Singapore oggi come quattro anni fa: un inutile astio. La Ferrari non è solo Leclerc (e ci mancherebbe)

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
18 Settembre 2023 - 11:00
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Nel 2019 la vittoria di Vettel fu quella della Ferrari sbagliata. E, nel 2023, non si va troppo lontani a leggere il popolo del web

È paradossale come la stessa circostanza si sia ripresentata sulla stessa pista, ma questo fa parte dei corsi e ricorsi storici. Nel 2019 la Ferrari faceva doppietta a Singapore, con Sebastian Vettel vincitore davanti ad uno Charles Leclerc indispettito ma mai quanto la sua schiera di tifosi. Al tempo scrissi della “Ferrari sbagliata” e oggi sarebbe da fare altrettanto.

Se la vittoria clamorosa di Sainz ha ringalluzzito i media, ai quali lo spagnolo sta molto più simpatico di quanto non fosse il tedesco (che nel 2019 era già stato scaricato da almeno un anno e mezzo), il popolo del web è quasi più incazzato di quando Verstappen rifila mezzo minuto a tutti. Della serie che chi se ne importa se a Maranello è stata issata un’altra bandiera, perché non è quella giusta.

Proprio come avevo scritto l’altra volta (e fortunatamente posso citare articoli passati senza vergognarmi) c’era una volta il tifoso Ferrari: quello che, indipendentemente dal pilota, era contento se vinceva la Rossa, che poi era un po’ il mantra del vecchio Enzo. Prima veniva la Ferrari e poi il resto.

Con l’avvento della F1 moderna, lo sbarco roboante sui social e la conseguente polarizzazione prima di tutto pro piloti, specialmente in Ferrari si sono create le fazioni tra drivers che vediamo ora scannarsi pubblicamente sul web. Leclerc, entrato di diritto nel ruolo di prima guida praticamente da subito al suo arrivo a Maranello, è diventato una sorta di intoccabile.

Al tempo ne fece le spese Vettel e la vittoria di Singapore fu caso più unico che raro: praticamente di quel successo, tra l’altro l’ultimo in F1, furono contenti giusto lui, i suoi meccanici e la macchina, punto. Sembrava che non avesse vinto nemmeno la Ferrari e, tra media e social, si gridò al grande complotto per non aver fatto vincere il Predestinato Charles, nonostante il compagno non avesse rubato nulla durante la corsa.

Questa volta, lato mediatico, le cose stanno andando in modo diverso. L’impresa di Sainz sta avendo il giusto risalto anche con qualche aspettata esagerazione della serie “Un po’ Lauda, un po’ Prost”. Ci sta, dato che Charles fu subito comparato a Gilles. E proprio Charles deve stare attento perché, sempre come scrissi allora, è facile passare da un carro all’altro con la stampa.

Sui social, invece, se è già da tempo che le fazioni tra i due piloti non se le mandano a dire, con Singapore è esploso tutto e la scena è quella di quattro anni fa: se la Ferrari deve vincere, deve farlo solo con Leclerc altrimenti non vale. Certo, ad inizio gara ha dato fastidio anche a me la tattica di usare Charles come tappo per favorire Sainz, ma poi è emerso che il tutto è stato ampiamente previsto perché si sapeva che, con un colpo solo a disposizione per battere la Red Bull, bisognava puntare sul pilota più in forma. E quello era Sainz.

Però qui abbiamo un problema di fondo ed è un problema abbastanza grave. Il tifo per il proprio pilota non dovrebbe sfociare nell’astio nei confronti del suo compagno di squadra, come se fosse un indegno o fosse favorito da chissà chi quando fa meglio. Sainz, ultimamente, sta rendendo meglio di Leclerc e dietro questo ci sono mille motivi tecnici, psicologici o vedete voi quanti ne volete inserire. Ammetterlo pur continuando a tifare Leclerc non rende tifosi peggiori e viceversa, vale ovviamente anche per la parte dello spagnolo.

È un astio inutile, insomma, che racconta una parte di tifo fondamentalmente malato, ossessivo, possessivo. La Ferrari non è solo Sainz e, soprattutto (per anzianità) non è solo Leclerc. Applicando lo stesso cervellotico metro ossessivo nel passato, il mondiale del ’79 di Scheckter dovrebbe essere maledetto ancora oggi oppure la vittoria di Barrichello del 2000 ad Hockenheim, con Schumi fuori, dovrebbe essere ricordata come una sculata pazzesca invece che l’impresa che fu.

Inutile dire che l’informazione ha un ruolo chiave nel vendere l’immagine dei piloti. Se la situazione è questa è anche colpa di narrazioni particolari o dell’esagerata socializzazione della Formula 1, che ha reso i piloti dei sex symbol col volante in mano. Rendersi conto che raccontare la F1 nel modo migliore è un dovere e comporta delle responsabilità è fondamentale per non alimentare giochi contrapposti come questi. Prima lo si capisce, meglio è.

Immagine: Media Ferrari

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