Rea, cento vittorie e più nulla da dimostrare (in SBK)

BlogParola di Corsaro
Tempo di lettura: 6 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
23 Maggio 2021 - 08:37

Jonathan Rea, nella giornata di ieri, è stato il primo pilota a toccare quota 100 in SBK. In tanti hanno riconosciuto il valore di questo traguardo, ma rimane sempre qualcosa che scricchiola in tutto questo.


Valentino Rossi, Marc Márquez, Jeremy McGrath, Max Biaggi, Eli Tomac, Carl Fogarty, Giacomo Agostini, Wayne Rainey, Lewis Hamilton. Questi sono solo alcuni dei celebri personaggi del mondo sportivo e motorsportivo che hanno dedicato a Jonathan Rea un videomessaggio di congratulazioni dopo la sua 100a vittoria in Superbike. Non è il primo uomo sulla Terra a toccare la tripla cifra in termini di successi, essendoci già riusciti Rossi e Agostini in passato, ma è il primo a farlo in una singola categoria di moto. E tutto ciò senza contare le tre vittorie ottenute in Supersport nel 2008 (a Brno, Brands Hatch e Vallelunga) e le due nella 8 Ore di Suzuka, nelle edizioni 2012 e 2019.

Avere un tale riconoscimento da parte di campioni di questo calibro è sicuramente di rilievo, per una leggenda altrettanto importante che, a 34 anni, pare ancora in forma splendida e il migliore nella categoria in cui corre. Nelle ultime stagioni non sono mancate nemmeno le voci contrarie nei suoi confronti, quelle di coloro che danno contro a Rea attribuendo i suoi successi a una Kawasaki senza rivali in termini tecnici; non è una novità ricevere critiche simili, nel mondo delle corse. Senza andare a scomodare il suo difficilissimo periodo in Honda Ten Kate (quindici vittorie in sei stagioni, su una moto che non ha vinto nemmeno una gara con nessun altro pilota), la prova di ieri pomeriggio ha dimostrato come il salto di qualità della “Verdona” fosse oramai necessario da un paio di anni, visto il gap tecnico che si era creato con le altre moto, in primis Ducati. Visto il debutto in Gara 1 in Aragona, la nuova coppia formata da “Johnny” e dalla ZX-10RR potrebbe seriamente affossare il campionato sin dalle prime battute.

Fa specie, ridere e se vogliamo anche ribrezzo pensare che Dorna stessa, alle redini della Superbike da qualche anno, sia stata la prima a cercare di mettere i bastoni fra le ruote al fenomeno di Ballymena. Griglie invertite, BoP, Gare Sprint, tutti elementi creati nel tentativo di scombinare le carte, di dare qualche difficoltà in più da gestire per Rea e per il team Provec. Non c’è stato verso di modificare la realtà, ovvero che il nordirlandese è l’uomo da battere, l’uomo col #1 sul cupolino della sua Kawasaki perché se lo merita. Ma alla fine l’1, di per sé, non ha un gran significato: è il pilota che lo porta a renderlo prestigioso. E nel caso di Rea, trovarselo alle spalle in pista è sempre preoccupante, indipendentemente dal numero che porta.

Rea lo scorso anno ha firmato un nuovo contratto pluriennale, dalla durata incerta. Con una premessa simile e dopo un inizio di 2021 di questo tipo, può diventare palpabile lo sconforto dei diretti avversari quali Redding, Davies, Lowes o Toprak Razgatlıoğlu (forse l’unico, quest’ultimo, a poter rivaleggiare con Rea come valore e talento), che dopo due stagioni in cui Rea si è proprio sudato la pagnotta probabilmente speravano di metterlo ulteriormente in difficoltà. A prima vista, nulla di più errato.

Chiaramente è difficile tracciare un bilancio di un’intera stagione – e figuriamoci oltre – da una sola gara, ma se il #1 ci ha abituato a qualcosa è che di certo non lascia nulla al caso. Se tutto andrà secondo i suoi piani, il 2021 si appresta a diventare una cavalcata verso il settimo titolo consecutivo. Da una parte c’è il raggiungimento di un simile traguardo, l’entrare in un élite di piloti ristrettissima – quelli capaci di raggiungere sette titoli in una sola categoria – e composta da volti leggendari, e il consacrare ancor di più il proprio valore in quanto fenomeno della Superbike.

Ma, ci sono dei ma. L’altra faccia della medaglia è quella dei “se” e dei “ma” che mai verranno esplorati, quella di un Rea che non ha mai voluto osare oltre e mirare a qualcosa di ancor più prestigioso, poiché sconveniente, poco pratico o forse, se vogliamo, per paura del fallimento.

Il pensiero va chiaramente alla MotoGP. Quelle due gare disputate oramai nove anni fa sulla Honda Repsol HRC al posto di Casey Stoner rimarranno l’unico assaggio di “Johnny” al mondo dei prototipi, al pinnacolo del motociclismo a due ruote. Personalmente non sono tra coloro che snobbano il campionato della Superbike bollandolo come una serie B: i piloti che sarebbero in grado di stare nelle prim(issim)e posizioni anche in MotoGP ci sono, su tutti Rea appunto, e alcuni di questi provengono proprio dalla classe regina del Motomondiale. Inoltre, non si dovrebbe valutare il valore di un campionato osservando l’aspetto mediatico, con la MotoGP che chiaramente attira, e attirerà sempre, molto di più rispetto alla SBK.

Tuttavia, che in MotoGP sia presente la maggior parte della crème de la crème delle competizioni a due ruote, quello va ammesso. Fabio Quartararo, Francesco Bagnaia, Joan Mir, il già citato Márquez, sono alcuni dei volti di maggior spicco non solo della MotoGP o del Motomondiale ma di tutto il mondo del motociclismo su pista. Potersi già solo confrontare con volti simili è una sfida entusiasmante già da sé, figurarsi lottare in un duello con alcuni di loro.

Più volte Rea ha ammesso che, pur avendo interesse per la MotoGP, la Superbike rimane la sua dimensione perfetta, nel quale equilibrare al meglio impegni lavorativi, sportivi e con gli sponsor insieme alla sua vita di tutti i giorni, quella dell’uomo tremendamente normale con una famiglia, i figli Jack e Tyler e la moglie Tatiana. E’ difficile chiedere a una persona di sacrificare un equilibrio simile, anche se ci sono piloti disposti a farlo.

Il concetto alla base di questo mio desiderio (e probabilmente non solo mio), sta nel voler vedere il nordirlandese in una posizione più scomoda, in una categoria praticamente nuova per lui e in un team a lui sconosciuto precedentemente, a sfidare gli altri migliori al mondo. Se davvero il riconoscimento dedicatogli ieri da così tanti fenomeni era vero e genuino, allora anche l’ambiente attuale e parallelo, quello del Motomondiale, dovrebbe dimostrarsi interessato a prendere un simile campione.

In fondo, dopo aver raggiunto cento vittorie in Superbike, la domanda sorge spontanea: cos’altro ha da dimostrare Rea nelle derivate di serie? Credo che la risposta possa essere solo una: nulla.

Indipendentemente da ciò che farebbe in MotoGP, il suo status di leggenda sarebbe inattaccabile ed inequivocabile. Nulla potrà a togliere quanto fatto da Rea negli ultimi sei anni e anche prima. Per questo rinnovo la mia speranza di vederlo, un giorno, all’avvio di una stagione MotoGP.

Con questo perenne desiderio, mi congratulo anche io con Rea per lo splendido risultato.

Fonte immagine: Kawasaki Media Center

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