NASCAR | Richmond 1990: Mark Martin gelato… nove mesi dopo

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di Gabriele Dri @NascarLiveITA
25 Febbraio 2020 - 10:00
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Come può la seconda gara stagionale decidere tutto il campionato? Per capire tutto ciò bisogna tornare indietro ad esattamente 30 anni fa, quando la “Pontiac Excitement 400” di Richmond entrò nella storia della Nascar per ben due volte, una immediata ed una a scoppio ritardato. I protagonisti di questa corsa storica sono due, uno è l’eterno vincente Dale Earnhardt e l’altro il non ancora eterno secondo Mark Martin.

Richmond: il grande gelo

La stagione 1990 è appena cominciata e ancora tutti parlano di quanto successo una settimana prima. Dale Earnhardt aveva dominato la Daytona500 (155 giri in testa) ed era al comando a soli 8 giri dalla fine con un vantaggio abissale, ma prima il testacoda Geoffrey Bodine aveva ricompattato il gruppo e poi nello sprint finale – quando era ancora in testa – aveva forato in curva 3 ad appena un miglio dal traguardo aprendo la porta alla sorpresa assoluta Derrike Cope alla prima vittoria in carriera.

Lasciata la Florida si risale la costa Est e si va a Richmond in Virginia. Alla domenica splende il sole ma c’è un freddo pazzesco. La mattina della gara ci sono 25°. No, non Celsius ma Fahrenheit. Equivalgono a poco più di -4 °C e il vento non aiuta: media di 33 km/h e folate a 48 km/h. Questo fa scendere la temperatura percepita addirittura a -12 °C. Secondo le statistiche (almeno quelle registrate, infatti potrebbero esserci stati altri eventi eccezionali negli anni ’50 e ’60) della Nascar si prospetta la gara più fredda della storia. L’anno precedente la corsa era stata rinviata di un mese per una nevicata e il 1990 fu la goccia che fece traboccare il vaso: dal 1992 la gara fu spostata a inizio marzo e dal 1998 a primavera inoltrata.

Le temperature registrate a Richmond il 25 febbraio 1990, con evidenziati i dati al momento dell’inizio della gara

Alla bandiera verde la situazione è leggermente migliore: 0 °C ma vento a 35 km/h con folate a 46 ma nonostante questo sugli spalti ci sono 50’000 spettatori. Il giorno prima, in un clima leggermente più caldo (5-10 °C), è andata in scena la gara della Busch Series, una corsa interrotta per due volte dalla bandiera rossa, la prima per l’incidente di Mark Martin che centra i barili all’ingresso e la seconda per uno scroscio di pioggia poco dopo metà gara, e vinta da Michael Waltrip davanti a Dale Earnhardt.

Poco dopo si è disputata l’ultima sessione di libere per la Cup Series e Dale Earnhardt al primo giro lanciato va a muro tradito dalle gomme fredde. Gli pneumatici infatti sono diversi fra le due categorie e le nuove gomme radiali hanno bisogno di più tempo per scaldarsi. Il Richard Childress Racing è costretto a tirare giù dal camion il muletto ma è una vettura da speedway pronta per la gara successiva a Rockingham e non ad uno short track come Richmond. Ma il team non si demoralizza, converte la macchina nella notte e al momento della gara è pronta per una rimonta dal fondo come nel 1987 quando Dale in circostanze simili vinse partendo ultimo.

In pole position c’è Ricky Rudd davanti Geoff Bodine, Alan Kulwicki, Dale Earnhardt (tecnicamente, come appena detto), Dick Trickle, Mark Martin (uno dei favoriti per la gara dopo le ultime libere), Kyle Petty, Darrell Waltrip, il futuro – ma purtroppo postumo – “Rookie of the Year” Rob Moroso e Brett Bodine; il campione in carica e vincitore delle ultime due gare a Richmond Rusty Wallace è solo 18°. Le vetture al via sono 36, con Richard Petty mestamente ultimo e in griglia solo grazie ad una provisional in quanto ex campione ed ex vincitore in questa gara, fatto che non aveva potuto sfruttare 12 mesi prima e che aveva causato la prima DNQ per “The King” dalla Daytona500 del 1961.

A sottolineare le difficoltà legate alla temperature Butch Miller va in testacoda durante i numerosi, in quanto aumentati appunto per scaldare di più meccanica e gomme, giri di formazione ma poi è tutto pronto per la bandiera verde. Al via Rudd rimane in testa ma poco dopo Kulwicki, maestro degli short track, sorpassa G.Bodine e si porta in seconda posizione. La prima caution arriva subito al terzo giro quando Rob Moroso finisce in testacoda in curva4 coinvolgendo fra gli altri anche Davey Allison.

Il resto della gara, lunga 400 giri per 300 miglia, è un grande classico degli anni ’80 e ’90, con tutti i big racchiusi nelle prime posizioni a scambiarsi sorpassi e leadership e mai separati da più di 2 o 3″. La gara è dura sia per la meccanica e sia per l’aderenza. Rudd cede la prima posizione a Kulwicki dopo 10 giri ed Alan guida fino al primo giro di soste in corrispondenza della caution per il motore rotto di Harry Gant. Dietro alla Ford #7 sponsorizzata Zerex (un antigelo e ci sta a pennello in questa giornata) ci sono G.Bodine, Rudd, Rusty Wallace a Dale Earnhardt, già nella top5 davanti a Brett Bodine, Martin, Darrell Waltrip e Terry Labonte.

Il primo giro di soste al giro 80 premia Geoffrey Bodine che riparte in testa, poi ricomincia la serie dei testacoda e degli incidenti: il primo a finire a muro è proprio Richard Petty (insieme a Davey Allison) la cui gara si conclude con un 35° posto, poi poco più tardi è il turno di Terry Labonte che coinvolge anche Ernie Irvan e Rick Wilson. Nel frattempo davanti i big si scambiano le posizioni, con Dale Earnhadt che passando G.Bodine è addirittura in testa al giro 120 per poi arrendersi ad un Kulwicki nettamente superiore agli altri. Ad Alan successivamente si unisce Wallace che lo sorpassa al giro 135.

Lo riconoscete, vero? E’ il 15enne Dale Earnhardt Jr. al box di papà Dale proprio in quel giorno a Richmond

Ma le posizioni non rimangono mai le stesse e le battaglie fra Wallace, Kulwicki, Earnhardt, Rudd, Bodine non si fermano mai. Una caution per detriti unita al secondo giro di soste al giro 175 rimanda in prima posizione Ricky Rudd, ma le notizie dei giri successivi sono il testacoda del vincitore di Daytona Derrike Cope ed il problema al motore di G.Bodine che lo costringe ad alzare bandiera bianca ad esattamente metà gara. Nel frattempo Earnhardt sorpassa Rudd ma ancora una volta a togliere il comando alla #3 è Kulwicki.

Il colpo di scena arriva al giro 233: Bobby Hillin rompe il motore in curva1 e sparge olio in pista. Dietro di lui ci sono Phil Parsons e Alan Kulwicki che stava doppiare sia Phil che Bobby. Entrambi perdono il controllo e finiscono a muro. Per Alan – che aveva trascorso in testa fino a quel momento 100 giri – è un colpo di sfortuna incredibile e la sua gara è praticamente finita lì. A ereditare la prima posizione è Rusty Wallace con un rimontante Mark Martin in seconda posizione davanti a Dale Earnhardt.

Mark non entra nella lotta per la vittoria pur essendo costantemente nella top5, infatti la prima posizione rimane una questione fra Wallace, Earnhardt e Rudd. Dopo un’altra caution a tre quarti di gara (Chad Little in testacoda con Wilson che non può evitarlo), gli ultimi 100 giri diventano importanti anche per la strategia. Ai -90 Cope finisce a muro e travolge Miller e in questa occasione si fermano tutti ai box tranne Dick Trickle che eredita dunque la prima posizione per un po’ di giri prima di cederla di nuovo a Rudd.

Dopo appena otto giri di green Davey Allison finisce in testacoda e ai box c’è una piccola sorpresa: ovviamente si ferma Trickle, ma lo fa anche Rudd che monta quattro gomme fresche (in questo caso gelate). Ricky è costretto ad una rimonta dal fondo della top10 mentre davanti Wallace comanda tenendo a bada Earnhardt e Martin.

Nel finale emerge sempre di più la #6 di Mark Martin che prima sorpassa Earnhardt e poi si avvicina a Wallace in corrispondenza di alcuni doppiaggi. Ma la perla finale arriva in corrispondenza dell’ultima caution (testacoda di Larry Pearson) a 15 giri dalla fine: tutti vanno ai box e tutti – incluso incredibilmente Rudd – cambiano quattro gomme, ma Robin Pemberton, crew chief di Martin, ne cambia solo due mandandolo in testa. Alla bandiera verde mancano soli 13 giri alla fine ma Mark non sarà più ripreso. Dietro di lui va in scena intanto l’ennesimo atto della faida fra Earnhardt e Wallace, con Dale che si tocca con Rusty mentre lottano per la seconda posizione, mandandolo largo e facendo finire la #27 in sesta posizione.

Mark Martin vince la seconda delle sue 40 gare in carriera davanti a Dale Earnhardt, nuovo leader della classifica generale, Rudd, Bill Elliott, Trickle, Wallace, Shepherd, Brett Bodine, Spencer e Schrader, ultimo dei piloti a pieni giri.

Le polemiche

Mark Martin è in victory lane e può festeggiare, la diretta TV di Ken Squier e Chris Economaki si può chiudere ma da Richmond non è tutto. Infatti i controlli tecnici di rito rivelano un problema sull’auto #6. I commissari riscontrano infatti che sul motore del Roush Racing c’è un distanziale del carburatore sovradimensionato. I commissari, secondo le regole del tempo, mantengono la vittoria di Martin però lo penalizzano di 46 punti in classifica. Il tutto malgrado la stessa identica vettura abbia passato con esito positivo i controlli tecnici per tre volte in precedenza durante il weekend.

Il team accetta la penalità dato che è appena la seconda gara stagionale (su 29) e anche se Mark è scivolato a 101 punti dalla vetta si va avanti. Ma nei giorni e nelle settimane successive monta la polemica. I commissari infatti ammettono che il distanziale non era sovradimensionato né tecnicamente illegale. Il problema è che tale elemento non era saldato al corpo motore bensì imbullonato, entrando nella zona grigia del regolamento. Ma ad accendere gli animi sono due fattori: che questa differenza non ha portato ad un incremento delle prestazioni e che a presentare reclamo nel post-gara per penalizzare Martin sono stati Richard Childress e Dale Earnhardt. Ne nasce un putiferio in cui la Nascar viene accusata di favorire “The Intimidator” e la nera Chevy #3. Ma – come detto – col tempo tutto torna alla normalità.

La beffa

Una settimana dopo a Rockingham Mark Martin si ritira nel finale di gara a causa della rottura di una valvola e col 26° posto scivola al 17° posto in generale a 145 lunghezze da Dale Earnhardt. Ma da quel momento in poi la #6 non si ferma più: nelle 22 gare successive Mark – rivelatosi nella stagione precedente e al primo campionato in cui è stato inserito nel lotto dei favoriti – porta a casa due vittorie in Michigan e a North Wilkesboro, 15 top5 e 20 top10; gli unici risultati negativi sono un 11° posto a Daytona e un 14° a Pocono. A metà campionato, grazie al secondo posto di Sonoma, Mark è già in testa alla generale sorpassando un Morgan Shepherd protagonista della migliore stagione in carriera.

Dale Earnhardt invece non conosce vie di mezzo: dopo tre vittorie nelle prime nove gare, incappa praticamente in quattro zeri consecutivi che lo relegano al quinto posto in generale. Per rimediare sono necessarie due vittorie di fila in Michigan e a Daytona che lo riportano al secondo posto in classifica dietro a Martin. Inizia così un grande duello nelle ultime 14 gare stagionali.

Dopo North Wilkesboro, la terza vittoria stagionale per la #6, Mark ha soli 16 punti di vantaggio su Dale e mancano appena quattro gare alla fine della stagione. A Charlotte va in scena uno 0-0 incredibile: Earnhardt riparte dai box prima che i meccanici abbiano finito il cambio gomme e alla fine della pit lane rimane senza ruote, Martin potrebbe capitalizzare ma rimane con 7 cilindri e chiude 14°, ampliando il vantaggio a 49 punti.

A Rockingham è un altro 0-0: entrambi finiscono a due giri da Kulwicki ma Dale è 10° e Mark 11° e dunque il vantaggio diventa di 45 punti. Sembra quasi che entrambi i piloti non vogliano vincere questo titolo, ma alla fine questa lotta di nervi fa pendere la bilancia verso uno dei due. A Phoenix Earnhardt domina guidando per 262 dei 312 punti in programma facendo bottino pieno mentre Martin è soltanto 10°: Dale si presenta così al gran finale di Atlanta in vantaggio di appena 6 lunghezze.

In Georgia, in una gara segnata dalla tragedia di Mike Ritch, meccanico di Bill Elliott che perde la vita dopo essere stato investito ai box da Rudd, fatto che mette fine per sempre alle soste senza limiti di velocità in pit lane, non c’è storia. Earnhardt si qualifica sesto, guida per 42 giri totali e poi gestisce concludendo in terza posizione, Martin parte invece 11° e non è mai in lotta per la vittoria chiudendo in sesta posizione, staccato di un giro dal vincitore Morgan Shepherd.

I conti sono presto fatti: Dale Earnhardt vince il quarto titolo in carriera, il primo dal 1987 e il primo con la storica Chevy #3 in colorazione nera, battendo Mark Martin per 26 punti. Senza la contestata penalità di Richmond la #6 avrebbe trionfato per 20 lunghezze. Ed è così che Mark Martin viene gelato a 9 mesi di distanza dalla gara più fredda nella storia della Nascar. La beffa è ancora più atroce se si pensa che Mark in 30 anni di carriera in Cup Series non ha mai vinto il titolo ma è diventato vicecampione per ben 5 volte, la prima appunto nel 1990 e poi nel 1994, 1998, 2002 e infine nel 2009 a ben 50 anni e dopo due stagioni di attività part-time.

Nel dopo gara Martin concede l’onore delle armi: “Non dobbiamo essere imbarazzati per nulla. Abbiamo dato il 100% per tutta la gara, per tutto l’anno a dire il vero, ma siamo stati battuti dai migliori. Forse saremo i migliori il prossimo anno. Vi garantisco che saremo migliori. Ma ora devono esserci i festeggiamenti di Dale. Probabilmente non eravamo così forti da vincere ma siamo felici perché li abbiamo obbligati a dare il massimo.” Earnhardt invece chiude l’anno dichiarando: “Dopo la partenza sfortunata di Daytona è stato un anno difficile. Abbiamo sì vinto nove gare e quattro pole, più di chiunque altro, ma le cose non sono andate per il filo giusto e abbiamo dovuto inseguire in classifica. Ora siamo felici, ed è ancora più soddisfacente perché abbiamo dovuto fare ogni cosa nel modo giusto per chiudere in bellezza.”

Ad anni di distanza per Jack Roush, proprietario del team, quella del 1990 era ancora una ferita aperta per la penalità controversa e per la beffa finale, una ferita probabilmente rimarginata solo nel 2003 quando Jack vinse finalmente il primo titolo in Cup Series con Matt Kenseth facendo il bis nel 2004 con Kurt Busch. Martin invece come detto la prese con filosofia, prima dicendo che avrebbe avuto altre occasioni e poi concludendo che alla fine non è il numero dei titoli che definisce la grandezza di un pilota e infatti è ancora amatissimo dai tifosi e un posto nella Hall of Fame lo ha conquistato. Per lo “Stirling Moss d’America” – numeri alla mano – quella del 1990 rappresentò una beffa assurda nella storia della Nascar e a penalizzarlo fu in qualche modo il peso psicologico della sfida a Earnhardt e il fatto di trovarsi per la prima volta in quella situazione, ma per qualcuno la colpa fu sicuramente anche di altri che stavano invece ai piani alti della Nascar.

Qui potete trovare in formato integrale la “Pontiac Excitement 400” del 1990

Fonti: racing-reference.info; en.wikipedia.org; wunderground.com; bench-racing.blogspot.com; batimoresun.com; bleacherreport.com; latimes.com

Immagini: twitter.com/RichmondRaceway; twitter.com/Kirt_Achenbach; GettyImages per nascar.com

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