Sul carro del ritiro: Sebastian, 15 anni tra domini, illusioni, errori e un’umanità oltre la media del politically correct e dell’ipocrisia

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
28 Luglio 2022 - 20:21
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Dopo 15 anni Sebastian Vettel appende il casco al chiodo. Una riflessione su come il tedesco è cambiato sportivamente ed umanamente

Ho una memoria nitida del Gran Premio d’Italia 2008. Non tanto della gara in sé né della vittoria, la prima in F1, di Sebastian Vettel. Quanto del fatto di averla vista seduto tra i cartoni di un trasloco e il televisore appoggiato alla buona per non farlo cadere: era il primo giorno via dalla metropoli, una sorta di inizio di nuova vita. Sentendo le parole di Seb e l’annuncio del ritiro, mi rendo conto ora che sono passati praticamente tre lustri – un’eternità – da quando quel ragazzino magro magro faceva la sua comparsa in F1. Sono passate quasi 300 gare e in mezzo è successo di tutto.

Alla fine di quest’anno una delle parabole più controverse della F1 moderna giungerà a conclusione. Quella di Sebastian Vettel è stata una carriera, cronologicamente parlando, di alti e bassi in questa sequenza, iniziata con l’epopea Toro Rosso/Red Bull: il quinquennio 2009-2013 porta quattro titoli mondiali che potrebbero essere cinque, per una manciata di punti mancanti nel 2009. In quel periodo nasce la leggenda Vettel, con gare e mondiali vinti dominando (nel 2011 e 2013) o chiusi all’ultimo respiro (2010 e 2012). Nasce, come spesso accade, anche il fronte opposto, quello del “culo di Vettel” e dei successi di paternità prevalentemente attribuita ad Adrian Newey.

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La grande illusione, dopo un ultimo anno facilmente dimenticabile a casa Milton Keynes, è quella del periodo Ferrari, già analizzato a suo tempo in questa serie di pezzi. Sei anni di speranze, momenti alti, altri bassissimi e un mondiale mai arrivato tra rimpianti, errori, misteri e differenti correnti di pensiero. Con il peccato di non aver visto vincere un ragazzo che, della Ferrari, era arrivato quasi prima da tifoso che da pilota. Un ragazzo che ci ha provato, ha vinto ma ha anche commesso degli errori: primo tra tutti, forse più importante di quelli in pista, credere di poter fare come il suo mentore Schumi e plasmare la Ferrari sulla base dei suoi consigli conquistandone la fiducia, non accorgendosi che la squadra era un’altra così come, di conseguenza, la linea da seguire.

La parabola discendente, nonostante alcuni sprazzi del vecchio Vettel, è quella che porta il tedesco in Aston Martin, anche qui dopo un ultimo anno da separato in casa a Maranello da nascondere dietro un armadio. L’esperienza inglese ci consegna un Sebastian completamente trasformato rispetto a quello di rosso vestito, ma non tanto per le azioni in pista. L’ultimo cambio di casacca, arrivato in pieno periodo Covid, vede l’esplosione del personaggio Vettel e delle sue battaglie sociali e ambientaliste. Non credo che Seb si sia svegliato da un giorno all’altro trasformato: forse ha trovato l’ambiente giusto per dar sfogo a quello che è stato il suo cambiamento interiore.

Un cambiamento che avevo percepito dalle proporzioni più grosse di quanto credessi a Barcellona, quando l’ho ascoltato in conferenza stampa in una specie di monologo sulla sua crescita professionale e personale. Già al tempo parlava di come l’essere diventato padre lo avesse spinto a guardarsi più intorno e a capire maggiormente il mondo che lo circonda, rispetto ai primi anni in cui pensava solo ed esclusivamente a correre. Insomma, un anticipo di quello che avrebbe poi detto oggi per spiegare le ragioni del suo ritiro.

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Dal punto di vista sportivo, stiamo parlando del terzo pilota per numero di vittorie nella storia della Formula 1 dietro Schumacher e Hamilton. Su questo si può storcere il naso se si pensa ad altri piloti che avrebbero meritato più di quanto ottenuto, come Fernando Alonso per citarne uno. Opinione legittima, quella di considerare i numeri del tedesco “pompati” dalla superiorità della Red Bull, specialmente nel 2011 e 2013.

Per onestà intellettuale, non transigo sul cambio di parere se si parla però di ciò che è venuto dopo. Nei due cicli che hanno dominato il secondo decennio di questo secolo, quello Red Bull e quello Mercedes, la differenza è stata la durata e le percentuali bulgare di vittorie, 70% su otto anni per il team di Toto Wolff contro 53% su quattro per quello di Horner. Pertanto, o tutti i numeri sono pompati o non lo sono. Sapete che sulla coerenza sono molto puntiglioso.

Dal punto di vista umano fatico a ricordare un pilota cambiato così tanto tra il suo arrivo in F1 ed il suo ritiro in tempi recenti. La paternità è sicuramente un evento che fa cambiare priorità e prospettive – lo posso confermare – ma la trasformazione che ha portato Vettel a passare dal ragazzino con un focus del 100% sulle corse all’uomo che oggi vediamo, attivo ed impegnato nelle sue azioni ambientaliste, è sicuramente notevole, oltre che prova del tempo che scorre per tutti.

Nelle reazioni dei suoi colleghi al ritiro ci sono tante testimonianze di vicinanza in momenti difficili. Pierre Gasly ha ricordato le chiacchierate e i consigli ricevuti nei suoi primi anni da junior della Red Bull, mentre conosciamo tutti bene il ruolo di “mentore” e fratello maggiore di cui Seb si è preso carico in modo oserei dire naturale nei confronti di Mick Schumacher. Anche avere una parola di conforto per gli altri è segno di maturità ed empatia.

Quando ho letto della nascita del profilo social ufficiale su Instagram mi sono sentito un po’ tradito. Dopo il cedimento di Raikkonen, Seb era rimasto l’ultimo eroe a resistere al fascino del reel. Mi sono però ricreduto quando è arrivato il videomessaggio con l’annuncio del ritiro. Alla fine, Vettel ha creato il suo account nel momento in cui aveva qualcosa da dire. E il suo messaggio, per intensità, è decisamente migliore rispetto a una moltitudine di contenuti di dubbio gusto che ogni giorno ci vengono propinati e, ahimè, vengono anche apprezzati.

Proprio nell’annuncio, oltre al definitivo step di mutamento delle priorità personali verso la famiglia – cosa che ho sempre apprezzato, così come la fermezza nel difendere la privacy dei figli – leggo anche una velata critica nei confronti di un mondo, quello della Formula 1, che parla tanto con gli slogan ma non ha ancora preso una decisione definitiva verso quei paesi che, del “We race as one”, se ne infischiano.

Se l’idea è quella di credere di poter cambiare la mentalità e la tradizione di certi paesi, instaurare rapporti decennali con essi è la prova del fatto che in realtà non si vuole altro che garantirsi un ingente ritorno economico da – incidentalmente – proprio quei luoghi nei quali i diritti umani sono spesso una chimera. Una contraddizione che continuerà e questo, Vettel, probabilmente lo sa bene. Magliette ed adesivi servono per sensibilizzare, ma sono poi le azioni che cambiano il mondo.

Restano dieci gare per un addio che porterà via il penultimo dei figli del 2000. Resta, inscalfibile, Fernando Alonso, che proprio da Vettel e Hamilton aveva ricevuto un omaggio a suon di tondi sull’asfalto di Abu Dhabi nel 2018, dopo il suo primo saluto. Con la notizia del ritiro di Sebastian non mancheranno i dietrofront, in nome del sentimento di gratitudine obbligato ma non condiviso, anche da parte di chi non ha gli risparmiato un errore anche in una inutile prova libera, con una differenza di valutazione decisamente marcata e sintomatica del proprio pensiero rispetto al giorno d’oggi e a chi, adesso, la Rossa le guida.

Anche qui coerenza ed onestà intellettuale dovrebbero andare di pari passo: evidentemente, non avere avuto per tantissimo tempo un’immagine forte ha prestato il fianco a quei media che oggi perdonano tutto, anche ciò che prima non poteva essere tollerato. Nulla di cui stupirsi eccessivamente, per carità.

Non è il primo e non sarà di certo l’ultimo caso: ma il tempo, come sappiamo, è sempre galantuomo. Aiuta a crescere, maturare, diventare persone migliori. Come successo ad un ragazzino col ditino mostrato spesso in aria diventato uomo e, tra qualche mese, con un futuro tutto da scrivere. Non più sull’asfalto ma nelle pagine della vita.

Immagine: Media Aston Martin

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