Sandro Munari e la sua gavetta dal “Panettiere”

BlogParola di Corsaro
Tempo di lettura: 5 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
27 Marzo 2020 - 18:15

Devo ammettere che, nel mio piccolo, sono una persona piuttosto insicura e preoccupata per il proprio futuro. Non riesco a immaginarmi da adulto, con le sue responsabilità, la sua famiglia, tutte le sue faccende da svolgere in e fuori casa. I tanti scenari che mi balzano in mente sono spesso negativi, di una vita che potrebbe essere molto più difficile di quanto io possa auspicare, di una vita che nel cuore delle persone, la maggior parte almeno, non ci entrerà rimanendo anonima. Non mi è mai importato finire sui libri di storia per chissà quale impresa, ma un minimo penso che chiunque voglia essere ricordato, quando si scriverà l’ultimo capitolo del proprio libro chiamato “Vita”.

Non è di certo la casistica di Sandro Munari, anzi. Il “Drago” di Cavarzere oggi compie ottant’anni. Ottant’anni di vita passata in buona parte nella leggenda di un uomo, italiano e per giunta del Veneto (la regione in cui vivo) capace di correre e vincere alcune delle gare più importanti del panorama automobilistico e rallystico, fino anche a diventare il primo campione del mondo piloti (anche se tecnicamente ai tempi era ancora “solo” la Coppa del Mondo FIA). Un anziano signore che forse i più giovani oggigiorno, senza la passione per i motori che scorre nelle proprie vene, scambierebbero come un vecchietto qualsiasi con qualche storia strampalata da raccontare, ma che per il motorsport italiano è un pinnacolo, un mostro sacro da rispettare.

Sandro Munari e il copilota Piero Sodano alle prese con le curve del Rally di Sanremo (1977).

Anche la storia più leggendaria ha comunque un inizio “umano”, umile, una gavetta necessaria per diventare poi ciò che si è ed è un qualcosa che vale per Sandro Munari come vale per la vita di tutti i giorni di chiunque di noi. Il suo apprendistato è stato da un panettiere… ma non esattamente un panettiere come tutti gli altri. Stiamo parlando di Arnaldo Cavallari, un altro veneto, nato in questo caso a Fiesso d’Antico nel 1932 e scomparso alla veneranda età di ottantatré anni, nell’aprile del 2016. Negli anni ’60 era un semplice mugnaio ad Adria, che aveva come merito quello di aver “inventato” il pane a forma di ciabatta che tutt’oggi conosciamo.

Dietro però al lavoro abituale, si nascondeva una passione per le corse smisurata, che lo portò a correre e vincere i campionati universitari italiani più disparati, per poi disputare le prime uscite da pilota semi-ufficiale del Jolly Club, scuderia che era nata pochi anni prima dal genio del milanese Mario Angiolini. Il talento del pilota di Adria gli avrebbe permesso di conquistare ben quattro volte il campionato italiano, tra il 1962 e il 1968; tre di questi successi furono consecutivi, alla guida dell’Alfa Romeo Giulietta TI prima e del modello Giulia GT dopo.

L’Alfa Romeo Giulietta TI è stata la vettura con cui il “Re del Pane” ha ottenuto i suoi primi due titoli italiani (1962).

In tutto questo Munari cosa c’entra però? Beh, che ci crediate o meno, gli inizi del “Drago” nel mondo del rally furono… da navigatore di Cavallari. Quel ruolo fondamentale nella squadra ma allo stesso tempo un po’ bistrattato (e chissà che non sia stata proprio questa visione a far passare Munari “all’altra sponda”). L’equipaggio Cavallari-Munari, come già detto in precedenza, conquistò il titolo italiano grazie a due vittorie importantissime, nel Rally di Sardegna (ben prima che diventasse una tappa fissa del WRC) e nel Rally di San Martino di Castrozza, alla sua prima edizione. Tra l’altro, questo rally, nato dalle idee dell’avvocato Luigi Stochino e del conte Pietro Bovio, aveva come obiettivo quello di ravvivare la stagione estiva del paesino sulle Dolomiti. Chi si sarebbe mai immaginato che quest’evento sarebbe diventato uno degli eventi essenziali del panorama rallystico italiano?

Arnaldo Cavallari alla guida dell’Alfa Romeo Giulia TI Super (1965).

A dire il vero, non era una casistica così remota: il rally era (anzi, a dire il vero è tutt’ora) una disciplina un po’ snobbata e carente di eventi e questo ha permesso anche ad eventi così piccoli sulla carta (sia in termini geografici che teorici) di far scoppiare l’entusiasmo degli appassionati più convinti. In ogni caso, la vittoria in quest’evento costituì forse il punto più alto della coppia formata dalle due leggende italiane del rally, la prima già affermata e la seconda che stava per brillare di luce propria.

E’ anche per merito di questa impresa che, nel giro di un decennio scarso, Munari si sarebbe imposto non solo come il miglior rallista italiano, ma anche del mondo intero. Il suo legame fu con la Lancia più che con l’Alfa Romeo e i suoi successi andarono oltre allo Stivale italiano, tra cui le tre perle consecutive del Montecarlo tra il 1974 e il 1976, a cui si aggiunge la prima con la Fulvia nel 1972 e la già citata Coppa piloti del ’77, per un punto su Björn Waldegǻrd. I suoi successi spaziano anche oltre al rally però, con risultati di rilievo anche alla 12 Ore di Sebring o nella Targa Florio.

Sandro Munari alla guida della Lancia Fulvia HF durante la Targa Florio (1970).

Chissà se, tra le sue vittorie più belle, Munari inserisce anche le cinque ottenute al “Vecchio San Martino”. Una sorta sia di passaggio del testimone dal suo mentore e predecessore Cavallari, sia di smacco nei confronti dello stesso. Ma in fondo, i record sono fatti per essere battuti, perché solo così si entra davvero nei libri di storia.

Fonti immagini: storiedirally.it, rallyssimo.it, pinterest.com, Forum P300.it

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