C’era una volta il modem, un apparecchio collegato alla linea telefonica che emetteva un suono da film di fantascienza durante il collegamento verso la linea internet. Dovevi comprarlo, montarlo nel PC, configurarlo, imparare ad utilizzarlo stando attento a non chiamare qualche numero oltreoceano, pena bollette stratosferiche. Erano gli albori del web e solo in pochi riuscivano ad accedere al suo mondo.
Vent’anni dopo, poco più, si collegano ad internet anche i muri di casa, e l’espansione automatica del web a qualsiasi strumento unita alla nascita dei social ha progressivamente dato voce a chiunque. Come sempre l’uomo è capace di rendere negativo qualsiasi cosa da lui stesso creata, così negli ultimi anni il mondo di internet è diventato patria del fronte dei complottisti in qualsiasi ambito: politica, religione, scienza e, quello che interessa a noi, lo sport.
Nel caso specifico, la presunta invenzione dell’infortunio da parte di Valentino Rossi rientra nel paranormale, in un qualcosa che supera i confini del tifo contro. Gli haters sono ormai diventati professionisti, tanto che devono stare attenti a non diventare soggetti a partita iva e tasse. Ultimamente qualcuno mi diceva di non esagerare quando sostengo che Rossi è lo sportivo più odiato in patria in rapporto al suo successo. Questa storia dovrebbe chiarire che le cose stanno effettivamente così.
Una tesi per la quale viene montato ad arte un infortunio coinvolgendo decine di persone, inclusi staff medici di due ospedali, qualifica perfettamente i personaggi che questa tesi l’alimentano, la sostengono, la condividono al pari di chi crede nella terra piatta e nelle scie chimiche. Una tesi che costringe un pilota a mostrare alle telecamere l’entità di un infortunio, le cicatrici e i chiodi per giustificarsi come per dire “oh, guardate qui, è tutto vero” rappresenta il raggiungimento del punto più basso del web quando invece il suo rientro lampo, alla sua età, dopo quello che ha vinto, in un mondiale ormai andato, dovrebbe solo far togliere il cappello anche al più arcigno degli appassionati. Purtroppo, non va così, e andando avanti sarà sempre peggio. Dopo le qualifiche, poi, non parliamo della continuazione del patetico. Chissà dopo la gara.
Che il personaggio Valentino Rossi sia stato mediaticamente esaltato durante tutta la sua carriera è un dato di fatto. Che a volte i media abbiano calcato la mano anche per il loro tornaconto è un dato di fatto. Che questo abbia implicitamente creato un senso di rifiuto nei suoi confronti da parte di chi non lo ha mai tifato, cosa tra l’altro legittima, è un altro dato di fatto.
Ma che si arrivi a sostenere certe stronzate, e che le voci riescano a rimbalzare (anche per colpa dei media che le riportano) fino ad arrivare al diretto interessato senza che gli autori vengano limitati nelle loro possibilità di spargere letame sul web è intollerabile, quando basterebbero pochi click ad inibire account e sospendere linee dati.
Purtroppo, al momento, i social guadagnano solo dall’avere traffico sui loro server, e anche le segnalazioni non servono a bloccare i veri “Napalm51” (il personaggio di Crozza) del web.
Cosa fare? Ignorare sarebbe sempre la scelta corretta. Ma forse, per una volta, va bene che l’episodio in questione abbia avuto un tale risalto: giusto per rendere partecipi anche i non assidui dei social di quanto possa essere fragoroso il rumore dell’ignoranza.
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