiva per sbaragliare la strada al nuovo progetto consegnato nelle mani di Formula Motorsport Limited. La F1 Academy nasce con la schiena coperta e senza alcuna possibilità di fallire economicamente, viste e considerate soprattutto le forze in campo dietro a quella che, pubblicamente, non si è mai posta come la risposta alla W Series, quando la realtà dice esattamente il contrario.

Sarà una F4 la vettura e non una Formula Regional quella che le ragazze dovranno guidare e il vantaggio dal punto di vista economico lo si vede già da questo. Quello che può far storcere il naso è che, nonostante tutto, una tassa di iscrizione ci sarà, seppur conveniente rispetto al quasi mezzo milione circa (anche qualcosa di più) che le squadre di F4 possono arrivare a chiedere nei vari campionati nazionali.

In tutto questo trambusto però è venuto meno l’agire in supporto delle donne. Per alimentare questa carenza rosa servono coesione e collaborazione per arrivare a un unico fine, integrando il proprio lavoro all’interno della piramide delle serie propedeutiche senza sostituirsi a vicenda.

La possibile perdita della W Series rappresenterebbe, nonostante le lacune raccontate e scritte, un brutto colpo per l’intero movimento, che andrebbe a perdere un campionato che avrebbe permesso alle ragazze di scontrarsi tra loro senza il peso di cercare sponsor e soldi. Il motorsport femminile ha bisogno del coinvolgimento di quante più forze possibili in campo, perché per diventare grandi non basta una campagna di marketing ben riuscita. Iron Dames non ha mai avuto bisogno di troppa pubblicità, nemmeno “The Girls on Track”: il segreto del loro successo è quello di aver avuto una progettazione solida e, infatti, funzionano a meraviglia.

Forse la W Series avrebbe potuto bussare alla porta di qualche costruttore per garantire alle ragazze uno sbocco importante verso il futuro, forse avrebbe potuto seguire il mio esempio con la F3. F1 Academy, rispetto a loro, parte con molte più certezze analizzando quali strutture hanno deciso di partecipare: un esempio su tutti è Prema, regina delle formule propedeutiche. Ma cosa potrebbe dare in più rispetto alla W Series? Si rischierebbe di tornare punto e a capo, con la temibile possibilità di vedere le pilote bloccate nel limbo perché impossibilitate a emergere. Cosa vuole essere il motorsport femminile da grande? Un vero e coeso movimento o uno specchietto per le allodole e frastagliato negli intenti?

Immagine di copertina: Facebook / W Series

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