Shane van Gisbergen, maestro della poliedricità

NASCAR
Tempo di lettura: 23 minuti
di Gabriele Dri @NascarLiveITA
4 Luglio 2023 - 22:30
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Il successo di domenica da parte di Shane van Gisbergen al debutto in NASCAR è solo la conferma dell’infinito talento neozelandese ed espresso in molte categorie. Un omaggio ai grandi del motorsport per un qualcosa che purtroppo è andato perso negli ultimi anni


Questo articolo non ha categoria, volutamente. Sì, perché racchiudere Shane van Gisbergen in una sola categoria è impossibile. Bisognerebbe includerlo in tutte le categorie del motorsport, ma ne basterebbero anche due: quella dei più sottovalutati – se non ignorati – e quella dei migliori piloti del XXI secolo.

Prevedere il successo di domenica del 34enne pilota nativo di Auckland in Nuova Zelanda al debutto assoluto in NASCAR Cup Series sul circuito cittadino di Chicago forse sarebbe stato difficile, ma chiunque sia rimasto stupito della prestazione incredibile di van Gisbergen fra i muretti messi attorno al Grant Park forse non conosce quanto fatto da Shane finora in carriera.

Van Gisbergen è uno dei pochissimi piloti che nel motorsport moderno ha ancora voglia, e probabilmente le possibilità, di correre con qualsiasi vettura gli capiti sotto mano, un’arte che è andata persa. E il problema per gli altri è che gli basta pochissimo per prendere confidenza ed andare forte. Come lui probabilmente in questo momento soltanto altri due piloti, Kyle Larson (atteso però il prossimo anno alla prova del nove alla Indianapolis 500) e Johan Kristoffersson (il quale tuttavia non si diletta tanto con le ruote scoperte).

Ma chi è Shane van Gisbergen e perché è arrivato fino a qui con tutti questi successi?

Shane nasce come detto ad Auckland in Nuova Zelanda il 9 maggio 1989. Papà Robert è anch’egli un pilota, anzi è un rallysta. Attivo soprattutto in patria con qualche piazzamento, il suo risultato più rilevante è probabilmente quello del Rally della Nuova Zelanda 1995, valido per il mondiale, in cui arriva al traguardo in 17esima posizione assoluta e con la vittoria di classe E al volante di una Ford Escort MK1.

Poi però Robert appende o quasi il casco al chiodo e trasmette la passione per i motori al figlio Shane. A nove anni van Gisbergen è già partito, sì ma non fa la solita gavetta come gli altri, infatti fin da subito fa capire molto del suo futuro: motocross, quarter midget e kart. Esistono tre mezzi più agli antipodi di questi? Penso di no.

A 15 anni van Gisbergen prende la strada delle monoposto e alla prima vera stagione è terzo assoluto e rookie dell’anno della Formula First, la versione neozelandese della storica Formula Vee. Viene già notato dai talent scout e vince il premio di “Star of tomorrow”. La scalata prosegue e nel 2005/06 (ovviamente i campionati nell’emisfero australe sono a cavallo del Capodanno) vince al debutto la Formula Ford e nella stagione successiva è vicecampione della Toyota Racing Series, l’attuale Formula Regional Oceania.

La sua crescita è talmente fenomenale che a soli 18 anni viene chiamato in V8 Supercars Series dal Team Kiwi Racing. Al debutto in gara2 sul circuito di casa di Oran Park è già 13° e completa la stagione con altri piazzamenti a punti. La stagione successiva passa allo Stone Brothers Racing, rimanendo in casa Ford, dove resta fino al 2012. Nel 2011 le prime vittorie quando chiude quarto a fine campionato.

Il successivo step evolutivo si chiama Tekno Autosport e coincide al passaggio da Ford ad Holden ed al gruppo GM che vuol dire ovviamente anche Chevrolet. I successi iniziano a fioccate e ad oggi van Gisbergen ha raggiunto addirittura quota 80 in 499 gare disputate.

Dopo qualche stagione tranquilla, la poliedricità di Shane torna a manifestarsi nel 2013. Esattamente come succede in NASCAR, anche in Oceania chi disputa la top class può disputare anche la categoria cadetta, la V8 SuperTourer, che SVG chiude al terzo posto, poi c’è anche qualche capatina nel campionato GT australiano al volante di una Porsche con vittoria di categoria e terzo posto assoluto nella storica 12 ore di Bathurst.

Il 2014 è l’anno in cui van Gisbergen è vicecampione delle V8 Supercars, ma Shane inizia a farsi un nome anche a livello internazionale. Inizia l’anno con il quarto posto alla 12h di Bathurst, prosegue con l’ottavo di classe alla 24h di Daytona, alla 24h di Spa arriva invece il ritiro.

Il 2015 vede meno successi in patria ma arrivano le prime vittorie in giro per il mondo. Viene chiamato di nuovo dal Von Ryan Racing per guidare la McLaren 650S GT3 nel Blancpain GT (l’attuale GTWC) per la Endurance Series. Malgrado la gara saltata a Pau ed i ko a Monza e Spa, con i due successi di Silverstone e Nürburgring van Gisbergen è quarto in campionato con Rob Bell e Kevin Estre. Ah già, nel frattempo è stato secondo di classe alla 24h di Daytona per non farsi mancare nulla.

2016: il primo anno di vera gloria poliedrica per van Gisbergen. Shane saluta il Tekno Autosports vincendo la 12h di Bathurst insieme a Parente e Webb (meno bene a Daytona, 13°), poi il passaggio nel Supercars allo storico Triple Eight Race Engineering lo catapulta subito al primo titolo nella categoria con annesso secondo posto alla Bathurst 1000.

Ma l’anno è lungo e in scena va una delle stagioni più pazze del Blancpain Endurance GT. In equipaggio con Rob Bell e Côme Ledogar sulla McLaren 650 GTS del Garage 59 Shane vince due delle prime tre gare a Monza e Le Castellet con in mezzo il sesto posto a Silverstone. La 24h di Spa è ancora decisiva per le sorti del campionato e ancora una volta a SVG in Belgio va male con il 31° posto assoluto e pochi punti raccolti per strada.

Il campionato si decide quindi all’ultima gara al Nürburgring. Con 12 punti a disposizione ed un vantaggio di 7 sui più vicini inseguitori la situazione sembra abbastanza tranquilla. Ma c’è un grosso problema per il 18 settembre: mentre il Blancpain è in Germania SVG è impegnato a Sandown nel Supercars e quindi non può fare nulla se non arrivare secondo in Australia e incrociare le dita.

Al Nürburgring va tutto clamorosamente per il meglio: Baumann-Buhk-Jafaar arrivano solo quarti e recuperano 6 dei 7 punti di ritardo (sarebbe servito il secondo posto per vincere il titolo), Reip-Soucek-Soulet non vincono e quindi la #58 chiude l’anno al comando. Ed il titolo non è per due, bensì per tre perché Bell e Ledogar con il sostituto Pappay non fanno punti che staccano SVG in classifica e quindi anche Shane è campione.

Nel 2016 van Gisbergen corre praticamente da gennaio a dicembre e l’ultima avventura è la 12h di Sepang dell’Intercontinental GT Challenge. La vittoria di Bathurst ha dato tanti punti, meno il nono posto di categoria a Spa. Il sesto posto in Malesia al volante di una McLaren del K-Pax Racing è sufficiente “solo” per il terzo posto in campionato. Per curiosità, in quello stesso 2016 per il K-Pax Racing nel Pirelli World Challenge negli USA ha debuttato ad appena 18 anni un tale Austin Cindric; le strade dei due non si erano incrociate alla Bathurst 1000 dell’anno prima quando Cindric divenne il più giovane iscritto della storia, ma lo faranno clamorosamente in una piovosa domenica di Chicago.

Dal 2017 in poi Shane rinuncia alle trasferte europee e punta di più all’America con la solita Daytona (poca fortuna), ma anche Sebring (ritiro) e qualche gara anche in IMSA (quarto al Watkins Glen). La concentrazione si sposta tutta sul Supercars dove inizia una battaglia bollente. È Ford contro Holden (che in realtà ormai è solo una Chevy rimarchiata). Non siamo in NASCAR ma ancora in Oceania.

Le lotte fra Shane van Gisbergen e Scott McLaughlin infiammano prima di tutto la Nuova Zelanda che ha scoperto davvero altri due piloti di livello assoluto dopo Scott Dixon, ma anche gli appassionati di motorsport. Qualche volta non si va per il sottile, davanti e dietro le quinte.

Alla fine però le Ford del DJR-Team Penske sono le migliori e fra 2018 e 2020 McLaughlin infila una tripletta di titoli che lascia a van Gisbergen poco in mano se non due titoli di vicecampione e un altro gioiello della corona, la Bathurst 1000 del 2020 in coppia con Garth Tander.

A fine 2020 però McLaughlin decide di lasciare l’Oceania e volare in America dove, nel dilemma che gli ha offerto Roger Penske fra NASCAR ed IndyCar, Scotty alla fine sceglie le monoposto (finora i risultati gli hanno dato ragione). Van Gisbergen dunque inizia il 2021 a mente decisamente più libera e torna a sperimentare.

Prima tappa il 24 gennaio, ma la destinazione non è Bathurst per la 1000 km, bensì l’Hampton Downs Motorsport Park di Waikato in Nuova Zelanda. In scena c’è il 66° GP di Nuova Zelanda valido anche come gara3 del weekend inaugurale della Toyota Racing Series. Probabilmente Shane non saliva in monoposto dalla primavera del 2007 nella stessa categoria, ma la sua volontà di esserci gli garantisce una wild card.

Ok, gli avversari in pista non sono di livello assoluto tranne forse Chris van der Drift ed un paio di piloti del Supercars come Heimgartner e Murphy, ma SVG regala spettacolo. Vince gara1 e gara2, poi nella decisiva gara3 succede un intoppo con l’estintore che si innesca prima del via e così Shane deve partire dalla pit lane. 28 giri per superare 15 vetture? Che problema c’è! Rimontone clamoroso e vittoria nel GP di Nuova Zelanda a quasi 15 anni dall’ultima gara a ruote scoperte.

Messo quasi in ghiaccio il titolo nelle Supercars con sei vittorie nelle prime sei gare, a Pasqua van Gisbergen non si riposa. Torna a Bathurst, ma per la vittoria che gli manca, ovvero la 6h. Vittoria? Ovviamente sì insieme a Shane Smollen e Robert Rubis. E così SVG diventa il secondo pilota nella storia dopo Paul Morris a vincere la “tripla corona” di Bathurst dato che ora in bacheca ci sono la 1000km del Supercars per vetture turismo-prototipo, la 12h per gran turismo e la 6h per auto turismo “tradizionali”. A fine anno ovviamente arriva il secondo titolo Supercars.

Il 2022 è per certi punti di vista molto simile: titolo (il terzo a pareggiare McLaughlin) in Supercars vinto facilmente e con gare spettacolari, ma anche altre avventure estemporanee.

Mentre in Oceania è inverno, Shane va per la prima volta a Le Mans dove corre sulla Ferrari 488 GTE Evo del Riley Motorsports. Vittoria? No, per una volta no, nemmeno SVG arriva a così tanto, ma il quinto posto di classe con Sam Bird e Felipe Fraga è comunque ottimo.

A titolo ormai in tasca nel Supercars, van Gisbergen si mette in mente una strana idea. Imitare papà Robert e si iscrive al Rally della Nuova Zelanda valido per il WRC al volante di una Skoda Fabia di categoria WRC2. La platea non tanto ampia aiuta, ma comunque il weekend di Shane è incredibile dato che è terzo di classe dietro ai soli Paddon (seppur staccato di 3′) e Kajetanowicz e nono assoluto e quindi è andato pure a punti nel mondiale WRC. Ah, una settimana più tardi SVG mette in cassaforte pure un’altra Bathurst 1000.

Forse però in questi mesi a Shane è venuto un tarlo nella mente. Probabilmente ed involontariamente a metterglielo è stato l’amico-rivale McLaughlin che se n’è andato in America lasciandolo in Australia (ormai di piste neozelandesi dopo la demolizione di Oran Park e la chiusura di Pukekohe ce ne sono ben poche) senza rivali. In più c’è una Next Gen in arrivo per la Supercars che non convince ancora tanto.

Durante l’inverno europeo dunque Shane decide ancora di tornare alle origini. Stavolta niente rally bensì si torna agli ovali su sterrato, passando dalle quarter midget con cui correva da bambino alle ben più potenti Sprint Car, per intenderci le stesse con cui si dileggia anche Kyle Larson, un altro che di poliedricità è esperto. Dopo cinque gare e meno di un mese van Gisbergen vince pure qua.

2023, ormai siamo agli ultimi mesi. L’inizio di stagione in Australia non è dei migliori e la concorrenza è spietata. I malumori crescono secondo la stampa, ma alla fine Shane stupisce un po’ tutti annunciando subito ad aprile il prolungamento pluriennale del contratto con il Triple Eight. Niente trasloco negli USA, almeno non a tempo pieno.

Nel frattempo dopo averlo visto per anni guidare ogni vettura possibile ed averci vinto, in molti cominciano a collegare due punti nel firmamento del motorsport: SVG ed il Project 91. Justin Marks, dopo aver fondato il Trackhouse Racing ha fondato appunto il Project 91 con l’espresso volere di portare in NASCAR per gare one-off piloti internazionali non provenienti dalla Cup Series come background. A Watkins Glen 2022 ed Austin 2023 in macchina sale Kimi Raikkonen, poi l’attesa è grande per l’appuntamento successivo.

Il 18 maggio l’annuncio tanto atteso: Shane Van Gisbergen debutterà in Cup Series sull’altrettanto debuttante circuito cittadino di Chicago. Miglior abbinamento forse non era possibile dato che SVG nel Supercars, che con la Gen3 è definitivamente passato alla Chevrolet Camaro e in pista c’è una vettura simile alla Next Gen della NASCAR, è abituato a correre fra i muretti.

I molti ne parlano bene nelle settimane precedenti, anche fra gli stessi piloti. A metterlo fra i favoriti c’è anche quell’Austin Cindric incrociato a distanza 7 anni prima. Le prestazioni di Raikkonen e anche di Button ad Austin però lasciano qualche dubbio: le vetture saranno sì meno muscle car e più europee dei 75 anni precedenti, ma rimangono comunque difficili come adattamento soprattutto in assenza di grandi test in pista.

Il weekend di Chicago invece è praticamente uno show di Shane Van Gisbergen: miglior tempo nelle libere dopo aver fatto solo un po’ di simulatore ed un test di qualche ora il lunedì precedente sul Roval di Charlotte, poi è terzo in qualifica dietro ai soli Hamlin e Reddick.

Dopo il diluvio la corsa inizia sul bagnato e Shane non vuole rischiare troppo, ancor meno nelle ripartenze memore di quanto visto in video ad Austin. Van Gisbergen però è sempre lì fra top3 e top5 agganciato ai leader. Reddick prima e Bell poi sembrano più forti, Truex e Larson paiono potersi agganciare e con l’asciutto diventano avversari temibili.

La svolta arriva a fine seconda stage con l’accorciamento della corsa da 100 a 75 giri per l’incombente tramonto. Tutti i big finiscono nella seconda metà del gruppo dopo aver pittato per ultimi a notizia già arrivata. E qui Shane si scatena su pista ormai asciutta in traiettoria ma con ancora delle pozzanghere poco fuori.

Bell, Reddick e Truex sbagliano tutti clamorosamente cercando di recuperare i fuggitivi. Van Gisbergen invece si tira dietro Larson nella rimonta, favorita anche da una caution che permette il ricongiungimento poco dietro al leader Haley.

Il momento più alto però è quello dei -5 quando un van Gisbergen ormai terzo, e con gomme un po’ più fresche, regala uno show che finirà negli highlights della storia NASCAR superando prima Elliott in curva2 e poi Haley in curva7. Peccato che Truex sia finito nelle gomme proprio in questo momento e così la #91 torna seconda.

Alla ripartenza un altro show incredibile. Van Gisbergen passa Haley sempre in curva2, Justin incrocia in curva3 ma Shane incrocia pure lui e si infila nella strettissima curva4. SVG è tornato al comando di una gara NASCAR (lo era già stato per un passaggio nel giro di soste di fine prima stage) e si invola. Non verrà più ripreso fino al traguardo, malgrado un’altra caution ed un overtime.

Erano appena sei i piloti nella storia della Cup Series a vincere alla prima gara in assoluto, alcuni casi triviali come quelli del 1949. L’ultimo era stato nel lontano 1963 il mitico Johnny Rutherford (tre vittorie vincitore della Indianapolis 500) che in una delle gare di qualifica per la Daytona 500 arrivò primo al debutto in Cup Series.

Un successo pronosticabile sì, prevedibile no. Un giro veloce nelle libere era quasi certo da parte di Shane, due in qualifica anche, ma resistere 100 giri (poi ridotti a 75) senza commettere praticamente il minimo errore, lottando con dei veterani espertissimi della categoria, ecco questo forse no. Van Gisbergen ha così messo il suo sigillo pure in NASCAR laureandosi come il pilota più poliedrico al momento in attività.

Un vero drago, ma non l’animale più strano a vincere sulla #91: l’ultimo successo di tale numero in Cup Series risaliva a 70 anni fa: 16 maggio 1953, a trionfare all’Hickory Speedway è sì Tim Flock ma anche il suo copilota, la scimmietta Jocko Flocko. Storie di altri tempi.

La sua ventata di novità ha anche salvato all’ultimo il weekend del debutto di Chicago che, per sfortuna clamorosa, stava per essere travolto prima dai fulmini e dalla pioggia. La NASCAR domenica sera era ad appena 15′ dal rinviare la corsa al lunedì dato che la pista appariva allagata ed in pit lane c’erano almeno 20 cm di acqua con qualsiasi cosa a galleggiare. Poi per fortuna il vento a Windy City è cambiato, la corsa seppur in ritardo è potuta partire ed il destino ha regalato un successo magnifico ad un pilota clamoroso.

Di “veni, vidi, vici” nella storia della Cup Series ce n’è stato solo uno, quello di Marvin Burke. Oakland Stadium di Oakland, California, 14 ottobre 1951. Burke è al debutto, si qualifica quarto e va a vincere approfittando di qualche ko dei big guidando per 156 dei 250 giri in programma sull’ovale sterrato da 0.625 miglia. Marvin Burke non disputerà più una gara in NASCAR e l’unica sua unica altra traccia nella storia sembra sia una DNQ alla Indy 500 del 1950 (e dunque tecnicamente anche in una gara di F1).

Cosa riserverà il futuro a Shane Van Gisbergen? Tornerà in Cup Series per altre apparizioni? Avrà messo stavolta lui il tarlo a Scott McLaughlin (a Charlotte c’è stata probabilmente la reunion dell’anno prima di fare tifo da stadio da casa) a tal punto da convincere Roger Penske a farlo correre ogni tanto anche con le stock car? Rimarrà nel Supercars fino a fine carriera oppure tenterà anche lui l’avventura americana malgrado l’età? È troppo presto per dirlo probabilmente. Anche se proprio nelle ultime ore il Triple Eight ha detto che, malgrado il contratto, se Shane volesse davvero andare in America nel 2024 non metterebbe paletti.

L’unica certezza è che rivedere finalmente un pilota districarsi senza problemi, sia in materia di prestazioni, sia parlando di beghe contrattuali assicurative, con diverse vetture a volte disparate. Il mondo della F1 è ormai rigidissimo e vedere i loro piloti al volante di qualcos’altro a meno che sia un qualcosa di pubblicitario è rarissimo. E ai veri appassionati di motorsport questo dispiace molto. Probabilmente innesca anche qualche inutile discussione sul fatto di chi sia il presunto pilota più forte del momento/della storia appunto per mancanza manifesta di prove tangibili.

A questo proposto, nella mia rosa dei migliori di sempre tengo sempre in alta considerazione Jim Clark che oltre a due mondiali, 25 vittorie e 33 pole position in F1 conquistati in appena 72 gare disputate, ha vinto anche la Indianapolis 500, è finito sul podio di classe a Le Mans, ha vinto il BTCC del 1964 e anche tre volte la Tasman Series (a proposito di Oceania), conquistato gare in Formula 2, disputato il RAC e pure corso una gara in NASCAR.

Proprio nei mesi scorsi su Twitter era nata una discussione sul tema fra Landon Cassill, pilota NASCAR rimasto a piedi nel 2023 per il fallimento dello sponsor legato alle criptovalute, e proprio Scott McLaughlin. Il tema: la versatilità dei piloti NASCAR.

Cassill sosteneva: “I piloti NASCAR sono i più piloti professionisti più versatili al mondo. Ci sono più superfici, stili di guida, tipologie di pista che in ogni altra categoria. I piloti F1 sono i veri specialisti nel focalizzarsi su un singolo stile di guida mentre un moderno pilota della Cup Series deve adattarsi a tutte le situazioni. Discutiamone.”

La risposta di McLaughlin è stata molto netta: “Penso che questo sia un tweet molto ignorante, alla ricerca solo di reaction. Sono in disaccordo, come molti altri, su quanto scritto. I piloti NASCAR sono molto bravi e molto versatili, ma non sono i più poliedrici al mondo. Se sei bravo, allora devi essere versatile, non importa se corri in NASCAR, IndyCar, GT, F1 o in kart.”

La discussione poi è proseguita con un tentativo di Landon di fermare in modo un po’ approssimativo le polemiche nate: “Penso che i piloti IndyCar siano più versatili di quelli della F1, del V8 Supercars (con McLaughlin che aveva già risposto quindi Cassill manco si era reso conto del passo falso commesso, nda) o del rally e probabilmente di quasi tutte le altre categorie del motorsport. Ma non più di quelli della Cup Series. Non discuto su chi sia migliore o con più talento o straordinario. Parlo solo di versatilità.”

Alla discussione poi si sono aggiunti altri piloti come Parker Kligerman e Dale Earnhardt Jr. Mentre Dale non ha commentato più di tanto, ma comunque parteggiando più per Cassill, Kligerman ha aggiunto: “Penso che la chiave del tutto è che Landon non stia giudicando il talento. Dice semplicemente che c’è la variabilità delle piste, del setup delle auto per questi circuiti e i diversi stili di guida richiesti. Un pilota della Cup Series deve adattarsi alla più grande varietà di condizioni presenti.”

McLaughlin ha proseguito sulla sua linea rispondendo: “Tu stai giudicando il talento. Sicuro, anche io posso fare una gara dirt e guidare 2″ più lento ad ogni giro e considerarmi versatile. Ma a che pro? Come ho detto, ogni buon pilota deve essere versatile, definire una categoria come ‘la più versatile’ è sciocco.”

…e così via per altri tweet, con Kligerman ancora a cercare di tappare i passi falsi di Landon mostrando anche conversazioni private precedenti, fino ad un conclusivo “Sembra che siamo d’accordo sull’essere in disaccordo” di McLaughlin.

Quindi cose rende un pilota poliedrico? Il calendario della categoria in cui corre e quindi l’adattamento alle esigenze oppure il talento?

Cassill ha ragione sul fatto che il calendario della Cup Series sia quasi certamente il più variegato del tutto il motorsport mondiale con gare su sterrato come a Bristol, circuiti ovali che vanno dalle 2.66 miglia di Talladega al mezzo miglio di Martinsville e anche ogni cookie cutter ha delle piccole differenze come banking e raggi di curvatura. Per non parlare di circuiti stradali old e new style come Watkins Glen ed Austin, ma anche il Roval di Charlotte ed ora anche un cittadino a Chicago.

Ma questo basta? A mio avviso no, personalmente sto più dalla parte di McLaughlin nella definizione di pilota versatile o poliedrico. Di base ci vuole come sempre il talento, ma anche una buona formazione a mente aperta in partenza e che deve proseguire anche a carriera ben avviata.

Ovviamente anche i sogni dei piloti spesso si devono scontrare con limitazioni economiche o contrattuali che li vincolano a correre solo nella categoria in cui competono senza possibili divagazioni per vincoli assicurativi o anche di veti fra costruttori e sponsor (tranne forse proprio Red Bull che domenica fra Verstappen, Kristoffersson, van Gisbergen, Razgatlioglu e Roczen ha vinto dovunque) presenti in una o dall’altra parte.

Bisogna anche costruirsi una certa fiducia con il proprio team owner per farsi accontentare nei propri desideri e quindi bisogna essere dei campioni (numeri alla mano o no) per poter divertirsi con ogni mezzo a quattro ruote che si vuole guidare. Poi ci vogliono anche team owner disposti ad accettare il rischio ed osare, ma Justin Marks – fondatore del Trackhouse Racing e del Project 91 – ha già fatto capire di avere una mentalità completamente diversa da tutti gli altri proprietari. I risultati, dentro e fuori dalla pista, gli stanno dando ragione anche grazie a Ross Chastain e Daniel Suárez.

In pochi sono riusciti ad esaudire i propri desideri negli ultimi anni. La carriera di Shane van Gisbergen l’abbiamo rivista in questo articolo che lo ha elogiato pubblicamente troppo tardi rispetto al dovuto, anche se è uno dei piloti che più tengo in considerazione in tutto il motorsport.

Altri due nomi che mi vengono in mente come detto sono quelli di Kyle Larson che ha corso e vinto praticamente su ogni pista sterrata e ogni vettura d’America, ma ha in bacheca anche un titolo della Cup Series e una 24h di Daytona e di Johan Kristoffersson (WRX, Extreme E, podi di classe nel WRC, la Superstars Series tuttavia quella in versione europea di 10 anni fa, STCC e WTCC) ma anche Sébastien Loeb che, seppur abbia ormai quasi 50 anni, non scherza per nulla.

Cosa rimane dunque ora di questa storica gara disputata a Chicago, oltre al successo della gara in sé sul circuito cittadino (gara più vista sulla NBC degli ultimi sei anni)?

Rimane il rispetto degli altri piloti che, pur non sottovalutando SVG, probabilmente sono rimasti sorpresi dal fatto che Shane abbia vinto subito e lo abbia fatto malgrado non avesse avuto la strategia migliore, dovendo rimontare in condizioni difficili.

Landon Cassill ieri ha scritto un tweet riaprendo un po’ il vaso di Pandora: “Guida sensazionale, per tutto il weekend, da parte di Shane van Gisbergen. Chiamatelo come volete, talento, versatilità, non importa. Questo ragazzo ha semplicemente sverniciato tutto il gruppo e nemmeno di poco. Non posso non pensare però che questo mette i piloti della Cup Series, anzi tutti i piloti NASCAR, sull’attenti per il futuro. Migliorate sui circuiti cittadini o stradali o verrete rimpiazzati.”

Dello stesso tono anche Chase Elliott che tra il serio e il faceto ha detto “adesso Shane torna a casa e racconta a tutti quanto scarsi siamo!”, Austin Cindric con il più classico “Told ya!”

Il complimento più grande e più analitico forse però lo ha fatto Denny Hamlin che nel suo podcast ha detto così: “Quello che ha fatto mi manda fuori di testa. Cioè, ha guidato dall’altro lato della vettura rispetto a dove è abituato. Ho provato a farlo io quando sono andato in Giappone per la Toyota ed ho provato una GT3. Mi ci è voluta un’eternità per sentirmi sicuro con il volante a destra. Porca vacca. Su qualunque cosa rifletti capisci che ha fatto qualcosa di straordinario.

Cioè, credo prima o poi che ci riuscirei pure io, ma probabilmente non sarei così efficiente nel cambiare marcia con l’altra mano. Sapevamo che era molto bravo, ma quello che ha fatto mi ha sconvolto e lo sono ancora adesso che parlo. Sai cosa? Incoronatelo: è dannatamente (eufemismo, nda) il più grande atleta nella storia dello sport.”

Nello sport ci vorrebbero davvero più atleti poliedrici, non solo nel motorsport. Personaggi del genere sono quelli che appassionano ancora di più e ti fanno innamorare dello sport in maniera davvero sincera, senza fanatismi di parte o elitismi da parte di certe categorie o dei loro tifosi. Quindi grazie Shane van Gisbergen per averci regalato una pagina storica della NASCAR e non solo. Il tutto nella speranza di rivederti presto in qualche nuova avventura dovunque tu voglia.


Immagine: Media NASCAR

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