Quindici anni fa la vittoria più triste

di Alessandro Secchi
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Pubblicato il 20 Aprile 2018 - 00:10
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Quindici anni fa la vittoria più triste

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Tengo particolarmente ad una delle novantuno vittorie di Michael. Si tratta di un’occasione particolare, triste: è quella del Gran Premio di San Marino 2003. Sono passati quindici anni.

Ad Imola Michael e Ralf giungono sulla griglia di partenza con un vuoto: quello di mamma Elizabeth che nella notte è mancata. Loro hanno fatto la spola con l’aereo per vederla per l’ultima volta tra le qualifiche del sabato e la domenica mattina. Un tour de force che consiglierebbe, forse, di non correre, soprattutto dopo un evento del genere che esula completamente dal proprio mestiere, da quello che si fa normalmente nella propria vita.

Tra l’altro sono entrambi in prima fila: Michael in pole e Ralf al suo fianco. La situazione è grottesca, loro sono esentati dagli incontri con la stampa e visti gli eventi non si sa se la loro presenza in gara sarà confermata. Decidono comunque di correre, in segno di professionalità e in memoria della loro mamma.

Ralf al via scatta bene e si porta in testa, seguito da Michael. C’è un po’ di apprensione perché i due, come se niente fosse, lottano per la testa della corsa. Corrono per estraniarsi, per non pensare, per isolarsi dal mondo esterno in quell’ora e mezza di concentrazione tra cordoli, curve, rettilinei. Vederli così vicini, con Michael che si fa minaccioso più volte nella prima parte di gara, fa quasi spavento. Entrambi sono professionisti, certo, ma come puoi immaginare cosa passa nella testa di due fratelli a 300 all’ora, poche ore dopo la scomparsa della loro madre?

La gara continua: dopo la prima tornata di pitstop Michael, come ipotizzato, si porta al comando. Ralf cede progressivamente e termina appena fuori dal podio, quarto. L’arrivo al parco chiuso è tristemente indimenticabile. Tagliata la linea del traguardo la bolla di concentrazione esplode e lascia spazio al dramma. Michael arriva stremato, resta diversi secondi in macchina prima di scendere, lo fa con fatica. Kimi, secondo, gli stringe la mano. Poi arriva Rubens, che lo abbraccia stringendolo a sé per il casco. È un abbraccio tenerissimo che ricordo come fosse ieri.

Allontanatosi con Todt, che lo sorregge, si pensa che non salirà sul podio. Non lui, quello dalla vita privata invalicabile. Ed invece stupisce: si presenta sul gradino più alto con gli occhi gonfi ed il lutto al braccio mostrandosi per quello che è in quel momento. Non un pilota, non un campione, ma un ragazzo di 34 anni che ha perso la madre. Lo Schumacher duro, insensibile, per la seconda volta si mostra in pubblico con le lacrime che gli solcano il viso. Non sarà l’ultima.

È la vittoria più triste: la considero al tempo stesso una delle migliori di Michael per intensità, emozioni, insegnamento e nella mia personale classifica è tra le prime dieci sicuramente. Quel giorno, almeno a me, diede la dimostrazione di essere molto più umano di quanto venisse dipinto dai media. Una delle tante che mi hanno accompagnato negli anni.

Un pensiero anche per Rubens. Sono rimasto senza parole alla notizia della sua sconfitta al cancro. C’è un mondo tutto mio al quale sono affezionato fatto di persone, ricordi, luoghi, avvenimenti. È il mondo che poi preferisco raccontare per l’intensità con la quale l’ho vissuto, sicuramente diversa da quella degli ultimi dieci anni. In quel mondo c’era anche Rubinho, e sapere che non è stato bene è un altro colpetto mica da ridere. Ma sono felice che sia andato tutto bene e che ora possa dedicarsi come prima alla sua famiglia e i suoi figli.

Mi premeva ricordare questo triste anniversario. Quella foto in cima, quell’abbraccio, quei momenti, resteranno sempre vivi. Come tanti altri.

Foto: internet (per segnalare il copyright info@passionea300allora.it)

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