SBK | Intervista con l’ex-capo ingegnere Adrian Gorst

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di Alyoska Costantino @AlyxF1
1 Febbraio 2021 - 09:00
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Dodici domande con un volto del paddock SBK dell’era d’Oro, a lavoro insieme ad Aaron Slight e Colin Edwards. “Erano molto diversi ma entrambi talentuosi”.


Per questa settimana P300.it ha avuto l’occasione d’intervistare una figura che è stata di assoluto spicco nei paddock del mondiale Superbike durante l’epoca d’Oro delle derivate di serie.

Stiamo parlando di Adrian Gorst. Ai più potrebbe non essere un nome molto familiare, ma nel corso della sua carriera ha lavorato nel BSB, in SBK appunto e addirittura in MotoGP, affiancando come capo ingegnere e motorista alcuni grandi talenti quali Aaron Slight e Colin Edwards, protagonisti assoluti del mondiale ai tempi.

Ancora oggi Gorst è parte integrante nel motociclismo competitivo, lavorando al supporto tecnico per diverse squadre a livello mondiale: nel 2019 la sua società ha affiancato Honda Motor Europe nell’EWC, nel 2020 è stato il turno di Moriwaki Engineering in SBK e quest’anno toccherà alla squadra BMW SMR. Segue l’intervista.

Qual è il suo primo ricordo in merito alle corse motociclistiche?

“Andare in pista con mio padre, per aiutarlo a smistare e recuperare le moto guaste o incidentate in Nuova Zelanda”.

Lei è stato fan di alcuni piloti specifici? Può dirci quali?

“Crescendo, Freddie Spencer ed Eddie Lawson sono stati coloro che ho ammirato di più”.

Descriva il paddock della Superbike in una parola.

“Comunità”.

Lei ha lavorato con alcuni piloti privati sul finire degli anni ’80. Può nominarci alcuni di loro che l’hanno impressionata?

“Neil Robinson fu il primo privato con cui lavorai in Europa. Un talento incredibile, con un sorriso sfacciato che non si può dimenticare. Sfortunatamente se n’è andato troppo presto”.

Prima di arrivare in Superbike, ha continuato la sua gavetta nel BSB. Com’è stata l’esperienza con il team Yamaha Loctite?

“E’ stata una grande esperienza dal quale ho imparato molto, lavorando con Keith Huewen e Terry Rymer nel campionato inglese e anche nel mondiale, riuscendo a “sopravvivere” agli scherzi di Steve Parrish (manager del team Loctite, n.d.r.) molte volte. E’ stato parecchio divertente”.

Ha qualche storia curiosa da raccontarci sul suo passato?

“Anche troppe. Una corsa di cui ho splendida memoria risale al 1989, con Terry Rymer sulla Yamaha Loctite che vince una gara mondiale SBK nel mio paese, la Nuova Zelanda”.

Nel 1992 divenne il capo ingegnere di Aaron Slight nel box Kawasaki. Fu il vostro primo incontro?

“Sì, quando arrivai in Europa per la prima volta Aaron aveva appena iniziato la sua carriera in Nuova Zelanda. Forse lo incontrai quando fece una wildcard in SBK ma non ricordo con esattezza, perciò direi che ho cominciato a conoscerlo quando ho iniziato a lavorare per lui”.

Nei suoi primi dieci anni in SBK lei ha lavorato per Kawasaki dal ’92 al ’93 e poi per Honda fino al 2002. Quali erano le differenze tra le due strutture?

“Era il periodo nel quale la SBK stava crescendo a ritmo ineguagliabile. Con i marchi sempre più coinvolti, in pochi anni si è passati dall’avere uno o due meccanici per pilota e piccoli camion a grandi motorhome per i team più importanti, con l’hospitality e tutto il resto annesso. I piloti passarono dal tirare a campare a guadagnare dei bei soldi.

La preparazione di Honda era più massiccia e strutturata e ottenemmo un sacco di supporto diretto in più. C’erano un sacco di parti in più da testare e un’evoluzione costante, ma il team Kawasaki crebbe a sua volta in quegli anni dopo che mi unii a Honda”.

Cosa ne pensa di Slight? Per lei, c’è una ragione per cui lui non è diventato un campione del mondo?

“Aaron era un bravo ragazzo molto determinato, sembrava sempre tranquillo; probabilmente era più veloce quando non guidava una corsa. Era migliore a rimontare sugli altri ma gli è mancato giusto un pizzico di qualcosa per vincere abbastanza gare e diventare campione. Ma non dimentichiamo che quelli era il periodo in cui “per vincere il campionato dovevi battere il miglior pilota Ducati, chiunque egli fosse”. Le Ducati avevano un vantaggio nella potenza e nella coppia sulle moto quattro cilindri con 750cc”.

Nel 1998 ha iniziato a lavorare al fianco di Colin Edwards. Quali erano le differenze tra “Texas Tornado” e Slight?

“Erano persone molto diverse, ma entrambi molto talentuosi. Colin era più rilassato e inizialmente era un tipo da vittoria o sesto posto, senza vie di mezzo. Dovemmo lavorare su di lui e ottenere i secondi e terzi posti per farlo diventare campione. Nel ’99 Colin era pronto a puntare al campionato, era più determinato e aveva sviluppato parte dei punti forti di Aaron, pur avendo l’abilità di guidare le gare”.

Quali sono state le gare migliori di questi due piloti straordinari?

“Di Aaron ci sono due gare che eccellono per motivi differenti. La prima è probabilmente Donington 1993 in Superbike: Aaron stava seminando Russell e Fogarty e dovetti esporre il cartello dai box e dire ad Aaron di lasciar passare Russell per aiutarlo a ottenere il campionato, per lui e per Kawasaki. Una pillola davvero dura e difficile da digerire per Aaron ma incredibilmente importante per la Kawasaki.

La seconda gara di Aaron che ricordo è la 8 Ore di Suzuka 1994. Aaron aveva vinto con Russell nel ’93 per Kawasaki ma in quell’anno c’erano Russell e Rymer su Kawasaki e Aaron e Polen su Honda. Russell e Slight erano più veloci dei rispettivi compagni di squadra e in moto allo stesso momento. Fu una gara ravvicinata e leggermente fuori sequenza dopo una bandiera rossa a inizio gara. L’ultima ora si trasformò in una battaglia incredibile tra Russell e Slight con Slight in testa e i due che si facevano largo tra i piloti più lenti nella notte. Russell non fu mai realmente in grado di passare e Slight vinse per sette decimi di secondo, e fu la sua seconda vittoria a Suzuka di fila.

Riguardo Colin ce n’è una che surclassa tutte le altre ed è gara-2 di Imola 2002. Non ci sono parole per descriverla, basta solo guardarla. Colin non doveva vincere quella gara per vincere il campionato, se fosse finito secondo dietro Bayliss sarebbe stato comunque campione, ma non si risparmiò e rischiò tutto per vincere quell’ultima gara”.

Ancora oggi lei lavora nel palcoscenico della Superbike, dopo trentacinque anni. Come ci si sente? Cosa la sta motivando?

“Semplicemente amo farlo, è nel mio sangue. Voglio l’adrenalina della competizione e della vittoria scorrermi nelle vene”.

La stagione 2021 della SBK partirà a fine aprile quest’anno. Qualche previsione?

“Beh, per il 2021 coprirò un nuovo ruolo in BMW SMR, speriamo di poter migliorare ed essere dei contendenti ma ovviamente l’uomo da battere è Rea. E’ un po’ come ai vecchi tempi quando Ducati aveva un vantaggio, ma attualmente il punto è battere Rea”.

P300.it ci tiene a ringraziare immensamente il signor Gorst per tutto ciò che ci ha raccontato, dai suoi pensieri più sinceri in merito alle persone con cui ha lavorato fino agli aneddoti più avvincenti. Gli auguriamo inoltre un buona e tranquilla, per quanto possibile, stagione di corse nel mondiale Superbike.

Fonte immagine: Twitter / Adrian Gorst

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