SBK | Intervista esclusiva a Danilo Petrucci: “Avrei voluto smettere di correre nel 2021”

Autore: Francesco Gritti
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Pubblicato il 23 Settembre 2024 - 09:00
Tempo di lettura: 10 minuti
SBK | Intervista esclusiva a Danilo Petrucci: “Avrei voluto smettere di correre nel 2021”
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P300.it ha intervistato Danilo Petrucci, pilota Barni Spark Racing, nel corso del Round dell’Emilia Romagna del mondiale SBK.


da Misano Adriatico

Danilo Petrucci ci ha raccontato la sua storia di pilota e la sua carriera, ricca di momenti emotivi, matrimoni, separazioni e imprese inusuali per un pilota specializzato nelle competizioni su pista. Insomma, “Petrux” è un uomo tutto di un pezzo, come si può leggere nelle prossime righe.

Ciao Danilo, grazie per essere qui con noi. Come è nata la tua passione per le moto?

“Vengo da Terni, una delle poche città in Italia ad avere il proprio stadio intitolato a un motociclista e non a un calciatore, in questo caso Libero Liberati, uno dei primi campioni del mondo della 500cc. Poi c’é stato negli anni ’70 anche Paolo Pileri, che ha vinto il titolo 125cc. Terni ha una tradizione abbastanza forte per quanto riguarda il motociclismo. Non ci sono tantissime strutture, ma comunque c’è molta gente che va in moto. Questo ti limita un po’, perché ci sono altre zone, come l’Emilia Romagna, in cui ci sono tante strutture e persone appassionate che possono farti crescere. Mio papà è stato molto bravo, perché non ha mollato ed è sempre riuscito a trovare qualcosa per farmi correre. Per me, essere uno degli sportivi, o forse lo sportivo, più rappresentativo della mia città è un motivo di orgoglio.”

Hai cominciato a correre nel cross prima di spostarti sulle Superstock 600 e 1000. Puoi raccontarci il tuo percorso?

“Io e mio papà avremmo sempre voluto correre nella velocità, ma in questo sport ci vogliono molti soldi. Per questo motivo ho cominciato nel trial per poi passare al cross, discipline molto meno dispendiose. A 13 anni ero già cresciuto molto, quindi per me era complicato guidare una 125cc. Perciò cominciai dalla 600cc, che, in quanto a stazza, era più adatta a me. Ho cominciato a fare qualche gara in campionati come la Mototemporada o il Trofeo Amatori giusto per girare in pista. Insomma, il mio sogno è sempre stato quello di correre in un campionato del mondo di velocità. Questo passaggio è stato abbastanza duro, perché da un certo punto di vista mi ha aiutato a controllare la moto e gestire la sensibilità, ma a livello di tecnica di guida ero assolutamente acerbo. Non ho mai guidato una moto da corsa prima di arrivare in MotoGP, così come non ho mai guidato una 2 tempi né ho fatto le minimoto. Ero molto forte in alcuni ambiti e molto scarso in altri, ma, nonostante ciò, ho bruciato le tappe. Nel 2006 ho corso la Honda CBR600RR Cup, per poi passare alla Yamaha R6 Cup nel 2007. Dopo qualche wildcard nell’europeo, ci ho partecipato per un paio di anni. Mio papà poi s’inventò di farmi correre con la 600cc e con la 1000cc nello stesso anno, quindi mi sono dovuto adattare. Cambiare sempre le moto, nel mio caso, è stata una fortuna, perché riuscivo a capire cosa era necessario per andare forte.”

Nel 2012 la tua carriera ha subito una svolta grazie all’ingresso in MotoGP, seppur dall’entrata di servizio. Come è arrivata la possibilità di correre con Ioda?

“Questa possibilità arrivò nel 2011. All’epoca correvo con Barni e decidemmo di correre sia il Campionato Italiano che la Coppa del Mondo Superstock 1000. Nel CIV cominciai a vincere, mentre nel mondiale ero tra i piloti di alta classifica. Ducati aveva bisogno di un collaudatore per la allora nuova Panigale e venni selezionato al termine di un test, in cui è andai bene sia dal punto di vista velocistico che mentale. Quell’anno è stato una grandissima scuola perché ero in pista quasi tutte le settimane e il fatto che ci fosse molta attesa per questa moto ma non si sapesse chi la stesse guidando mi pose sotto i riflettori. Quell’anno stavano creando la CRT e questo ha fatto sì che una squadra di Terni, guidata da Giampiero Sacchi, facesse ‘1+1’. Insomma, la squadra era di Terni, la moto, denominata TR, sarebbe stata fatta a Terni e io ero un pilota di Terni. Da ternano ho esordito in MotoGP con una moto fatta a Terni chiamata TR003, come la targa della mia città. Da un certo punto di vista essere di Terni mi ha aiutato in un certo momento della mia carriera, visto che questo mi ha dato la possibilità di arrivare in MotoGP. I primi tre anni sono stati davvero difficili, visto che dovevo lottare per non arrivare ultimo. Quando arrivi al massimo livello bruciando le tappe, dentro di te, pensi di essere un fenomeno. Poi vedi i fenomeni veri con le moto ufficiali che ti ‘pettinano’ ad ogni turno. Tutto ciò mi è servito per arrivare dove sono ora.”

Hai debuttato in MotoGP su una moto lontana dall’alta classifica. Come hai vissuto questo divario dagli avversari?

“La mia carriera in quel momento era un’incognita perché nessuno conosceva né il mio vero potenziale, né quello della moto. Il grande pubblico non capiva chi fosse ad andare piano, se la moto, il pilota o tutti e due. Spesso probabilmente erano tutti e due, ma in quegli anni il team faticava molto a livello economico e non c’erano molte risorse. La vera differenza l’ho sentita quando sono andato con Pramac, nel 2015, in cui ero costantemente nei primi 10 e ho fatto un podio. Lì ho capito che qualcosa di buono c’era, ma nel frattempo lo avevano capito anche Pramac e Ducati. Nel 2015 è cominciata la fase più bella della mia carriera.”

Sei stato per due anni pilota ufficiale Ducati in MotoGP. Come descriveresti la tua esperienza a Borgo Panigale?

“Sono stati due anni molto emozionanti e difficili. La prima metà del 2019 è stata molto bella. Poi, nella seconda, mi sono lasciato prendere un po’ troppo dalla tensione di dover dimostrare il mio valore. Questo ha fatto sì che commettessi degli errori e mi mettessi addosso molta pressione in determinate fasi. Non sono riuscito a finire terzo nel mondiale, che era il mio obiettivo, anche se lo sono stato fino alla penultima gara. Questo ha fatto sì che si creassero un po’ di tensioni, soprattutto all’inizio del 2020, anno che in realtà non è mai cominciato a causa dell’arrivo del COVID. In quell’occasione Ducati decise di prendere Miller al mio posto. Alla fine è stata una bella stagione. La seconda, invece, è stata molto difficile, sia perché era complesso correre, proprio per via del COVID, sia perché ero separato in casa, cosa abbastanza brutta. Però sono riuscito a vincere la gara a Le Mans, dove sono stato in testa dal primo all’ultimo giro. Quel successo mi ha reso molto felice. Sono stati due anni bellissimi. Quando sei in Ducati ufficiale guidi la moto migliore che il marchio possa produrre e quella più veloce esistente. Questo mi ha riempito e continua a riempirmi d’orgoglio.”

Nel 2021 sei passato a KTM nel team Tech3. Puoi raccontarci di più su questo amore mai sbocciato?

“Quello tra me e KTM sarebbe dovuto essere il matrimonio del secolo perché ci siamo cercati per molti anni. Infatti, ci siamo conosciuti e abbiamo fatto il contratto dopo mezza giornata! Sono partito la mattina da casa per vedere la fabbrica e conoscere i dirigenti del marchio e sono tornato con il contratto in tasca. KTM, visti i risultati della stagione precedente, aveva perso le concessioni, quindi tanti aiuti erano stati persi e a livello tecnico stavano soffrendo moltissimo. Inoltre, quell’anno sono stati cambiati tutti i dirigenti. Il 2021 è stato il periodo più difficile per KTM e purtroppo ci sono capitato dentro. Mi spiace molto perché avrei voluto continuare a correre con loro in MotoGP per tanti anni, visto che stavo portando tutta l’esperienza, le conoscenze e anche le persone, tecnici ex-Ducati che ho selezionato e con cui ho lavorato a stretto contatto, di cui potevo disporre. Mi dispiace molto per come sia andata a finire, ma d’altro canto ciò mi ha permesso di fare la Dakar, che è uno dei fiori all’occhiello della mia vita. Ho pensato tante volte al fatto che, se avessi accettato l’anno prima l’offerta di Aprilia, potrei essere ancora in MotoGP, anche se di sicuro non avrei vinto una tappa della Dakar. Con il senno di poi è facile saltare alle conclusioni. Sono molto contento perché mi sono fatto uno dei più grandi regali della mia carriera, ossia vincere una tappa alla Dakar, cosa che non credevo fosse possibile nella mia vita e che penso non rifarà più nessuno. Magari non ho vinto un campionato del mondo come avrei voluto, ma almeno mi sono fatto il regalo più bello un mese e mezzo dopo essere andato via dalla MotoGP, quando pensavo che sarebbe stato proprio questo campionato ad avermi dato più gioie. Vincere una tappa della Dakar è stato qualcosa che non pensavo fosse possibile raggiungere.”

Nel 2022 hai deciso di prenderti un anno sabbatico andando a correre nel MotoAmerica. Come mai hai preso questa decisione atipica?

“Il 2022 è stato un anno sabbatico perché, in realtà, avrei voluto smettere di correre nel 2021. Visto che KTM non avrebbe potuto mantenere la promessa di farmi correre nel rally raid, ho deciso di tornare da Ducati, che mi cercava ancora. Mi sono detto ‘Seguo chi mi vuole bene’ e sono andato a gareggiare in America. Mi dispiace molto non aver vinto il campionato. Non eravamo pronti per vincere, visto che io non conoscevo le piste e la moto era vecchia di un anno. Nel 2022 ho guidato la KTM Factory da rally nella Dakar, la Ducati Factory Superbike nel MotoAmerica e, a fine anno, anche la Suzuki MotoGP. Penso non capiterà mai più a nessuno la possibilità di guidare una moto da rally, una da Superbike e una da MotoGP nella stessa stagione. Sono felice anche di questo perché sono cose che, anche se non mi permetteranno di ricevere un premio, fanno molto piacere.”

Ora corri con Barni, squadra con cui hai un rapporto di lunga data. Come ti trovi in questo team?

“Bene! Barni è stato il team che mi ha accompagnato in MotoGP e che poi mi ha ripreso appena terminata quell’avventura, quindi è un posto in cui mi trovo bene. Conosco Marco (Barnabò, n.d.r.) da 15 anni. Da un punto di vista da pilota, ritengo soddisfacente il fatto che lui si dedichi giorno e notte a migliorare le performance della moto, con la quale puoi essere competitivo. Fa molto piacere vedere che tutti si sforzino parecchio per cercare di farti vincere. Questo è quello che vorresti sempre, perché tutte le energie sono canalizzate sulla performance della moto.”

Sei ritornato in pista dopo poche settimane da un grosso incidente. Come hai vissuto il periodo di riabilitazione?

“Non è stato facile all’inizio, visto che mi sono fatto molto male. Riprendermi, tornare a casa e ricominciare a fare tutte le mie cose è stato bello, anche perché non ho sentito granché dolore. Dallo stare bene al tornare ad essere un atleta ci vuole del tempo. Già è difficile mantenere quei livelli quando sei al 100%. Il tutto diventa più complicato quando ti manca una spalla, che per un pilota è come il ginocchio per un calciatore. Mi ha aiutato il fatto che ero in forma quando sono caduto, quindi mi sono ripreso molto più velocemente del previsto. Fermarmi per un po’ mi ha fatto bene, visto che ho avuto il tempo di pensare a molte cose e mi ha dato l’idea di fermarmi un attimo e di farmi capire e apprezzare quello che è successo e dove posso migliorare.”

Siamo giunti all’ultima domanda. Che obiettivo ti poni per il 2024?

“Mi piacerebbe vincere una gara. L’obiettivo che avevo a inizio stagione non è cambiato. Chiaro, con questo infortunio ci vorrà ancora di più, però voglio continuare a divertirmi in moto ed essere competitivo. Non è per niente facile, perché se non sono competitivo non mi diverto! Non vedo l’ora di tornare in forma per poter portare fuori tutto il potenziale della moto.”

Ringraziamo Danilo per la disponibilità e Massimiliano di Barni per aver organizzato l’incontro con il pilota.

Media: Barni Racing Team

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