SBK | Yamaha, all’insegna della straordinarietà

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di Alyoska Costantino @AlyxF1
18 Dicembre 2021 - 09:00
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Il titolo mondiale piloti di Toprak Razgatlıoğlu conquistato al Mandalika è il secondo alloro ottenuto da Yamaha dopo quello targato Ben Spies nel 2009. Sia per il texano che per il turco si parla di campionati conquistati sul filo del rasoio.


Per la stragrande maggioranza dei piloti nelle categorie maggiori del motociclismo disputare una stagione, sia da vincente che da perdente, significa rimanere nell’ordinario. Appare parecchio strano che uno sport così entusiasmante, divertente ed allo stesso tempo rischioso possa vedere delle tracce di quotidianità. Un risultato scontato, un pronostico già scritto, una qualifica dall’esito già ampiamente previsto.

Ci sono però delle figure, nello specifico dei piloti, che possono far saltare gli schemi, possono distruggere la quotidianità a cui un appassionato è abituato nel vedere la categoria tanto seguita ed amata sconvolgendo completamente i valori in campo dati a lungo per scontati. Che sia per la competitività, per l’aggressività, per il proprio stile di guida, o addirittura per tutti questi fattori messi insieme.

In SBK, la Yamaha ed i piloti che sono stati capaci di portarla al successo rappresentano alla perfezione questo concetto, quello di esser stati capaci di conquistare dei risultati magari simili a quelli degli avversari, ma in maniere fuori dal comune. I titoli conquistati nel 2009 e nel 2021 con Ben Spies prima e Toprak Razgatlıoğlu poi (gli unici due della Casa dei Tre Diapason in questo campionato) ne sono la perfetta dimostrazione, essendo due allori vinti con fatica, in battaglie all’ultimo respiro con i rivali più forti presenti sulla piazza nei rispettivi momenti storici, superando le difficoltà e le sfortune e prevalendo sia dal punto di vista sportivo, sia su quello emotivo, rimanendo nel cuore dei tifosi di una Superbike che, nel corso degli anni, ha perso tanto della sua innocenza e semplicità.

Non è un caso che le annate 2009 e 2021, seppur così staccate nel tempo, rappresentino due delle stagioni più intense della categoria. Spies e Razgatlıoğlu sono stati artefici di due vere e proprie rivoluzioni, soprattutto per il come hanno trionfato, con stili di guida fortemente innovativi e distruggendo le certezze che regnavano all’inizio delle rispettive annate.

LA CARIOLA PIÙ VELOCE AL MONDO

Dietro ad ogni grande successo c’è sempre una storia interessante da raccontare, e quella di Ben “Texas Terror” Spies e del suo debutto in SBK nel 2009 non fa eccezione. Dopo tre titoli consecutivi nell’AMA Superbike (l’attuale MotoAmerica), il pilota di Memphis classe 1984 ebbe ormai consolidato il suo rapporto col marchio Suzuki, con cui aveva disputato anche delle wildcard in MotoGP nel 2008 prima di aggiudicarsi il terzo alloro a stelle e strisce. In quel momento un prosieguo della sua carriera con la Casa di Hamamatsu, ai tempi ancora ben presente nei piani alti della SBK, apparve certo.

Invece, nel mese di ottobre del 2008, arrivò l’annuncio del suo passaggio nel mondiale Superbike, come nuovo pilota ufficiale Yamaha. La scelta fu propiziata da due fattori: in primis il sempre minor coinvolgimento di Suzuki col team Alstare nel campionato, proprio a partire dal 2009; in secondo luogo l’effetto domino creatosi col ritiro di Troy Bayliss alla fine del 2008, che aveva convinto il team Ducati Xerox factory a scegliere Noriyuki Haga come sostituto. “NitroNori” prima di quel momento era la prima guida di Yamaha e la scelta della squadra Motor Italia condotta da Massimo Meregalli ricadde così sul texano.

Nonostante i tre titoli ottenuti negli States, se qualcuno avesse ipotizzato ad inizio stagione ciò che avrebbe poi effettivamente fatto il debuttante Spies, quel qualcuno sarebbe stato dato per pazzo. Al debutto a Phillip Island, pista mai vista prima, Ben conquistò la pole position con più di tre decimi di vantaggio su Max Biaggi ed oltre mezzo secondo su Jonathan Rea (altro nome che comparirà nel resto di quest’articolo). La domenica fu contraddistinta da uno zero in Gara 1 e dalla sorprendente vittoria in Gara 2, un risultato che rappresentò perfettamente quel che fu il suo inizio di stagione, con grandi vittorie alternate a delle battute d’arresto. Sin da quella domenica di fine febbraio si capì che un altro pezzo da novanta aveva fatto capolino nel mondiale, arricchendo un panorama delle derivate di serie già pieno di nomi illustri quali Carlos Checa, Michel Fabrizio, Troy Corser, Leon Haslam, Max Neukirchner ed i già citati Biaggi ed Haga.

Ad impressionare maggiormente i tifosi e i membri del paddock non fu solo la velocità di Ben, ma anche il suo peculiare stile di guida. Per tirare fuori il massimo dalla sua R1, Spies doveva guidare con una tecnica innovativa per l’epoca, che prevedeva l’utilizzo dei gomiti come ulteriore appoggio a quello delle ginocchia; ciò gli permetteva di puntare sulla percorrenza nelle curve ad ampio raggio. Poiché il texano aveva braccia e gambe molto lunghe per quella moto, dovette guidare con gomiti molto larghi e da questo si meritò il soprannome tutto italiano di “Cariola”. Oggi questo stile è diventato quasi uno standard, il marchio di fabbrica di piloti MotoGP quali Marc Márquez, Jorge Martín o Francesco Bagnaia.

LA RIVALITÀ CON HAGA

Nonostante tutti questi punti di forza, l’impresa di vincere al primo anno appariva impossibile sulla carta. Non solo per le difficoltà date dall’imparare piste totalmente nuove su una moto sconosciuta, ma anche per la concorrenza contro cui il texano si sarebbe dovuto scontrare. Su tutti gli avversari spiccava proprio Noriyuki Haga, dato tra l’altro come favorito alla vigilia e forte di una Ducati 1098 che aveva fatto man bassa di vittorie nel 2008. In effetti la classifica, fino al Gran Premio d’Italia a Monza, diede ragione al giapponese, con 54 punti di vantaggio sul suo avversario e nove arrivi a podio su dieci manche contro i sei dell’americano.

Guardando più nel dettaglio gli scontri diretti di quel 2009, però, si poté capire l’incredibile forza di Spies. La prima doppietta Gara 1-Gara 2 arrivò nel secondo round a Losail, mentre ad Assen, quarto atto della stagione, andò in scena una battaglia d’antologia nella prima manche, con i due contendenti al titolo in lotta fino all’ultimo giro e Leon Haslam a fare da terzo incomodo sulla sua Honda Stiggy. Il sorpasso del #19 sul #41 alla compressione Hoge Heide rimane ancora oggi una delle manovre da ultimo giro più entusiasmanti di sempre; lo stesso commentatore Luigi Vignando, in diretta televisiva, non si risparmiò nel definire quel sorpasso come “un capolavoro straordinario”.

Il duello tra Haga e Spies non avveniva soltanto in pista, bensì anche negli animi dei tifosi. Ai tempi il giapponese scanzonato e fantasioso (e dai modi a volte un po’ fuori luogo) era amatissimo dalle folle della Superbike, in quanto uno degli ultimi baluardi dell’Epoca d’Oro risalente alla seconda metà degli anni ’90 ed ai primi anni del millennio successivo. “Texas Terror”, tuttavia, riuscì lo stesso a fare breccia in molti, trovando uno spazietto nel cuore della gente che, gara dopo gara, battaglia dopo battaglia, vittoria dopo vittoria, si allargò sempre di più.

Un’altra caratteristica unica di Spies fu la sua abilità nel giro secco. Nelle prime sette gare la Yamaha #19 conquistò sette Superpole (primato rimasto imbattuto fino a quest’anno, con Rea capace d’infilarne otto di fila) e, a fine stagione, su quattordici appuntamenti, le partenze al palo conquistate furono undici, un record tutt’oggi imbattuto. Fu impressionante anche la differenza fatta sul compagno di squadra, proprio colui che, ad oggi, detiene il maggior numero di Superpole: Tom Sykes.

La stagione proseguì in un grandissimo equilibrio fino all’ultimo appuntamento a Portimão, per il Gran Premio del Portogallo. Pur partendo con 10 punti di svantaggio all’inizio del weekend, Spies fu capace di agguantare il titolo al debutto per sé e per il team Yamaha, grazie ad una vittoria ed al quinto posto di Gara 2. Per la Casa dei Tre Diapason quel successo fu una liberazione dopo tanti rospi amari ingoiati sin dal ritorno nel 2005 e tante sconfitte contro le altre forze in campo quali Ducati, Honda e Suzuki.

Dopo il titolo, per Spies giunse il tempo di un immediato salto in MotoGP. A distanza di anni molti s’interrogano ancora su cosa avrebbe ottenuto il texano rimanendo nelle derivate di serie, se il suo confronto con Haga si sarebbe ripetuto negli anni a venire o se nuovi protagonisti avrebbero insidiato il suo trono. Purtroppo, questi sono tutti scenari che non si sono concretizzati, ma nonostante la carriera di Ben sia finita probabilmente prima del tempo, le sue imprese e le sue battaglie coi vari Haga, Biaggi, Fabrizio e Rea rimarranno scolpite nella mente di tutti gli appassionati che hanno avuto la fortuna di vedere quel periodo così intenso per il campionato SBK.

DODICI ANNI DOPO

Per quanto si tratti di storia recentissima, il racconto che ha portato Toprak Razgatlıoğlu a sposare la causa Yamaha ed a vincere il titolo mondiale di quest’anno è altrettanto interessante e meritevole di un piccolo revival. La carriera di Toprak ha infatti inizio negli stessi lidi di quella di tanti altri giovani talentuosi, ovvero nella Red Bull Rookies Cup. Dopo diversi anni di corse in madrepatria, nel 2013 “Razga” debuttò proprio nella serie finanziata dal marchio di bibite, confrontandosi con piloti che sarebbero poi diventati dei riferimenti nel Motomondiale e nel motociclismo in generale, quali Joan Mir, Jorge Martín e Bradley Ray.

E’ però nella STK600 che Razgatlıoğlu ebbe modo di farsi notare dal grande pubblico. In una delle categorie mai abbastanza rimpiante delle derivate di serie, il turco trovò terreno fertile nel quale dare il meglio di sé, affrontando anche alcuni degli avversari che avrebbe poi sfidato proprio in SBK, come la pattuglia italiana formata da Michael Ruben Rinaldi, Axel Bassani e Federico Caricasulo. Qui mise in mostra il frutto dei propri allenamenti con Kenan Sofuoğlu, icona del motorsport turco e campione della SSP600 di allora.

Dopo esser diventato nel 2015 l’ultimo campione della STK600, Il pilota di Alanya passò ad un’altra classe Stock, la STK1000. Nelle due annate disputate con Kawasaki, 2016 e 2017, Toprak non riuscì a conquistare il titolo, sia per alcuni infortuni di troppo che per una competitività della sua moto probabilmente non allo stesso livello di quella dei competitor, Ducati e Yamaha in primis. Tuttavia, in termini di talento, il #54 sembrava promettere benissimo, grazie alla guida del solito Sofuoğlu ed alla fiducia di Kawasaki, divenuta proprio in quegli anni la dominatrice della massima categoria.

Ad accomunare Razgatlıoğlu e Sofuoğlu non sono però solo la nazionalità, il talento e l’amore per le corse, ma anche il beffardo destino che le moto hanno riservato ai due, dando parecchie gioie ma togliendo anche moltissimo alle loro vite. Nel novembre del 2017 “Razga” perse il padre Arif per un incidente stradale, un po’ come Kenan che, tra il 2002 ed il 2008, perse i fratelli Bahattin e Sinan. Il mondiale conquistato a Mandalika da Toprak è stato dedicato in primis proprio al genitore.

Nonostante la perdita, l’amore per le moto non viene scalfito e Toprak, nel 2018, fa il tanto atteso debutto in SBK, come pilota del team Puccetti. Si tratta di storia recente, ma la sua sistemazione nella squadra di Manuel Puccetti appariva una situazione temporanea, nell’attesa che si liberasse una sella nel team Kawasaki ufficiale, magari al fianco del dominatore dell’era contemporanea Jonathan Rea.

Il turco rappresentava sin da subito un tremendo scossone per un campionato che aveva perso gran parte del proprio mordente. Nonostante la moto privata, l’inesperienza e la poca conoscenza del mezzo, il #54 non mostrava nessun timore reverenziale verso quelli che erano i volti più forti del mondiale in quel momento. A Donington, in Gara 2, Razgatlıoğlu si prende persino il lusso di battere Rea per il secondo posto, in quello che sarebbe stato il primo di tantissimi confronti spalla a spalla tra i due fenomeni.

Dopo un buon 2018 di partenza, nel 2019 Toprak continua la sua crescita con Puccetti, venendo anche fornito di una ZX-10R molto vicina, in termini di performance, alle “Ninja” utilizzate da Rea ed Haslam. In questa stagione arrivano le prime due vittorie nel GP di Francia a Magny-Cours (la pista del debutto in STK600) ed un quinto posto nella generale piloti, a conferma di un salto di qualità che per il funambolico talento turco era oramai maturo.

EFFETTO DOMINO

L’imprevisto che non ci si aspetta arriva però nella forma della 8 Ore di Suzuka del 2019. La 42a e finora ultima edizione della “Gara delle Gare”, una delle più emozionanti di sempre, è divenuta storica non solo per la rocambolesca vittoria della Casa di Akashi a ventisei anni di distanza dall’ultimo successo della “Verdona” targato Aaron Slight-Scott Russell nel 1993 o per la sconfitta di Yamaha dopo un dominio durato quattro anni, ma anche per i successivi risvolti che ha avuto nel panorama mondiale del motociclismo.

Pur comparendo nell’albo d’oro, Toprak Razgatlıoğlu è stato, a conti fatti, il vincitore di una gara di cui non ha percorso nemmeno un giro, poiché, per tutte le otto ore sul difficilissimo tracciato di Suzuka, solo Rea e Haslam si sono alternati in sella alla Kawasaki #10. Questa scelta del team era probabilmente figlia di una mentalità forse troppo conservativa, preferendo mantenere una formazione per la corsa con due volti più esperti anziché puntare su un giovanissimo alla prima esperienza come Razgatlıoğlu, pur costringendo Leon Haslam a percorrere diversi stint nonostante un infortunio alla caviglia sinistra.

Kawasaki ha lasciato andare in cavalleria il fattaccio, ma Razgatlıoğlu ed il manager Sofuoğlu no. Il trattamento riservato al giovane protetto, persino costretto a disputare le prove con gomme usate, è stato considerato inaccettabile dal pluricampione della Supersport, innescando così un incredibile effetto domino che avrebbe portato “El Turco” a firmare con Yamaha per il 2020. Nel giro di qualche settimana Kawasaki è passata dall’avere un nuovo potenziale fenomeno quale successore di Jonathan Rea, a ritrovarselo contro come principale minaccia al titolo SBK.

Inizialmente, a dire il vero, la Casa di Akashi quasi non si è accorta del disastroso harakiri che aveva commesso. La ZX-10R nel 2020 rimane ancora il riferimento grazie a “Johnny” come punta di diamante, mentre Toprak alterna grandi prestazioni a gare più opache, figlie anche di una R1 non ancora allo stesso livello di Kawasaki e Ducati. Le vittorie, in un’annata funestata dal Covid-19 (da cui “Razga” si è ritrovato anche positivo), sono tre, ma a conti fatti il #54 non è mai stato una vera minaccia al titolo per il nordirlandese.

Le cose sono cambiate quest’anno, con l’esito che conosciamo. A fronte di un inizio di stagione infuocato per la coppia Rea-Kawasaki, la stagione di Razgatlıoğlu ha ingranato dal Gran Premio dell’Emilia-Romagna con la vittoria in Gara 2, per poi cominciare una lunga serie di scontri con l’ex-compagno di marca in quel di Donington, già teatro di alcune loro battaglie nel 2018 e nel 2019. E’ qui che lo yamahista ha messo a nudo le debolezze di Rea, costringendolo ad un errore pesantissimo in Gara 2, ovvero la caduta mentre era al comando.

Razgatlıoğlu ha raggiunto il punto più basso della stagione ad Assen, in pratica il giardino di casa di Jonathan e della Kawasaki. Grazie all’insperato aiuto di Gerloff in Gara 2 e del suo strike sulla R1 di Razgatlıoğlu, Rea ha potuto guadagnare un vantaggio di 37 punti sul rivale, che a fine gara non si è risparmiato dal definire il campionato come “finito”.

Proprio come Spies con Haga nella seconda parte del campionato 2009, la rimonta di Razgatlıoğlu su Rea in tutto il resto del 2021 è stata impietosa. L’errore di Donington non è stato un caso isolato e il pilota della Kawasaki è incappato in altri due passi falsi, a Most e a Portimão. “Razga”, dal canto suo, non ha sbagliato una virgola e gli unici ritiri sono stati causati dalla sfortuna, come il problema elettrico in Gara 1 a Barcellona o la paradossale rottura del parafango in Gara 2 all’Autodromo dell’Algarve, che ha innescato la scivolata al curvone finale.

Per far cadere Rea sotto i colpi della pressione Toprak ha dovuto puntare tutto sul suo campo più congeniale, quello della lotta corpo a corpo. Sin dalla STK600, categoria incredibilmente equilibrata e nella quale la bagarre era all’ordine del giorno, il #54 si è dimostrato uno staccatore formidabile, migliorando ulteriormente nel 2021. I suoi stoppie scenici in corsia box sono il meno, vedendo le staccate con gomma posteriore sollevata che è capace di fare nel pieno di una battaglia.

Pur rispettandosi reciprocamente, la battaglia per il titolo SBK di quest’anno ha avuto contorni subdoli, con qualche curiosa frecciatina fra i due contendenti. Emblematico il caso di Portimão, con Razgatlıoğlu indaffarato a “pulire” la via di fuga con lo spazzolone al termine di Gara 1 (in risposta ad una penalizzazione ricevuta a Magny-Cours, che gli era costata una vittoria a favore dell’avversario) e Rea pronto a macchiare la stessa via di fuga verde con un burnout dopo Gara 2.

Sulla neonata pista di Mandalika si è consumato l’ultimo round di questa sfida, non senza intoppi per via del meteo e degli acquazzoni indonesiani che hanno messo a serio rischio l’intero weekend. Alla fine, in un format vecchio stampo con solo Gara 1 e Gara 2 alla domenica, a Razgatlıoğlu è bastato un secondo posto nella prima manche per aggiudicarsi il primo titolo mondiale, venendo incoronato con un casco ed una tuta dorati. Una vera e propria rappresentazione di Toprak, quella del nuovo “Golden Boy”, pronto ad iniziare una nuova era nelle derivate di serie dopo aver spodestato il vecchio re.

Al contrario di Spies, infatti, la carriera di Razgatlıoğlu proseguirà nelle Superbike ancora per qualche anno, prima di decidere sul da farsi. Il suo talento naturale potrebbe permettergli, un giorno, di divenire un protagonista anche nel mondo dei prototipi, solitamente pronto a snobbare coloro che arrivano dalla scuola delle moto derivanti dalla produzione stradale. Sarebbe sicuramente intrigante, un giorno, vedere il turco battagliare coi vari Márquez, Quartararo e Bagnaia, ma bisogna dare tempo al tempo.

Il primo titolo è stato solo il raggiungimento del primo obiettivo: dal 2022 riconfermarsi sarà la sua missione, guadagnandosi quello status di leggenda tanto agognato.

Fonte immagine: yamaha-racing.com

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