Quanto è ancora accettabile la morte nel Motorsport?

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Tempo di lettura: 4 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
4 Luglio 2023 - 18:30
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Sono passati appena tre giorni dalla scomparsa di Dilano van’t Hoff in Formula Regional a Spa-Francorchamps e, al di là del comprensibile sgomento da parte dei diretti interessati, l’episodio di sabato mattina sembra già flebilmente passato in secondo piano.

Forse perché subito dopo c’era una 24 ore da far partire, forse perché eravamo nel pieno di un weekend di F1 e forse perché, ed è brutto dirlo, un ragazzo che scompare a 18 anni in una categoria non mainstream, diciamo così, fa scoop solo per poche ore (e serve solo a riempire gli Analytics di chi si lancia sul funebre appena può, per sistemarsi la giornata) quanto successo sulla pista delle Ardenne non sembra richiamare l’attenzione che necessita su una situazione, invece, grave.

Da qui la domanda del titolo, volontariamente provocatoria: quanto è ancora accettabile la morte nel Motorsport? Perché, rivedendo la gestione della gara di sabato mattina, vengono parecchi dubbi sul fatto che ci siano attenzioni e attenzioni quando si tratta di pericolo in pista. Non ci vuole una laurea in chissà quale materia per capire che le condizioni del tracciato non erano sufficientemente adeguate per far ripartire dei ragazzini su una delle piste più difficili e pericolose del mondo con visibilità azzerata.

Quando parlo di attenzioni mi riferisco al 2021, quando quella che viene chiamata la “farsa” del GP di F1 fu propiziata proprio dal senno con cui le condizioni del tracciato furono ritenute insufficienti per lanciare in pista le 20 monoposto più veloci del mondo. Sabato mattina la situazione a Spa non era tanto diversa ma decine di giovani ragazzi, con un’esperienza in monoposto di pochi anni, sono stati buttati nel calderone per un finale di gara assolutamente evitabile.

Puntualmente, quando una situazione viene portata al limite, è facile che qualcosa vada storto e, stavolta, il prezzo pagato è decisamente troppo alto. Se qualcuno crede che la morte nel Motorsport sia ancora normale come cinquant’anni fa ebbene no, non è così. È cambiato il mondo, è cambiato il Motorsport, è cambiata la concezione del pericolo ed anche quella della morte.

È vero, dobbiamo sempre ricordare che proprio il pericolo non può mai essere scongiurato, così come dobbiamo dare atto che sia stato fatto tantissimo, negli ultimi trent’anni, per alleviarlo il più possibile su più fronti. E la data da cui è partita questa presa di coscienza la conosciamo tutti, 1° maggio 1994.

Eppure, delle volte, sembra che ci si dimentichi qualcosa. Dopo quattro anni ci troviamo di fronte ad un’altra morte sulla stessa pista e, più o meno, nella stessa zona. Le dinamiche, o per meglio dire le condizioni che hanno portato agli incidenti mortali di Anthoine Hubert e Dilano van’t Hoff sono diverse; sebbene l’impatto sia stato praticamente identico e indicativo del fatto che gli scontri a T, con una monoposto che centra perpendicolarmente un’altra, sono pericolosissimi.

Però, oltre ad una discussione seria a livello globale sulla gestione delle gare nelle categorie minori, in condizioni difficili e su piste altrettanto impegnative, forse sarebbe il caso di parlare anche della zona Eau Rouge – Raidillon che, da quando è adornata da vie di fuga asfaltate, porta con sé solo disastri.

Credo che la lista di piloti miracolati, da anni a questa parte, sia infinita. Perché per due piloti che purtroppo ci hanno lasciati ce ne sono tanti altri che hanno rischiato tantissimo e sono vivi per miracolo. Due casi recenti su tutti: il botto multiplo della W Series nel 2021, nel quale Halo è stato determinante, e quello di Jack Aitken alla 24 ore del 2021. La via di fuga in asfalto tra Eau Rouge e Raidillon è un fallimento, è ora che qualcuno se ne renda conto. Chi va a sbattere puntualmente torna in pista e rischia di venire colpito da chi esce da una curva cieca a velocità altissima e non ha spazio per intervenire ed evitare un incidente.

La prima volta in cui si è cominciato a parlare seriamente del pericolo di quel tratto di pista e di quelle vie di fuga è stato in occasione dell’incidente di Hubert. Dopo quattro anni non è cambiato niente e ci troviamo di fronte ad un’altra tragedia. Mi auguro che il silenzio di questi giorni attorno alla vicenda sia solo una coincidenza e che, nelle prossime settimane, si apra un dibattito tra tutte le organizzazioni che contano, al fine di capire cosa si può fare di meglio. Perché mi pare chiaro che ci sia più di qualcosa che non va e che non ci si può permettere altre morti in pista con questi intervalli.

Ci sono immagini, dati, competenze ed esperienza a disposizione per fare di meglio di adesso. Lo si deve al giovane Dilano, ad Hubert e a tutti quelli che hanno rischiato grosso in questi anni in uno dei punti più belli ma anche pericolosi del mondo. Si può e deve fare di più, al più presto.

Immagine: MP Motorsport

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