Il 2020 si preannuncia come un anno importante per la Superbike: è l’inizio di un nuovo decennio di corse, che necessita di un tono e un’importanza decisamente diversi rispetto a quello che si è appena concluso. La perdita d’importanza che le derivate di serie hanno subito è palpabile e molti, moltissimi, rimpiangono un’epoca di sfide che pare oramai lontanissima rispetto a oggi, e che invece non dista poi molto in termini temporali. Della Superbike attuale si sta cercando di recuperare i cocci per mettere insieme qualcosa di buono: dopo il calo vertiginoso d’iscrizioni e il numero esiguo di piloti partecipanti negli ultimi anni, nel 2020 dovrebbe (uso il condizionale perché alcune voci giunte alle mie orecchie ultimamente non mi piacciono per nulla) vedere un numero ben più corposo sia di piloti che di protagonisti di assoluto livello, con molti candidati pronti a sfidare Jonathan Rea e spodestarlo da un trono che detiene da oramai cinque anni. Allo stesso tempo il 2020 rappresenta un po’ un’annata di possibile transizione, poiché all’orizzonte si sta profilando un grosso cambiamento e una possibile fusione con l’Endurance (per la mia gioia).
Un’altra grossa novità sarà il calendario, che vedrà la presenza di ben tre tappe spagnole nel 2020; una sorta di riavvicinamento alla “madre patria”, per quanto riguarda Dorna. Difficile dire se la mossa sia corretta: la presenza spagnola nelle derivate di serie non è poi così preponderante (specie in SBK, dove l’unico volto iberico di spicco è Bautista), e i giovani volti spagnoli che stanno emergendo nella Supersport 300, come Manuel González o Mika Perez, dovranno fare i conti poi con un passaggio molto ostico alla 600, il cui salto sembra assai difficile. Ciò che però mi ha stupito, per non dire un po’ infastidito, è che tra le tre tappe non compare il tracciato dedicato a Ricardo Tormo, in quel di Valencia.
Personalmente, il Ricardo Tormo non rientra tra le mie piste preferite, ma anzi è quella più “debole” in termini di spettacolarità e bellezza tra le quattro visitate annualmente dal Motomondiale, e nemmeno i piloti l’apprezzano granché. Però la pista della Comunità Valenciana, tra quelle spagnole, è quella che racchiude più storia per il mondiale Superbike, più ricordi, più momenti. Ha un passato che la possa definire “casa” per la SBK, ha persino ospitato l’apertura del campionato in più occasioni. Speriamo che il mancato inserimento di Valencia non sia l’ennesimo passo falso fatto dei promoter del campionato.
Pensare a cos’è stata Valencia per questa serie mi ha fatto venire in mente un ricordo risalente a quasi quindici anni fa, precisamente al 2006. No, non si parla del titolo iridato di Hayden contro Rossi in MotoGP, sarebbero passati ancora diversi mesi prima di poter vivere uno dei momenti più scioccanti (e toccanti) della storia del motorsport; il 2006 è anche l’anno del ritorno sulle scene delle moto derivanti dalla produzione stradale di Troy Bayliss, dopo l’esperienza triennale non proprio felice nella classe regina. L’australiano riabbraccia così una Ducati bicilindrica ufficiale, stavolta il modello 999 F06 che già aveva vinto tantissimo con diversi piloti nelle versioni precedenti. I mondiali dei britannici Hodgson e Toseland, oggigiorno, risultano però un po’ messi in ombra rispetto a quelli che Bayliss ha raccolto in tutta la sua carriera, come se la Ducati che stavano guidando “spettasse” solo al #21, e a nessun’altro. Forse proprio grazie all’entusiasmo del ritorno di Bayliss, o forse puramente per le qualità dell’australiano, la squadra Xerox di Davide Tardozzi riprende slancio dopo un 2005 sottotono, andando a rivoluzionare completamente la line-up con l’inserimento di Lorenzo Lanzi al posto di Laconi.
Il primo avversario che Troy deve affrontare è… Troy. Troy Corser in questo caso, il campione del mondo del 2005 sulla Suzuki GSX-R 1000 del team Alstare di Francis Batta. La stagione appena conclusasi l’ha visto vincere il secondo titolo con un buon margine sugli avversari, Vermeulen e Haga in primis, merito anche di una Suzuki supportata degnamente dalla Casa madre, estremamente efficace su quasi ogni pista (specie quelle di motore) e grazie anche alla squadra gestita dal carismatico manager belga; una bella rivincita anche per lo stesso “Coccodrillo”, dopo anni di sofferenza con la bella quanto deludente Foggy Petronas.
L’avvicinamento alle prime gare del 2006 è piuttosto intrigante, poiché c’è spazio anche per il gossip e le voci parlano di un passaggio che avrebbe del clamoroso: Max Biaggi, appiedato nientemeno che dal team Honda Repsol MotoGP, è alla ricerca di un posto e Suzuki Alstare è una dei candidati più papabili a ospitare il “Corsaro”. La situazione però si rivela più difficile da gestire, poiché sia Corser sia Kagayama hanno garanzie che li rende “intoccabili” per la stagione 2006, e per vedere il passaggio del romano al campionato delle moto di serie si sarebbe dovuto aspettare l’anno successivo. Chissà cosa avrà pensato Corser in quei mesi, in cui ha rischiato anche di essere appiedato all’improvviso da campione del mondo.
Dopo aver superato i dubbi di mercato, la sfida inizia e, nelle prime battute, sembra proprio che la questione sia tra solo tra i due Troy. Nonostante i due siano già stati in pista uno contro l’altro, la loro sfida per il titolo pare quasi avere dell’inedito: entrambi si trovano nello stesso campionato, sono su moto di un livello equiparabile, e sono in un ottimo stato di forma. Una sfida che va a dividere, in qualche modo, anche il popolo australiano, indeciso tra quale dei due campionissimi scegliere. L’annata comincia alla grande per Corser, che ottiene un quarto posto e una vittoria a Losail, storicamente una pista amica della GSX, più un altro successo sulla pista di casa a Phillip Island, un po’ fortuito a causa dei problemi di gomme di Bayliss mentre era in testa in solitaria. Il vincitore di gara-1 esce però sconfitto in gara-2, con Bayliss trionfante e Corser invece ritirato, quando in uscita dal tornante in discesa la moto gli parte in highside e Corser rischia di finire centrato dai piloti alle loro spalle.
Valencia è la terza tappa del campionato Superbike di quell’anno e la sfida che si sta profilando in quell’inizio di stagione pare già giunta a un atto molto importante: la pista del Ricardo Tormo è una tappa storicamente amica della Ducati ma anche del campione del mondo in carica, vincitore qui anche con l’Aprilia nel 2000 e nel 2001 e autore di una doppietta l’anno prima. Le qualifiche danno ragione al suzukista, l’unico a girare sotto l’1:35, che rifila due decimi al connazionale-rivale.
La prima gara, in un’epoca in cui questa si svolgeva ancora la domenica, è tutta tra loro due, sin dal via: Corser stampa una serie di giri veloci a ripetizione e Bayliss gli rimane incollato, con la Ducati che guadagna nel tratto iniziale e finale e la Suzuki che, stranamente rispetto alle previsioni, guadagna nel misto. Per diciotto dei ventitré giri il copione si ripete, fino a quando Bayliss non rompe gli indugi in curva 2 e lascia sul posto Corser, con un palmo di naso. E’ una vittoria che pesa, soprattutto nel morale del #1.
Nella seconda manche la situazione è la medesima: i due Troy volano, alle loro spalle ci si gioca solo il gradino più basso del podio e i punti. Stavolta Corser, con una gomma più morbida rispetto alla prima manche, guadagna qualche secondo su Bayliss, impegnato invece a superare Haga nei primi giri, ma anche in questo caso la 999 #21 ricuce il distacco sulla GSX #1. Bayliss in questa gara ha più difficoltà a piegare la resistenza di Corser, che perdura fino al ventiduesimo giro: sfruttando la sua scia sul rettilineo, Bayliss affianca Corser e alla curva 1 lo sorpassa, non lasciandogli possibilità di una risposta nella curva Doohan. E’ il sorpasso decisivo, non solo per la vittoria in gara-2 ma anche come monito per tutti i suoi avversari, Corser in primis: il 2006 è l’anno di Bayliss e della Ducati, e di nessun’altro.
Per il ducatista l’escalation continuerà nelle successive cinque gare in cui otterrà cinque vittorie, fino a ottenere un meritatissimo titolo mondiale proprio a Imola, davanti a un pubblico italiano in visibilio e con tanto di successo in gara-2. Per Bayliss i successi continueranno a ripetizione nelle stagioni successive, con un altro titolo nel 2008 in sella alla terza Ducati differente, la 1098, con la quale chiuderà la sua straordinaria carriera agonistica sul palcoscenico di Portimão. E Corser? Il 2006 si tramuterà ben presto in una delle stagioni più difficili, con solo altri cinque arrivi a podio nei successivi otto round mondiali, una miseria.
Per il “Coccodrillo” le annate seguenti saranno più avare di soddisfazioni, e fa impressione come il suo palmares, da Phillip Island 2006 in poi, non conti più nemmeno un trionfo. I podi non mancheranno, e la sua costanza di risultati lo premierà con un secondo posto nel 2008 alle spalle del Troy rivale, prima di buttarsi a capofitto nell’avventura di fine carriera con la BMW, a cui fornirà la sua esperienza per tre stagioni.
Ma per quanto il palmares di Corser sia uno tra i migliori dell’intero panorama Superbike, e nonostante per molti anni sia stato il re del giro secco e della Superpole, non potrà mai togliersi di dosso quell’etica sempiterna di essere il #2 dell’Australia, di essere “l’altro Troy” dell’era della SBK moderna, un confronto difficile che aveva già vissuto imbattendosi contro Fogarty nel decennio precedente. Ma sono le corse, queste: il più forte che sovrasta il più debole. Chissà che un confronto così, in cui c’è in palio molto altro oltre al titolo, non arrivi anche quest’anno.
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