L’ex-pilota Kawasaki e Honda è tutt’oggi tra i piloti più ricordati degli anni ’90 del mondiale Superbike.
Il periodo che va dalla prima metà degli anni ’90 fino ai primissimi del nuovo millennio rappresentano un’epoca leggendaria per il mondiale Superbike. Piloti storici, moto iconiche, tracciati spettacolari e battaglie epocali, questi sono gli ingredienti che hanno reso quel decennio come l’Epoca d’Oro per eccellenza del campionato riservato alle derivate di serie, nato nel 1988.
L’intervista che ci è stata concessa quest’oggi riguarda uno dei piloti che meglio incarnano quel periodo quasi magico ed estremamente competitivo. Si tratta di uno degli assoluti protagonisti di quel decennio, nonostante nell’albo d’oro il suo nome non compaia. Tuttavia, pur con questa mancanza le sue gesta rimangono scolpite nel cuore degli affezionati di lunga data del motociclismo.
Aaron Tony Slight, nato a Masterton il 19 gennaio 1966, ha corso saltuariamente in SBK sin dal 1988, entrando in pianta stabile nel 1992. Ha partecipato a tutte le successive edizioni fino al 2000, scegliendo di ritirarsi al termine di una stagione partita in maniera tremenda a causa di un aneurisma cerebrale. Sin dal suo approdo in pianta stabile con Kawasaki, il neozelandese aveva fatto capire come fosse tra i big del campionato, giungendo quattro volte terzo a fine anno e due volte come vicecampione del mondo.
Come detto precedentemente non ha mai raggiunto il titolo iridato in questa categoria, ma è comunque considerato come uno dei più grandi rivali di Carl Fogarty, il vecchio re della Superbike prima dell’ascesa di Jonathan Rea. Anche nell’Endurance il neozelandese si è fatto valere, vincendo per tre volte consecutive la mitica 8 Ore di Suzuka, diventando il primo pilota nella storia capace di tanto.
Cominciamo.
Buongiorno Aaron. La prima domanda è: come stai?
“Sto piuttosto bene qui. Il Covid-19 è una sfida dura ma non quanto in Europa o negli Stati Uniti”.
Hai mai avuto degli eroi di motociclismo personali quando eri giovane? Se sì, quali?
“No, in realtà non ne ho avuti perché la Nuova Zelanda è molto lontana e in quegli anni non c’erano internet o social media, solo le riviste. Ma ero giovane e i magazine costavano troppi soldi per un ragazzo come me; inoltre le notizie erano sempre vecchie di mesi. Ero anche un pilota di motocross ai tempi. Pensandoci però, ritenevo che Graeme Crosby fosse davvero figo quando faceva le impennate sulla sua [Kawasaki, n.d.r.] Z1R per i circuiti cittadini della Nuova Zelanda”.
Qual è il tuo primo ricordo riguardante le corse motociclistiche?
“Quando facevo motocross su una piccola Yamaha GT80 MX con il serbatoio argentato, gomme lisce e un casco dieci volte più grande della mia testa”.
Il tuo tracciato preferito?
“Phillip Island, non ha le migliori infrastrutture ma il tracciato ha tutto. Lunghi rettilinei, tornanti, cambi di direzione, curve da prima, seconda, terza, quarta e quinta marcia, è magnifico. Inoltre mi piaceva correre su piste storiche quali Monza, Hockenheim, Mugello e Donington”.
Prima di competere sul palcoscenico mondiale, hai corso nel campionato australiano. Com’è stato competere in quella serie?
“Era una serie davvero competitiva in quanto alcuni piloti avevano già corso a livello mondiale, gente come Robert Phillis e Malcolm Campbell. Proprio per questo le moto erano preparate a un livello pari a quello del mondiale. I costruttori giapponesi hanno supportato gli importatori con mezzi grandiosi”.
Hai mai avuto delle rivalità nell’ASBK o in qualche altra serie, prima di giungere in SBK?
“Ho avuto molti rivali ma nessuno di questi mi ha mai infastidito quanto Carl Fogarty. Non riuscivo a credere che qualcuno potesse essere così arrogante, non avere nessun apprezzamento per il mezzo guidato o per le persone attorno a sé come lui. Poi ha scoperto quanto fosse difficile guidare una quattro cilindri nel 1996”.
Durante la tua carriera nel mondiale Superbike hai avuto l’opportunità di guidare per Kawasaki e Honda. Puoi dirci quali fossero le differenze tra i due team e, soprattutto, tra le due moto?
“Sono stato molto fortunato a guidare per due costruttori diversi, ho lavorato a stretto contatto con entrambi. Con Kawasaki ho sviluppato i modelli F1, F3, Superbike e 250 X-09 GP, il team di corse era composto praticamente da australiani e neozelandesi, perciò mi sentivo quasi come a casa e con alle spalle il supporto della fabbrica giapponese; ma Kawasaki non aveva un reparto corse molto grande, quindi si affidavano ad alcuni vecchi artigiani per l’ingegneria. Con Honda sono stato coinvolto nello sviluppo delle loro Superbike, la RC 45 e la VTR 1000. Il reparto corse Honda, l’HRC, era immenso rispetto a quello Kawasaki e se si poneva un problema, si trovava una soluzione e loro avrebbero creato un nuovo pezzo. Il team di corse era situato in Inghilterra, perciò si parlava inglese anche lì e con me portai dei neozelandesi all’interno della squadra, così abbiamo legato. Sia la ZXR che la RC 45 sono state probabilmente le moto quattro cilindri di riferimento quando le ho guidate, la Kawasaki dal ’91 al ’93 e la Honda dal ’96 al ’99”.
Alcuni dei più grandi momenti della tua carriera sono arrivati dalla 8 Ore di Suzuka. Qual è la tua vittoria preferita delle tre che hai ottenuto tra il ’93 e il ’95?
“Direi quella del 1994, la mia unica vittoria con la RC 45 quell’anno. Battei il mio compagno delle edizioni precedenti [Scott Russell, n.d.r.] con un margine di tre decimi, credo. Abbiamo combattuto negli ultimi quaranta minuti e per trenta di questi era buio, doppiando gli altri piloti e facendoci spazio in pista”.
Hai mai voluto correre nel Motomondiale? Hai mai avuto interesse (o addirittura offerte) a svolgere una stagione in 500cc?
“Ci son stati due accordi che non sono andati in porto nei primi anni ’90. Il primo col team Suzuki Lucky Strike, ma poi presero Didier de Radiguès; il secondo con Agostini, il quale stava provando a prendere anche Kevin Schwantz. Se avesse preso Kevin, la Marlboro e la Yamaha l’avrebbero supportato e io venni visto come un possibile compagno di squadra”.
In che anno pensi di aver avuto maggiori chance per il titolo mondiale SBK?
“Nel 1998. Ho vinto il maggior numero di gare [cinque, a pari merito con Noriyuki Haga e Pierfrancesco Chili, n.d.r.], ho ottenuto le mie prime doppiette. Ero il pilota più veloce in pista ma ho avuto qualche piccolo problema. A Phillip Island sono stato steso da un doppiato, a Monza il motore si ruppe a due giri dalla fine, a Laguna Seca ci fu il groviglio alla partenza, giusto per citare alcune cose. Alla fine persi per soli 4,5 punti”.
Chi è stato, o chi sono stati, i piloti più forti con cui hai combattuto?
“Si può parlare di lotta in pista quando si è così vicini da combattere per una stessa porzione di asfalto. Questo succede realmente quando le moto sono allo stesso livello, come una 750cc contro un’altra 750cc. Quando una delle due moto ha un vantaggio non è più una lotta, ma un gioco al massacro. Pirovano era davvero difficile da superare in quanto era uno dei migliori staccatori in pista e un vero pilota. Direi anche Scott Russell, era così pulito e veloce”.
La miglior battaglia che ricordi?
“Le mie due vittorie a Misano nel ’98, perché dovevo battere le “Rosse” [le Ducati di Corser e Fogarty, n.d.r.] d’intelligenza, non solo di velocità”.
Cosa pensi di Anthony Gobert? In quegli anni voi due avete avuto delle battaglie davvero belle.
“Un pilota con un talento naturale, nessun dubbio a riguardo, ma serve il pacchetto completo per essere il migliore e se non ci metti abbastanza impegno come quelli che stanno al tuo fianco, non meriti di essere al top”.
Nel 2000, Honda schierò il modello VTR 1000 SP per lottare per il campionato, vinto poi dal tuo ex-compagno di squadra Colin Edwards. Hai qualche pensiero su quella moto?
“Ho molti pensieri su questa moto, ho speso diverso tempo nel 1998 a testare la VT Firestorm e a un test a Suzuka, quando i giapponesi mi chiesero se pensassi che questa moto potesse vincere il titolo mondiale, dissi che se avessero migliorato la velocità di punta avrebbero potuto avere un campione del mondo. Era molto più facile affrontare i cambi di direzione rispetto alla quattro cilindri. Perciò nel 1999 stavamo testando la VTR e avremmo disputato la stagione 2000 sulla bicilindrica. Ma non sono stato abbastanza fortunato a iniziare la stagione su questa moto, dato che ho avuto i miei problemi al cervello”.
Sfortunatamente, all’inizio di quella stagione hai avuto il tuo aneurisma. Puoi dirci come ti sei sentito emotivamente in quei mesi, prima del tuo recupero superlativo?
“Beh, in sostanza in quel momento avevamo la moto per battere gli altri dopo tutti quegli anni, ed ecco che ho un problema fisico che potrebbe non farmi correre mai più. Pensai ‘Che schifo. Se non fossi stato sfortunato, le cose andrebbero diversamente’. Ho pensato a tutte queste cose ma il percorso per tornare a gareggiare mi ha dato tutta la motivazione necessaria per mantenere salda la mia salute mentale”.
Alla fine del 2000, hai deciso di ritirarti dalle corse motociclistiche ad alti livelli. Pensandoci adesso, ti penti di quella decisione?
“Non ho realmente deciso di fermarmi, Honda non rinnovò il mio contratto e me lo disse molto in ritardo durante la stagione, così non c’erano più selle disponibili. Ero davvero affranto e amareggiato ma posso capire le loro motivazioni, stavano iniziando a spendere molto in MotoGP in quanto le quattro tempi stavano arrivando e non volevano pagare per due piloti numeri uno, e io ho avuto l’infortunio alla testa. Ma guardando ora a come mi sono ritirato, ci sono persone che continuano a correre e sperare che i loro risultati tornino quelli di una volta. Io probabilmente presi la decisione di getto”.
Hai persino iniziato una carriera nelle corse automobilistiche, dopo il tuo ritiro nelle due ruote. Oggigiorno preferisci le gare di auto a quelle di moto?
“Le auto sono grandiose ma non c’è quel rispetto per gli altri piloti come nelle moto. Mi piace semplicemente provare a guidare al limite”.
Il momento migliore della tua carriera?
“La stagione 1998 è stato davvero speciale in quanto mi sentivo al mio massimo potenziale, con un grande team, forte di molto supporto e a cui ho regalato i migliori risultati, il che levava il morale di tutti alle stelle”.
Guardi ancora le gare da casa? Supporti qualche pilota?
“Guardo ancora le gare ma non leggo molto a riguardo, in quanto prendo le informazioni che mi servono semplicemente guardandole. Sto supportando un giovane neozelandese della categoria Superstock 1000 del BSB, Damon Rees”.
Cosa ne pensi del campionato mondiale Superbike di oggi? E’ possibile un confronto tra il tuo periodo, che molte persone descrivono come “l’Epoca d’Oro”, e il presente della SBK?
“Penso fosse davvero speciale avere tutti i marchi coinvolti, quindi la competizione era grandiosa e lo erano anche le corse. Tutti quanti facevano del loro meglio per vincere e la sfida per la vittoria era incredibile poiché non sapevi chi avrebbe vinto, perciò anche le tribune si riempivano e si creava un effetto domino; il successo porta altro successo. Oggi penso ci siano alcuni piloti magnifici ma non tutti i marchi ci stanno mettendo lo stesso impegno, quindi sembra che alcune persone abbiano un vantaggio, ma magari ci stanno solo mettendo maggior impegno. Non mi piace la gara al sabato personalmente, in quanto preferivo il format precedente”.
Terminiamo così questa sessione di domande e risposte, con un enorme ringraziamento ad Aaron Slight per la sua collaborazione a raccontarci i momenti più importanti della sua carriera.
Fonte immagini: Facebook / LCR Honda Team
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