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SBK | Intervista esclusiva a Niccolò Canepa: “Voglio aiutare per quanto possibile i piloti e le squadre Yamaha a dare il loro massimo”

di Francesco Gritti
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Pubblicato il 25 Settembre 2024 - 09:00
Tempo di lettura: 10 minuti
SBK | Intervista esclusiva a Niccolò Canepa: “Voglio aiutare per quanto possibile i piloti e le squadre Yamaha a dare il loro massimo”
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P300.it ha potuto intervistare Niccolò Canepa, quest’anno pilota a tempo pieno nell’EWC con YART e sostituto di Rea in Yamaha.


da San Martino del Lago

Niccolò Canepa è un pilota che, nella sua carriera, ha fatto di tutto: tester, pilota ufficiale e privato in campionati sia di velocità che di durata, disciplina in cui ha vinto due mondiali. Il genovese ha raccontato la sua storia in quella che, a detta sua, è stata la sua ultima intervista da pilota in attività.

Ciao Niccolò, è davvero un piacere poter fare due chiacchiere con te. Come ti sei appassionato alle moto?

“Mio papà si è comprato la prima moto nell’anno in cui sono nato. Dopo qualche tempo ha cominciato ad andare in pista per fare qualche gara a livello amatoriale e io lo seguivo anche se avevo 3 o 4 anni. A 3 anni mio papà mi ha messo su una minimoto per la prima volta e da allora non ho mai smesso di chiedergli di cominciare. Ho iniziato effettivamente a correre con le minimoto quando avevo 10 anni.”

Hai cominciato a correre con le ruote alte su un 600cc. Come ti sei approcciato a questo cambio di categoria?

“La scelta è stata un po’ particolare perché all’epoca tutti andavano in Spagna a fare la 125cc. Io sono stato il primo a fare la 600cc. Anche la storia non è da meno. Fare il campionato spagnolo 125cc costava molto. Un team mi ha visto mentre giravo in pista con una Aprilia 125cc Sport Production e disse a mio padre che stavano creando una squadra per correre il campionato italiano con le 600cc e che avrebbero voluto farmela provare, visto che, a detta loro, ero molto forte. Mio padre è stato matto abbastanza da farmi salire a 13 anni su una 600cc. L’esperienza mi piacque moltissimo e, visto che ero già grosso per le 125cc, ci corsi già a 14 anni.”

Il 2007 è stato uno dei migliori anni della tua carriera. Come ce lo descrivi?

“L’anno è stato molto bello, perché ho vinto il mondiale Superstock 1000 con Ducati, Casa per cui facevo da collaudatore in Superbike. Quella stagione mi è servita moltissimo per imparare. Ho lavorato con ingegneri che adesso sono in MotoGP o al top in Superbike. Loro mi hanno insegnato tante cose visto che, comunque, ero molto giovane all’epoca. In più, mi ero rotto il polso a fine 2006 e, nonostante non avessi potuto fare nessun test invernale né provare la moto, ho vinto la prima gara dopo un cambio di categoria, visto che l’anno precedente ho corso in 600cc. L’anno è stato molto emozionante!”

Nel 2009 hai corso in MotoGP con Pramac, svolgendo la tua prima stagione alla guida dei prototipi. Come è arrivata la possibilità di debuttare nella classe regina?

“Nel 2007 avevo un precontratto con Ducati, il quale diceva che, in caso avessi vinto il mondiale Superstock 1000, sarei andato nel team ufficiale in Superbike l’anno dopo. Non è stato possibile, perciò (Claudio, n.d.r.) Domenicali mi ha proposto di fare il collaudatore della MotoGP per il 2008 e, di conseguenza, non correre. Certo, è stata una scelta inusuale per un ragazzino, ma allo stesso tempo è stato interessante, perché potevo andare a provare nelle piste in esclusiva una o due settimane prima del Gran Premio. Potevo quindi imparare alcuni tracciati e confrontare i miei tempi con quelli del GP della settimana dopo. Visto che sono stato molto veloce in tutti i circuiti, mi hanno offerto un contratto per andare in Pramac nel 2009. Mi sono ritrovato a correre in MotoGP con degli idoli da poster in camera, come Valentino, Stoner e Lorenzo quando ero ancora giovanissimo.”

Hai corso in MotoGP da giovanissimo. Come hai vissuto quella stagione?

“A dire il vero è stato molto più impressionante lavorare nel test team, perché era la squadra della casa madre assieme a Bridgestone. Ho lavorato a stretto contatto con Preziosi, che aveva creato quella moto. Con Pramac è stato più ‘normale’, perché era un team che doveva ancora crescere. Non era la squadra che è adesso. Anche loro in questi anni sono cresciuti moltissimo per arrivare a lottare per il mondiale, mentre all’epoca non era così.”

Nel 2010 sei andato in Moto2. Come mai la tua stagione nella classe di mezzo è stata così povera di soddisfazioni?

“Dopo la MotoGP avevo le porte aperte un po’ da tutte le parti, perché avevo fatto qualche risultato nella top 10 e non ero andato poi così male. Ho scelto di andare nel team che aveva appena vinto il campionato del mondo 250cc. Il 2010 è stato il primo anno di Moto2 in assoluto, quindi c’erano molte incognite e non si sapeva bene quali moto sarebbero andate meglio delle altre. La sfortuna volle che la moto scelta da quella squadra non fosse veloce. In più, loro avevano grossi problemi economici, fatto di cui non ero a conoscenza, tant’è che dopo poche gare il team ha chiuso. Mi ricordo che avevo l’opportunità di andare un po’ dappertutto e che avevo delle offerte economiche maggiori in altri team, che mi avrebbero permesso di guadagnare di più. Ho scelto di andare lì perché avevano appena vinto il mondiale, quindi pensavo che fosse la soluzione migliore. Purtroppo è stata una scelta sbagliata. Ero inconsapevole della situazione finanziaria del team e ciò ha compromesso un po’ la mia carriera.”

Dopo la Moto2 sei tornato nelle derivate, facendo un po’ di saliscendi tra Superstock e Superbike. L’hai fatto per riscattarti?

“Certo! Dopo la Moto2 ho iniziato ad avere dei pensieri contrastanti. Mi dicevo che forse era giunto il momento di smettere, visto che ero ancora abbastanza giovane da poter finire l’università, trovare un lavoro e, comunque, fare qualcosa di diverso. Dall’altra parte pensavo che un anno e mezzo prima ero il collaudatore della Ducati in MotoGP, che andavo più forte di diversi campioni del mondo, che c’era un po’ di talento in me, visto che ero arrivato nella classe regina, e che, quindi, dovevo continuare e dare una seconda chance alla mia carriera. Non mi sono arreso e ho cercato di lottare e tornare in posizione buone, anche se, chiaramente, quando rimani fuori dai team ufficiali e sei con un privato diventa un po’ più difficile dimostrare il tuo valore.”

Dopo queste stagioni hai debuttato nell’EWC. Come mai ti sei lanciato in questa competizione?

“La decisione è arrivata dopo diverse stagioni fatte di alti e bassi. L’ultimo anno che ho corso in Superbike era quello in cui mi sono sentito più forte in assoluto, visto che nelle ultime gare a Jerez e Magny Cours ero riuscito a conquistare la prima fila e, quindi, stavo iniziando ad andare molto bene. Nonostante ciò sono rimasto fuori un’altra volta dalla griglia della SBK. (Andrea n.d.r.) Dosoli, che adesso è il mio capo, mi aveva proposto già l’anno prima di correre nell’endurance e, viste le circostanze, ho accettato. Sono partito con il presupposto di scoprire questo nuovo campionato, ma alla fine me ne sono innamorato. Possiamo dire che l’EWC mi abbia dato una seconda carriera!”

Sei diventato un vero e proprio maestro dell’endurance. Cosa cambia tra una gara di velocità e una di durata a livello di guida e lavoro e per quanto riguarda l’aspetto psicologico?

“Lo sforzo fisico e mentale è molto elevato nell’endurance, perché devi dare il massimo per molto tempo. Affronto ogni stint come se fosse una manche di Superbike. La cosa psicologicamente più particolare, a cui ti devi abituare, è il fatto che devi condividere la moto con altre persone e devi accettare se fanno un errore che può compromettere la tua gara e il tuo campionato, ma allo stesso tempo sei responsabile per loro nel momento in cui sei tu a sbagliare. Devi aiutare il tuo compagno di squadra quando è in difficoltà e devi chiedere aiuto quando sei tu ad essere in difficoltà, cosa che invece non succede nelle gare sprint, visto che il tuo compagno di squadra è il primo che vuoi battere. La cosa bella è che si crea un rapporto all’interno della squadra che è qualcosa di incredibile, cosa che mi è piaciuta tantissimo. In più, quando termini gare lunghe anche 24 ore lo sforzo fisico e mentale è grandissimo e ti dà l’impressione di aver concluso un impresa, il che è qualcosa di incredibile. La cosa difficile è che sono solo 4 gare all’anno, quindi non puoi permetterti di sbagliare e, chiaramente, la pressione è molto alta.”

La tua carriera nell’endurance è ricca di successi. Qual è, secondo te, il momento più bello che hai vissuto in questa competizione?

“Il ricordo personale più bello è la vittoria a Sepang (2019 n.d.r.), in cui ho guidato da solo. Quella è stata l’unica volta in cui un pilota abbia vinto una endurance in solitaria, senza alternarsi con altri piloti. Lì è stato bellissimo, perché c’erano tanti piloti forti che correvano, tra cui Morbidelli e van der Mark, e riuscire a vincere è stato incredibile. Non è proprio un ricordo dell’endurance perché, di fatto, ho corso da solo! Il ricordo più bello dell’endurance è stato il mondiale che abbiamo vinto l’anno scorso, perché è stato figlio di uno sforzo di squadra incredibile arrivato dopo diversi anni difficili con un sacco di problemi. Mi ricordo che avevo una motivazione assurda, perché avrei potuto accettare solo la vittoria e nient’altro!”

Hai corso anche in MotoE. Come ti è sembrata quella moto così particolare?

“La MotoE, come hai già detto tu, è particolare. Il problema principale è il peso. La moto è divertente da guidare, ha una bella accelerazione in uscita di curva e, sinceramente, mi sono divertito, perché sono gare molto combattute. In futuro, quando ci sarà la possibilità di avere una durata maggiore della batteria e dei pesi inferiori, potrà diventare un campionato ancora più interessante. Non mi sono innamorato di quella moto come della mia R1.”

Quella di Cremona è la tua prima sostituzione in Superbike dopo tanto tempo. Come ti senti a tornare in questo paddock?

“Questo weekend, per me, è molto emozionante, perché ho già annunciato il ritiro ed è l’ultimo in assoluto della mia carriera. Chiudere il cerchio con questo team è un’esperienza speciale. Io sono il collaudatore di questa moto, quindi è qualcosa di molto particolare e, allo stesso tempo, molto bello. Sono convinto che sarà un weekend difficile dal punto di vista sportivo perché non conosco la pista e ho appena finito una gara con la moto della 24 ore (il Bol d’Or, n.d.r.), che monta gomme Bridgestone, mentre quella da Superbike è equipaggiata con le Pirelli. Inoltre il campionato è di altissimo livello! Voglio godermi ogni sessione e stare con le persone a cui voglio bene e che stimo all’interno del team Yamaha. Quando corri senza pressione puoi riuscire a fare qualcosa di inaspettato!”

Ti faccio un’ultima domanda, anche se ti sarà difficile darmi una risposta. Cosa si aspetta Niccolò Canepa dal futuro?

“Il mio sogno è quello di continuare a lavorare con Yamaha per tanti anni e provare ad ottenere degli ottimi risultati. Cercherò di imparare con umiltà il mio nuovo ruolo. Voglio aiutare per quanto possibile i piloti e le squadre a dare il loro massimo. Questa è una nuova sfida per me in un ambito diverso rispetto a quello a cui sono abituato, ma conosco talmente bene questo mondo, le persone che ci lavorano e le moto che sono felicissimo di continuare la mia vita all’interno del paddock.”

Ringraziamo Niccolò per essersi prestato allo svolgimento di quest’intervista e Oliver di Yamaha per averci permesso di entrare in contatto con il pilota.

Media: Yamaha Racing


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