SBK / Supersport | Intervista esclusiva ad Edoardo Vercellesi, giovane (ma già esperto) telecronista delle due ruote: “Anno pieno d’impegni e di soddisfazioni”

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Tempo di lettura: 16 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
24 Novembre 2023 - 10:00
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Dopo Max Temporali ad inizio anno, P300.it ha avuto il privilegio d’intervistare anche l’altra voce in cabina della SBK.


Ogni cosa ha un suo inizio, anche quelle più sensazionali ed una carriera brillante, che si stia parlando di un pilota o di altro, ha pur sempre un punto di partenza. La persona protagonista dell’intervista odierna i suoi primi passi nel mondo dei telecronisti li ha già mossi, anche se più che passi bisognerebbe parlare di veri e propri balzi.

Edoardo Vercellesi, milanese classe 1997, ha già raggiunto numerosi traguardi sin dalle sue prime esperienze al commento nel 2016 con il CEV. E’ conosciuto ai più per il suo lavoro come commentatore del campionato SBK, le cui redini sono state prese da Sky nel 2019; proprio da quell’anno, insieme a Max Temporali, il giovane commentatore lombardo commenta le gesta dei vari Jonathan Rea, Álvaro Bautista, Toprak Razgatlıoğlu e di tutti gli altri protagonisti delle derivate di serie, comprese le categorie SSP e SSP300.

P300.it ha avuto l’opportunità ed il piacere d’intervistare “Edo”, con una classica sessione di venti domande e risposte. Cominciamo.


Ciao Edo. La prima domanda è: come stai?

“Hola, sto molto bene. E’ stato un anno molto pieno, sia d’impegni che di soddisfazioni. La laurea magistrale, il Casco d’Oro, la Superbike, il progetto CIV con Yamaha… è stato un anno molto molto proficuo, che mi ha arricchito tanto. Altrettanto vale per EICMA e adesso sono pronto a ricaricare le batterie e, nel frattempo, farmi un po’ di progetti personali”.

Com’è nata la tua passione per il motociclismo?

“Nasce, nello specifico, grazie ad un vicino di casa. Il mio vicino di casa di quando sono nato, che era un giornalista molto appassionato. La storia che racconto sempre è che, quando andavo a casa sua, mi prendesse sulle ginocchia e giocavamo insieme al videogioco della SBK sul computer; era il 2000-2001 come periodo. Lui aveva il joystick fatto a forma di manubrio, quindi era molto, molto bello giocarci ed io ho cominciato ad appassionarmi per davvero al mondo delle due ruote, prima alla Superbike e poi al resto. Contribuivano, ovviamente, anche i giornali e i modellini che mi comprava mio padre e, prima ancora, il fatto che fossi molto affascinato di mio dai mezzi, le macchine e le moto, parcheggiate nel parcheggio di casa, che già di per sé avevano un grande fascino per me. Non so se perché facessero rumore o che cosa, ma mi colpivano molto”.

Quali sono i tuoi gusti sulle motociclette? Possiedi qualche modello stradale o ne vorresti comprare uno in futuro?

“Indubbiamente ho una predilezione per le supersportive e per i mezzi da pista, ma in realtà m’interessano tutte a prescindere. Perché tutte hanno una loro peculiarità, una loro utilità, una nicchia di passione che rappresentano. E se non è una nicchia di passione, è una nicchia di utilità appunto. Io, per esempio, sono possessore di scooter, vivo a Milano e mi ci sposto con lo scooter, è molto comodo; quindi mi piacciono tutte. E poi, aggiungo, io dico sempre che correrei con qualsiasi cosa, dalla supersportiva al triciclo al monopattino. In una pista, in un percorso, tutto è bello da far correre, tutto è bello da guidare, traggo divertimento da tutti i tipi di mezzo”.

Nonostante il tuo ottimo lavoro di giornalista imparziale, per che pilota tifi/hai tifato in passato?

“Gli unici piloti che io abbia mai tifato sono stati, proprio in seguito agli inizi col videogioco, Akira Yanagawa e soprattutto Ben Bostrom. Infatti non nascondo che mi piacerebbe riuscire ad intervistarlo”.

Quali altre categorie motoristiche segui?

“In passato ti avrei detto più o meno di tutto, due o quattro ruote indistintamente. Superbike, Motomondiale, la Formula 1 no invece, non mi appassiona più. Mi appassiona molto l’Endurance e ho sempre avuto un debole per le gare di durata e GT in generale, ma la mia grande passione neanche troppo nascosta è per le gare americane. E’ da una decina d’anni circa che seguo in particolare la Nascar con molto affetto e con molta attenzione. Sono un mondo nel quale mi vedrei anche a lavorare, ecco”.

Sui tuoi social hai postato alcune immagini mentre ti trovavi a Phoenix per l’appuntamento della Nascar. Com’è andare a vedere una gara di una serie americana, spesso lontana dalle concezioni europee a cui siamo abituati?

“L’esperienza di Phoenix è stata molto, molto bella, anche perché l’ho vissuta con mia madre, quindi è stata speciale. Sono stato a vedere la Xfinity Series, non la Cup Series che invece è, diciamo, la Serie A della Nascar, anche se lì non funziona esattamente così. Ogni categoria ha un po’ una sua dignità e, se è vero che c’è un percorso per arrivare alla Cup Series, che è il top, ci sono anche tanti specialisti. E comunque le corse americane hanno un po’ un loro modo di procedere, ma al di là della divagazione è stata un’esperienza molto bella, perché ho percepito, da una parte, i rituali delle corse americane: la preghiera pre-gara, l’alzarsi in piedi per l’inno, il “Drivers, start your engines!”, l’alzarsi in piedi al primo giro a guardare appunto la partenza ed il primo giro di gara, la gente sulle tribune con le radioline per comunicare tra di loro o per ascoltare la cronaca della gara. Dall’altra parte, la costruzione di un evento sostanzialmente ad hoc per il pubblico, con chiaramente grosse aree dedicate agli spettatori, tra merchandising, cibo, tante tante esperienze, tanti concorsi, giochi, eccetera. Nonché la possibilità, per quanto possibile, di entrare nel paddock all’interno dell’ovale; nel mio caso c’era la premiazione del titolo di Cole Custer e alcuni fan che avevano vinto un biglietto o un braccialetto speciale potevano andare sotto il palco. Partecipare alla premiazione è stato molto, molto carino. In sostanza, ho respirato un’atmosfera estremamente fan-friendly, estremamente pensata per il pubblico; anche relativamente a buon mercato. Poi non dico che sia tutto oro quel che luccica e che tutto quello che fanno gli americani sia corretto o il top, però la loro propensione allo spettacolo e l’organizzazione di un evento pro-spettacolo comunque viene mitigata dalla corsa, che è molto rustica perché alla fine le Stock Car, per quanto possano essere tecnologiche o tecnologizzate, restano comunque un modo estremamente umano di correre. Quindi c’è questa dicotomia tra l’iper-spettacolarizzazione e qualcosa di molto legato alle radici. Un motorsport comunque abbastanza vicino al pubblico”.

Quali altre passioni hai oltre il motorsport?

“La musica è la numero uno. Avrei tantissimo voluto suonare uno strumento e sto ancora combattendo con me stesso per iscrivermi ad una scuola di canto, perché l’emozione che provo attraverso la musica probabilmente eguaglia o supera quella per il motorsport. Ho una passione infinita per la radio che parte dai giorni a Radio Statale, per la quale sono ancora impegnato nel ruolo di coach degli speaker. E mi piacerebbe tantissimo fare radio nella vita, lavorare come speaker radiofonico per davvero perché il fascino che ha la voce in radio, l’intimità della radio sono qualcosa di molto, molto forte per me. Mi piace tantissimo la fotografia, sia di ritratto che in pista, e amo collegare fotografia e musica. E’ una cosa che mi piace tantissimo fare, secondo me racconta tanto delle persone quest’unione che dà un colore: inestimabile a livello d’esperienza e sensazioni. Sono un grande appassionato di go-kart e di kart rental, corro da diverso tempo nel Milano Kart Championship, per il quale faccio anche l’istruttore sia per i bambini che per gli adulti. E, per quanto non lo faccia granché per lavoro, amo molto scrivere sia cose personali che testi di tipo documentaristico e me ne sono accorto scrivendo le mie tesi di laurea, facendo ricerca e rielaborando le fonti in qualcosa di originale. Rielaborare in qualcosa che sappia raccontare una storia o spiegare un fatto è molto affascinante per me. Mi piacerebbe tantissimo, inoltre, lavorare come autore televisivo o come autore in generale, scrivere appunto documentari; principalmente in ambito sportivo, ma non solo”.

Quando hai scelto di diventare telecronista? E cosa ti ha spinto a seguire questo percorso?

“Fare il telecronista è stato per diverso tempo una mia opzione sin da quando ero piccolo, ma forse non il sogno della mia vita in generale. Volevo lavorare nel motorsport, fare il giornalista sportivo, ma non per forza il telecronista, anche se da un certo punto in poi era la strada che mi intrigava di più, lo ammetto. Poi in realtà mi è capitato di diventarlo, a partire dalle prime mini-telecronache con Gianmaria Gabbiani per Sport Television nel 2015. E poi è arrivata Sky nel 2016, con Guido Meda che mi ha scoperto tramite il sito precedente per cui scrivevo, motorsportrants.com, col quale facevamo anche un talk show all’epoca molto apprezzato su YouTube, chiamato Retrobox, nel quale il pubblico poteva intervenire via social. All’epoca era abbastanza inedito, era originale, oggi è sdoganato ma all’epoca non lo era e quindi mi è successo. Ero ancora all’ultimo anno di liceo e quindi, in realtò, è stato quasi più quello a determinare il mio percorso, non tanto la rincorsa del sogno, quindi la scelta di un percorso per arrivare a quello. Una volta iniziato, ho proseguito con l’iscrizione anche all’università, studiando comunicazione sia triennale che magistrale. Ed è stato un viaggio abbastanza… naturale se vogliamo, dal 2016 in poi”.

Quali altre gare o categorie vorresti commentare un giorno?

“500 Miglia di Indianapolis e 24 Ore di Le Mans, senza alcun tipo di dubbio. I miei sogni sono più che altro sulle quattro ruote, non sulle due. Come dicevo, le gare GT ed Endurance mi hanno sempre affascinato molto. E poi la Nascar, l’Indycar, le gare americane in generale. Sono le cose che più mi affascinano in un’ottica lavorativa futura, posto che il mio obiettivo sarebbe entrare sempre di più all’interno del mondiale Superbike”.

Un aggettivo per riassumere il 2023 della Superbike?

“Paradossale. Perché la logica ed il potenziale avrebbero voluto Bautista campione con molto più anticipo. Ma la caparbietà di Razgatlıoğlu e i suoi pochissimi zeri, mischiati ad errori e disavventure di Álvaro, hanno tenuto ‘aperto’ il mondiale fino all’ultima tappa”.

Questo mondiale si è concluso con la splendida Gara 2 di Jerez, terminata però con l’amaro epilogo del risultato a tavolino a favore di Álvaro Bautista. Che sensazione ha dato, a te commentatore, vedere una manche del genere finire così?

“Non ti nascondo che per me e anche per Max Temporali è stato un finale abbastanza… deludente? Anzi, sconfortante. Perché se è vero che esistono delle regole, questo non significa che queste regole non tolgano sapore al motorsport. Non è stato un finale degno, la gara sì e nessuno mi toglierà dalla testa che Bautista abbia un po’ giocato in quella gara per fare spettacolo. Ma al di là di questo meritava Toprak, l’ha vinta in pista e doveva vincerla lui. Le regole sono regole, però è sempre un gran peccato”.

Lo stesso problema lo si ha avuto, poche ore prima, in MotoGP con la penalizzazione a Brad Binder in Thailandia. Che soluzione alternativa proporresti?

“La soluzione per me è molto, molto semplice: ovviare ai track limits tornando ad avere, oltre i cordoli, una superficie, che sia l’erba o la ghiaia, o alla peggio l’erba sintetica ma non ne sono un grandissimo fan, che tolga aderenza, che crei un problema e di conseguenza, se anche ci vai sopra, il problema è tuo. Meno elementi artificiali si aggiungono alla valutazione di una gara o alla determinazione del risultato, come una decisione sui track limits, e meglio è per il motorsport, secondo me”.

Nonostante la stagione 2023 sia finita da poco, il 2024 si prospetta incandescente. Dei tanti temi che stanno affiorando per la prossima annata, quale di questi ti intriga di più?

“Io sono curiosissimo di vedere se questo amore a prima vista nato tra Rea e la Yamaha R1 si concretizzerà in una stagione da parte sua a livello di Razgatlıoğlu, perché il dubbio è per forza di cose molto forte. Perché Toprak aveva veramente trovato, con quella moto, la quadra perfetta; era proprio cucita su di lui. Ovviamente cosa farà Toprak di là con BMW m’intriga molto e ci dirà parecchio del pilota che è Toprak, però io sono molto curioso di Nicolò Bulega in Ducati ufficiale e in generale in Superbike. Ovviamente c’è la curiosità di capire se Andrea Iannone sarà un fattore o meno oppure, per esempio, fin dove possono spingersi con un anno di esperienza in più sia Danilo Petrucci che i due piloti di GRT, Aegerter e Gardner. Sono talmente tanti i temi che è veramente complicato circoscriverne alcuni”.

Un grosso cambiamento sarà l’introduzione di un peso minimo, seppur “ammorbidito” per i piloti ultraleggeri come, appunto, Bautista. Pensi che ciò possa bastare per non indicarlo come favorito assoluto?

“No, non credo che il peso minimo possa bastare per togliere a Bautista i galloni del favorito. Che possa essere più complicato sì, ci sta, ma che Álvaro non sia il favorito con quello che ha dimostrato in questi anni, questo no. E’ comunque lui il riferimento anche perché, banalmente, i suoi rivali sono tutti in delle condizioni nuove, e quindi non abbiamo certezze intorno a lui. Lui è l’unica certezza”.

Anche la Supersport sta avendo la propria fetta di gloria, specie da quando c’è stato il debutto delle moto Next Generation. Chi vedi come favorito per il 2024 di questa serie?

“Per quanto è chiacchierata, sono d’accordo nel dire che stia vivendo di nuova linfa. Faccio fatica ad indicare un favorito perché, classifica alla mano, in assenza di Bulega ovviamente sarebbe Manzi il principale candidato al titolo. C’è da capire, a livello tecnico, quale sarà l’equilibrio e chi saranno i nuovi protagonisti, per esempio Caricasulo che sale su una MV, quella del team Motozoo; Marcel Schrötter e Bahattin Sofuoğlu, con le MV del team Reparto Corse, che hanno mostrato punte di velocità importanti, con un’ulteriore anno d’esperienza perché no? Potrebbero diventare anche dei contendenti più seri al titolo. Faccio fatica a vedere Can Öncü della partita per questioni tecniche, Kawasaki mi sembra fare fatica, ed Adrián Huertas sulla Ducati Aruba.it è molto, molto interessante: pilota molto veloce, con il team probabilmente migliore del lotto.

C’è anche da parlare della SSP300, la quale quest’anno ha rivisto in vetta Jeffrey Buis ma che ha dimostrato di nuovo i propri limiti di serie fin troppo confusionaria. Cosa pensi di questa categoria?

“Io credo che la 300, purtroppo, non sia formativa. Non tanto perché non insegna ai piloti a guidare, anzi: ha il pregio di obbligarli ad imparare a gestire la bagarre per forza di cose con quei gruppi. E’ una categoria in cui le prestazioni delle moto sono molto vicine ed in cui, non è un mistero, si gioca tanto a livello di piccolezze tecniche, anche oltre i limiti del regolamento. Questo significa che non sempre c’è una corrispondenza tra talento del pilota e quello che dice la classifica. E’ questo il mio grande dubbio sulla Supersport 300 perché, guardando Jeffrey Buis, egli ha avuto un esordio in 600 molto difficile. Non ha dimostrato molto, poi le situazioni sono tutte difficili e diverse, però che Jeffrey Buis sia più forte, per dire, di un Matteo Vannucci, di un Mirko Gennai o, per guardare in quella che è stata casa sua fino a quest’anno nel team MTM, più forte di un Loris Veneman, faccio fatica a pensarlo sinceramente. Quindi per me è una categoria che, per com’è strutturata a livello tecnico, non consente una chiara definizione di valore in campo; non sempre fa vincere il più forte”.

Che rapporto hai con Max Temporali? Ad inizio anno abbiamo intervistato anche lui ed ha espresso bellissime parole nei tuoi confronti.

“Max è un papà, sia a livello professionale che a livello umano. Non ho mai nascosto, e non intendo farlo, che se ora io sono al livello a cui sono adesso è anche perché, quando nel 2019 cominciai a fare la Superbike, ho trovato lui a fianco a me, che mi ha rassicurato, mi ha indirizzato, mi ha sostenuto e dato serenità in un momento in cui mi trovavo a commentare una categoria oggettivamente più grande di me. Io non avevo neanche compiuto i ventidue anni a febbraio 2019, quando abbiamo cominciato con la SBK; dovevo ancora compierli, ne avevo ancora ventuno. E non era scontato riuscire a gestire tutto: ero molto teso, avevo molta paura dei giudizi, e Max mi ha insegnato tanto. Andiamo molto d’accordo, soprattutto i venerdì, quando tra le due prove libere c’è molta pausa, ci troviamo a chiacchierare lungamente davanti ad un caffé o ad un dolcetto. Posso dire che sono molto felice di aver trovato al mio fianco una figura del suo calibro professionale e soprattutto umano”.

Oltre a Max, a Sky ti ritrovi a stretto contatto sia con novizi commentatori come te, sia con voci storiche del motorsport quali Guido Meda e Mauro Sanchini. Com’è lavorare in un ambiente simile?

“Ad essere del tutto onesto, noi non lavoriamo nella redazione, nel senso che siamo dei collaboratori, dei liberi professionisti: svolgiamo il nostro lavoro più al di fuori della redazione fisica di Sky che dentro. Formalmente, noi arriviamo quando c’è da commentare ed andiamo via quando abbiamo finito. Quindi non lavoriamo esattamente a stretto contatto con la redazione MotoGP, ecco. Posso dire che coi colleghi mi sono sempre trovato bene quando abbiamo avuto modo di lavorare insieme o anche soltanto di essere insieme, senza di mezzo questioni lavorative, mi sono trovato bene. Quando ho iniziato con loro, tutti sono stati pronti ad accogliermi e a darmi una mano quando ero “piccolo” nel 2016, che avevo diciannove anni. E veramente mi sembrava di entrare da piccolino piccolino in un mondo di giganti, quando commentai con Paolo Beltramo la prima del CEV, quando feci il provino insieme a Guido in una telecronaca io e lui. Mi spaventò, mi mise tanta ansia, ma Guido mi mise subito a mio agio. In Guido trovo una persona molto umana, molto paterna e che mi ha sempre trattato molto bene. Appunto, un po’ un padre con un figlio”.

Qual è la gara più bella che hai commentato?

“Io so che tutti a questa domanda sanno rispondere, ma io no. Io non lo so qual è stata la gara più bella che abbia mai commentato. Non so se perché ho cattiva memoria o perché sono quasi più attento alla parte professionale e al commento che al lasciarmi emozionare in qualche modo. Posso dire che, per esempio, Gara 2 SBK di Portimão quest’anno è stata veramente bella, però non so dirti quale sia la più bella io abbia mai commentato”.

Quest’anno hai visitato l’EICMA di Milano? Se sì, quali sono le novità più interessanti che hai visto?

Non ho visto nulla (ride). Ho passato quei giorni principalmente a lavorare e quasi non mi sono messo a girare per vedere le moto. Ho visto veramente molto, molto poco, perché ero appena rientrato negli Stati Uniti e venivo da un malanno, quindi non ero neanche in grandi condizioni fisiche per andare a girare con grandi energie alla fiera”.


P300.it ringrazia Edoardo per l’opportunità concessaci e gli augura un 2024 appassionante ed altrettanto colmo di soddisfazioni.

Fonti immagini: Instagram / Viviella Costantino, Francesco Taddia, Fabrizio e Valerio Porrozzi – GPAgency, Edoardo Vercellesi

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