Rispetto, sempre e comunque

di Alessandro Secchi
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Pubblicato il 1 Settembre 2019 - 00:04
Tempo di lettura: 5 minuti
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Rispetto, sempre e comunque

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“Se qualcuno tra voi che guarda e si diverte con questo sport pensa anche per un secondo che ciò che facciamo è sicuro si sbaglia di grosso. Tutti questi piloti pongono la loro vita su un filo quando scendono in pista e la gente lo deve comprendere sul serio, perché non è abbastanza chiaro. Non lo è per i fan e non lo è per alcune persone che lavorano in questo sport. Anthoine è un eroe per quanto mi riguarda, per aver preso rischi nell’inseguire i suoi sogni”.

Non sapevo come iniziare e ho preso in prestito le parole di Lewis Hamilton, perché quello che ha scritto oggi pomeriggio si può riassumere nella parola fondamentale di questo pensiero: rispetto. Chi passa spesso da qui sa che per me è un elemento basilare della mia passione per il Motorsport. Il rispetto verso i piloti, verso il loro inseguire un traguardo nonostante il rischio è il cuore pulsante del mio interesse nei loro confronti. Il rispetto nasce dalla consapevolezza di non poter mai essere come loro, nemmeno nei sogni. È cresciuto tramite l’ammirazione per un qualcosa che loro fanno sembrare tanto facile quando in realtà, per un essere umano normale, si tratta di fantascienza. Ci vuole poco per scoprirlo: solo qualche giro su un kart.

È difficile da accettare una disgrazia come quella di oggi. Alla scomparsa non ci si abitua mai: dal giorno di Ratzenberger, il mio primo giorno nero, ne è passato di tempo ma sembra sempre tremendamente ingiusto, che tu abbia 34 anni o 22, che tu sia un campionissimo come Ayrton o un giovane promettente come Anthoine. Non dovrebbe mai succedere, non a chi cerca di rincorrere il proprio obiettivo con uno sport. Inconsciamente, però, sappiamo che non è così ed eventi come questo tornano a ricordarci che correre in auto significa – anche – morire.

Per quanto le monoposto siano sicure, per quanto si lavori per migliorare la sicurezza il rischio non sarà mai azzerato. Ci sarà sempre, sistematicamente, un punto debole, un nervo scoperto, un’ipotesi non considerata dall’esperienza che verrà alla luce, riportandoci con i piedi per terra. La tragedia di Hubert riaprirà i dibattiti sulla sicurezza, delle monoposto (chi ha il coraggio di lamentarsi di Halo, oggi?) e dei tracciati. Come sempre il sacrificio di un pilota sarà essenziale in futuro per salvare la vita di un altro. È così da sempre e lo sappiamo bene: senza Imola 1994 vivremmo un’altra Formula 1. 

In serata mi sono scambiato qualche messaggio con Luca Ghiotto, che da quel punto è passato solo pochi secondi prima il dramma di Hubert. Non posso immaginare cosa significhi per lui, per De Vries, per tutti gli altri perdere un collega, magari un amico in questo modo e dover metabolizzare una notizia del genere. Per fortuna gara 2 è stata cancellata ma venerdì prossimo, a Monza, lui e tutti gli altri saliranno ancora in macchina. Ora che ho la possibilità di parlare con alcuni di loro lo ribadisco: ci vuole più rispetto

“Quando si prendono in giro i piloti, quando si fa facile ironia, quando li si tratta come burattini, quando non si pensa mai a cosa fanno e quanto sono sul filo, dal primo all’ultimo, sempre e comunque”, scrivevo oggi su Twitter.

Come dice Lewis dobbiamo tutti comprendere davvero quello che fanno questi ragazzi. Dal più veloce al più lento rischiano la vita ogni singola volta che salgono in macchina e non è una frase fatta, ma una certezza che prima o poi ci sveglia nel modo peggiore, come oggi. E spiace dover constatare come ci si ricordi di alcune cose solo quando capitano eventi del genere. Per questo non sopporto la facile ironia, le prese in giro, i meme a sfondo incidente, tutto quel baraccone di superficialità ed idiozia social che oggi circonda il mondo del Motorsport. Non fa per me e poco mi importa di quanto certe cose oggi siano di moda. Non è il mio modo di intendere il Motorsport.

Rispetto: lo scrivo ancora una volta. Per tutti, dalle categorie inferiori fino alla Formula 1, per i più conosciuti e per quelli che lo sono meno. Hubert era tra questi ultimi per il grande pubblico: per moltissimi oggi, nel suo giorno più nero, il suo nome sarà stato nuovo nell’ascoltare notiziari che non parlano mai nemmeno di F1, figuriamoci del resto. Magari era poco conosciuto anche tra quelli che, quando sei in tribuna e la F1 è finita o non è ancora iniziata, è inutile restare o arrivare prima. Cominciamo, allora, a riempire le tribune dal mattino e fino alla sera, perché questi piccoli ragazzi un giorno potrebbero essere i nostri beniamini in F1. Proprio come Charles Leclerc che, prima di arrivare in F1 fino a prendersi la pole oggi, ha seguito tutta la trafila di GP3 e F2 in parallelo al Circus. Impariamo a conoscerli meglio, a non criticarne ogni singolo maledetto errore ed a sentenziarne una carriera per una gara storta. Impariamo a comprendere cosa fanno veramente, quanti e quali siano i sacrifici ai quali si sottopongono prima di salire in macchina, tutte quelle ore di lavoro dietro le quinte per diventare un decimo più veloci in pista. Lasciamoci affascinare dal loro essere, più che dal fare, i piloti.

Solo allora saremo ancora più appassionati di questo meraviglioso sport che ci dà tanto ma, a volte, è anche capace di togliere tantissimo, come oggi.

Repose en paix, Anthoine.

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