Succede che… dipende SEMPRE dai nomi

di Alessandro Secchi
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Pubblicato il 26 Maggio 2018 - 20:13
Tempo di lettura: 4 minuti
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Succede che… dipende SEMPRE dai nomi
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Succede che durante le FP3 di stamane Lance Stroll va lungo alla Sainte Devote, come tanti suoi colleghi in questi primi due giorni di Montecarlo. Succede che per tornare in pista opti per la retromarcia invece che per una girata nella piccola via di fuga. Bandiere gialle everywhere, lui torna in pista, tutto più o meno tranquillo.

Giovedì non ho seguito moltissimo ciò che è successo durante le libere, ma una delle poche cose che ho visto e rivisto (anche oggi, prima delle qualifiche) è stata una manovra identica nella sua pericolosità da parte del buon Max (e di chi se no…). La differenza tra l’azione di Stroll, di cui non trovo un singolo fotogramma da più di un’ora, e quella di Max reo di aver messo in difficoltà (!!!) Vettel che sopraggiungeva, sta tutta nel nome, della recidività storica, nell’essere insomma lui. 

Succede che nel 1979, a Zandvoort, Gilles Villeneuve va fuori pista durante la corsa e ci ritorna così, con una spettacolare retromarcia, riprendendo la via dei box su tre ruote nella scena che ricordiamo e che abbiamo rivisto più e più volte negli ultimi 39 anni.

Succede che in mezzo a queste scene Gilles sia volato via per l’ultima volta nel 1982, e che ora questa e tante altre scene ritenute pericolose a loro tempo ora siano simbolo di un modo di intendere le corse tanto rimpianto quanto ora osteggiato, e poco importa che il canadese volante abbia vinto solo sei gare in carriera, perché il suo mito resterà sempre vivo. Al contrario del buon Riccardo Paletti, che quando si parla del 1982 sembra che lui non sia mai esistito dato che non viene mai ricordato, nonostante la drammaticità delle immagini del suo incidente mortale a Montreal.

Succede che Lance Stroll sia il caso di pilota “pagante più pagante” della storia della Formula 1. Quasi l’equivalente di un budget di un team di fondo griglia per provare in solitaria nell’era del divieto di test, migliaia di chilometri messi in cantiere. Una prima stagione chiusa dietro il due volte ritirante Felipe Massa, l’inizio di 2018 in cui non riesce a mettersi dietro con decisione Sirotkin, meglio conosciuto come “colui che ha rubato coi soldi il sedile a Kubica”. Succede che colui in questo momento più meritevole del sedile è quello meno sopportato proprio per questo, mentre del grande mistero del canadese in pochi parlano e se parlano “eh, bisogna dargli tempo”. Lui può sbagliare, picchiare, andare rigorosamente più lento del compagno perché tanto una Ferrari non la incrocia se non per essere doppiato. L’altro, quello che di anni ne ha 20, sbaglia e non può sbagliare. Poco importa che quando non fa boiate vada veloce tanto e quanto il grande Daniel. Lui non deve, lui non può, lui NON.

Succede che Antonio Fuoco vince Gara 2 di F2. Super titoloni per una gara dominata dall’inizio alla fine partendo dalla pole. Poco importa che in gara 1, in partenza, abbia letteralmente sbattuto sul guardrail Luca Ghiotto, suo e nostro connazionale, ricevendo un DT dal quale poi è scaturito l’ottavo posto essenziale per partire al palo oggi. Antonio Fuoco è italiano, è pilota della FDA, ha portato a casa una gara diligente ma quanto successo ieri viene non dico nascosto ma quasi. Non è colpa sua, né dell’idiota inversione di griglia che spopola oggigiorno nel Motorsport, ma anche qui un altro nome, magari di un altro paese, sarebbe stato considerato in tutt’altro modo e con ben altri giudizi.

Succede che bastano cinque centimetri per essere eroi, come Brendon Hartley stamattina. Guardate la scintilla del cerchio sul guardrail nell’immagine di copertina. Ingresso preso troppo stretto, gomma e cerchio che strisciano sul rail, scintillone ma il braccetto dello sterzo regge. Sospiro di sollievo e via. 

Succede che bastano cinque centimentri per essere un coglione, come Max oggi. Nessuna necessità di spingere a fine FP3 oggi, quando era chiaro che le Red Bull avevano in mano una prima fila non dico agevole ma probabile. Un po’ meno coglione due anni fa quando riuscì a fare la stessa cosa in Q1, quando c’era invece da tirare.

Succede che ti chiami Stoffel Vandoorne, nel 2017 sbatti esattamente nello stesso punto in Q2 e, indirettamente, causi l’uscita dalla sessione di Lewis Hamilton. Succede che, per questo, dopo un anno non ti ricorda nessuno perché hai fatto il tuo dovere contro l’avversario del momento, oppure perché non hai ostacolato una Ferrari, o magari perché non ti chiami in altro modo. 

Succede che è insopportabile assistere a situazioni raccontate e tramandate senza pensare ai piloti come ad essere umani che possono sbagliare, senza pensare che giudicandoli solo in base al colore della tuta gli si manca di rispetto, senza pensare che è eticamente scorretto sentenziare solo in base alle convenienze.

Succede che domani ci sono 78 giri e chissà quante altre mirabolanti storie ci saranno da raccontare.

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