Quando un dramma diventa uno spettacolo di oscenità

F1
Tempo di lettura: 9 minuti
di Alessandra Leoni @herroyalblues
2 Gennaio 2014 - 21:10
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“Il fatto è che non c’è una deontologia, nessuno te la dà, nessun direttore di giornale ti dice cosa fare in quella certa situazione. Essere giornalista è un modo di vivere, non un mestiere, le regole te le devi sentire dentro, non c’è un libro in cui le leggi. Devi decidere tu ogni volta quanto vuoi essere strumentalizzato e fino a che punto devi rifiutarti di essere partecipe di certe cose. Devi sentirti dentro il senso della verità e della responsabilità – è molto difficile”. Tiziano Terzani.

Desidero cominciare quest’articolo da una citazione di un vero Maestro, per quello che mi riguarda,  di Giornalismo vero. Maestro per quel che mi riguarda, soprattutto quando si parla di oggettività e di soggettività nel fare informazione. Perché la verità è questa, imparata praticando e ascoltando i consigli – a volte con quel senso di ribellione e di testardaggine di giovane – di chi ha scritto storie di pagine di giornalismo e qualcosa da insegnare, in fondo, ce l’ha: di fronte a un fatto da raccontare c’è una persona. Di fronte a un’informazione c’è una persona. Ma c’è un modo di vivere, quello di fare giornalismo, in ballo, quando si tratta di raccontare qualcosa. Ancora una volta, cito Terzani: il cronista deve raccontare una storia, fatta di persone e di eventi, altrimenti, se non ci fosse qualcuno che la può raccontare, questa storia è come se non esistesse, ai nostri occhi e nelle nostre esistenze.

Ma il fatto significativo che ci sia un giornalista-persona davanti, significa che è questa persona ad avere in mano una grossa responsabilità: che cosa raccontare? Dov’è il limite tra ciò che va raccontato e ciò che la discrezione suggerisce di risparmiare e di passare sotto un decoroso silenzio?

E qua mi ricollego al triste incidente occorso a quello che per me è stato un modello per molti anni, uno dei fattori per cui ho seguito un percorso – quello di raccontare storie o di ascoltare e diffondere storie di altri – che dura da un cinque anni circa: Michael Schumacher. Cercherò di parlare meno possibile da tifosa, perché chi mi conosce su questi lidi, sa benissimo il mio tifo e la mia stima per il sette volte campione del mondo, e vorrei offrirvi uno spunto di riflessione un po’ differente. Il che forse spiega la mia totale repulsione per quasi la totalità delle testate giornalistiche – e dovrebbero essere un ipotetico luogo di lavoro! – e per un atteggiamento più posato, poco aggressivo, nel news making. 

Da quanto ho saputo dell’incidente di Michael, praticamente nel momento in cui si è diffusa la prima notizia, ho passato molte ore a navigare su questo sito, Twitter, Sky Sport F1, BBC – Facebook l’ho rigorosamente evitato – e autorevoli siti stranieri per quanto riguarda il motorsport, in attesa di dichiarazioni ufficiali e fonti credibili al riguardo. È una delle basilari regole, che mi pare si sia persa nel giornalismo, ma anche nel gestire il flusso informativo, quella della scelta di fonti attendibili. Rifuggo i rumour, le indiscrezioni, perché sono letteralmente virali – si spargono ovunque e sono soggetti a una manipolazione che assume caratteri fantascientifici. Si dice tutto e il contrario di tutto in pochissimo: basti solo pensare alla storia delle due operazioni che il tedesco pare aver subito nelle ore immediatamente successive all’incidente, quando chiaramente i medici avevano dichiarato di averne eseguita una sola! Eppure, anche dopo la prima conferenza stampa ufficiale dei medici che seguono la delicata situazione di Schumacher, si è andato avanti a dire che le operazioni erano state due. Senza prendersi la briga di rettificare quanto detto.

Passiamo poi al disgustoso speculare sul fatto che il tedesco sia stato subito dipinto come un folle che si lancia in pericolosi fuori pista, di fronte al figlio, sciando a velocità da Coppa del Mondo… Senza neanche sapere le caratteristiche del luogo incriminato (senza premurarsi di vedere una foto, o di andare sul luogo, date le disponibilità) e quale sia stata la dinamica dell’incidente. Ovviamente, affermando pure che Schumi si fosse lanciato nella neve fresca a velocità tra i 60 – 100 km/h! Un azzardo che prima di tutto, delinea la gratuità dell’affermazione e la relativa incertezza e inconsistenza, ma in secondo luogo, non tiene conto del banale buonsenso; non tutti hanno sciato, ma un minimo di ragionamento porta a pensare che la velocità non fosse quella, non in regime di neve fresca. D’altronde, un altro dubbio poteva sorgere spontaneo circa la rapidità e l’efficienza dei soccorsi prestati a Schumacher negli istanti successivi all’impatto, tempistiche da sci in pista e facilmente raggiungibile, anziché da fuori pista, soccorsi solitamente ostacolati appunto dal fatto stesso che un fuori pista non è facilmente raggiungibile e, in caso si fosse da soli, un incidente fuori pista è difficilmente segnalabile in pochi minuti. A volte possono passare ore. Ma sinceramente, non è nella linea e nella volontà di questo sito fare un’improbabile inchiesta da remoto circa la dinamica dell’incidente di Schumi. Ci affidiamo unicamente alle parole di Sabine e alle autorità competenti che si stanno muovendo in questo senso. Né è di nostro interesse scadere nel morboso. Ma dei livelli di morbosità raggiunti dai giornalisti ne parlerò tra poco, perché deve far riflettere tutti, giornalisti e fruitori.

Ancora una volta, è una dichiarazione ufficiale che deve mettere chiarezza, o perlomeno, deve cercare di arginare indiscrezioni e pettegolezzi, e Sabine Kehm lo ha fatto, con semplicità e precisione, con un’asciuttezza quanto mai provvidenziale, nell’alluvione di speculazioni degli ultimi giorni. Una volta che i giornalisti non possono più percorrere la via del sensazionalismo negativo, quando non si può più fare affidamento ai servizi che paiono più degni di una persona già morta – e già ne sono stati trasmessi, di cui un “coccodrillo” pubblicato per errore – una volta che il cadavere è stato identificato, sezionato e mangiato dagli avvoltoi, che fare? Sempre il buon Terzani diceva che il mestiere del giornalista è essere, fondamentalmente, un avvoltoio, che si reca laddove ci sia un cadavere e dei cadaveri da contare. Ma un avvoltoio che deve avere un limite personale – nessuno insegna quale sia questo limite oggettivo, perché è semplicemente discrezionale! – sul cosa raccontare, cosa far vedere e cosa no. Il fatto è che si parla di crisi costante dell’editoria, delle testate giornalistiche. E quel freno, quel limite, è svanito di fronte a un’esigenza puramente economica che vuole il giornalista ad affondare le mani nel torbido, a tirare fuori un dettaglio raccapricciante che nessuno della concorrenza era ancora riuscito ad ottenere prima. Si corre sempre più sul filo dei secondi, degli istanti, quando si fa informazione. E quindi è iniziata subito la speculazione rivoltante sulla dinamica ufficiale dell’incidente: si era fermato a soccorrere la bambina di un amico, anziché soccorrere un amico? Esiste un video dell’elicottero di soccorso che parte, una volta caricato Schumi? C’era già il rivolo di sangue sulle tempie di Michael subito dopo l’impatto? Il casco si era rotto in due, tre pezzi? Ma non doveva non rompersi? C’è un fantomatico testimone tirato in ballo? Un testimone citato con tanto di nome e cognome, ma di cui non esiste ancora uno straccio di testimonianza diretta. Di più: sopralluoghi sul luogo dell’incidente a non finire, giornalisti ed esperti coinvolti nel ripercorrere un supposto percorso fatto dall’ex-campione di F1, fino ad arrivare allo scabroso, morboso. Direi pornografico, nel senso di oscenità rappresentata pubblicamente tra foto e servizi alla televisione. Per non parlare della continua diretta, pur sapendo benissimo che non ci saranno bollettini o conferenze stampa se non in caso di novità.

C’era davvero bisogno di vedere il sangue su una delle rocce incriminate? Io non ho visto niente di tutto questo, non mi sono sfuggiti però dei commenti alterati al riguardo su Twitter, ma mi sono rifiutata per rispetto della vittima e della famiglia di Schumi che sta soffrendo una pena indescrivibile in questi giorni. Mi sono rifiutata di farlo, in quanto non voglio nutrire un sistema malato di fare informazione, né voglio fare informazione in questo modo, un modo che ha perso il lume della decenza negli eventi tragici. C’era bisogno davvero di un mezzuccio quale un giornalista vestito da prete, che tenta di infiltrarsi al quinto piano dell’ospedale di Grenoble, per avere quelle informazioni che nessun concorrente aveva avuto prima? Provoco, sapendo che non c’è più limite al peggio: se ci fosse riuscito, azzardo che questo giornalista avrebbe fornito dettagliate foto di Schumi in coma, con approfondite e precise descrizioni delle sue ferite e contusioni. Sono cattiva? Può essere, ma è il gesto a essere riprovevole in primis, non un’ipotetica previsione-provocazione.

Mi sono rifiutata di vedere qualsiasi servizio alla tv che non fossero le due conferenze stampa e le dichiarazioni di Sabine, ho preferito dare retta alla raccomandazione dei medici – anche giustamente un filo minacciosa – di attenersi a quanto detto ufficialmente da loro e dalla portavoce. Non ho voluto fare, se non a livello informale e personale, ricostruzioni, pseudo-inchieste e azzardi su dinamiche di quanto accaduto a Michael, così come non ho voluto dargli dell’imbecille a priori (come tanta gente avventatamente ha fatto, dicendo pure che se l’è andata a cercare, “facendo il fenomeno fuori pista a tutta velocità”), ma neanche ho voluto dar retta al sensazionalismo positivo delle ultime ore, che vuole santificarlo, per un presunto gesto che credo che qualsiasi persona avrebbe fatto spontaneamente, vedendo qualcuno a terra (e che sia una bambina o un adulto, non mi importa). Santificare uno che ha sempre rifuggito l’aura di “Leggenda della F1”, che ha difeso la sua normalità fuori dalle piste, ha un che di bizzarro. Di tristemente ironico, soprattutto da parte di giornalisti che fino a un annetto fa non perdevano occasione di prendersi gioco di Michael e di dileggiarlo, come se fosse lo scemo del Circus della F1. Ma a quanto pare, la morbosità dell’informazione oggi come oggi pretende che si abbia la memoria corta, il giudizio facile e istantaneo, privo di qualsiasi fonte solida e affidabile, e compassione solo degli eroi e disgusto per gli imbecilli (anche se non sono sempre sicura che si disprezzino certi imbecilli che appestano la tv, la radio, l’editoria in generale… A volte penso che sia tutto il contrario).

Mi dispiace, questo non è giornalismo. Quanto visto negli ultimi giorni è pornografia. Oscenità allo stato puro. Uno sceneggiato horror di bassissima lega, sconfinante nello splatter.

Tutto quello che posso fare, dal basso della mia inesperienza, è aiutare la buona informazione a circolare – tramite questo sito e i social network che frequento. E siate certi che su questo sito non vedrete rocce insanguinate, dichiarazioni deliranti e prive di fondamento, fantomatici testimoni, né agiografie strappalacrime. Nel rispetto di Michael, che fino a prova contraria, è in vita e lotta per rimanere qui con noi ancora un po’.

Alessandra Leoni

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15 Commenti su “Quando un dramma diventa uno spettacolo di oscenità”

@griforosso: oh quanto, quanto hai ragione e dico sul serio – ho dato due esami di storia dell’editoria e ci sono dei passaggi illuminanti nella storia dell’editoria italiana da un’editoria personale all’editoria “politicizzata”, dove la figura dominante del direttore-redattore, che non è altro che uno scrittore-giornalista prestato a curare gli scritti dei suoi colleghi, è sostituita da figure che con la scrittura non c’entrano nulla, ma pensano al soldo o a fare da cane da guardia per conto della famiglia proprietaria di questa o quella casa editrice (sapete tutti bene a quali esempi, non solo la Mondadori, mi riferisco). Ed è questa la vera rovina del giornalismo in Italia, questo passaggio fondamentale nella storia dell’editoria e nell’informazione ha causato più un crollo della qualità e una perdita di quel senso deontologico del fare informazione, come in-formazione del pubblico che legge, che non ha il dono di sapere tutto, dell’onniscienza e dell’ubiquità. Per questo c’erano i cronisti, i giornalisti. Adesso mi pare solo di leggere fuffa poco accurata e non tanto “manipolata”, tanto quanto ossequiosa della “copia venduta” e del padrone che ha sempre l’occhio vigile sui contenuti.

Ad ogni modo, l’osservazione sul complottismo non era per te, mi hai fatto semplicemente venire in mente che era un altro risvolto di cui volevo parlare nel “fare informazione” 🙂 anzi ti ringrazio perché me lo hai ricordato

Griforosso dice:

@ BlanketteGirl – Grazie per l’apprezzamento. Non tanto per il conseguente Massaggino dell’Ego ma perché aiuta a vivere trovare, ogni tanto, qualcuno che condivide le tue idee e non ti prende per “uno strano” o “rompiglione” solo perché hai delle idee/convinzioni “diverse”.

Griforosso dice:
djbill dice:

@Griforosso: sulle ultime tre-quattro righe sarei curioso di sapere a cosa ti riferisci in particolare visto che parli di un caso specifico senza riporyarlo.
P.S. è una pura e semplice curiosità visto che come te sono un semplice lettore del sito e frequentatore del forum…

Griforosso dice:

Trovo nel tuo articolo finalmente delle VERITA’. E’ da MOLTO tempo che vedo la categoria dei Giornalisti come dei “giornalai” (chiedendo scusa a quelli che i giornali li vendono, ma mi serviva un diminutivo che fosse assonante con l’altra parola). Da quando ho letto un bellissimo libro, I Persuasori Occulti di V. Packard. Da allora le “news” le leggo con un’occhio diverso e, da allora, mi sono accorro di quante porcherie vengono scritte. Ma perché vengono scritte tutte queste porcherie? Ovviamente la risposta è “per attirare l’attenzione del lettore che vuole ecc…” Ecco IL LIMITE. Limite a cui non si sono sottratti nemmeno giornalisti come Montanelli o E. Biagi. Il primo raccontando in TV, con aria di vanto, di quando in Africa aveva una relazione con una locale al suo servizio. L’altro quando l’ho visto in TV fare un’intervista ad Andreotti con domande “mirate” costruite su risposte già “pronte” dell’intervistato. E stiamo parlando di due che vengono sempre magnificati quando se ne parla. Allora, se nemmeno i Santoni del Giornalismo (o dichiarati tali da alcuni) si prestano a bassezze cosa può fare il cittadino ? Rintanarsi nella sua cuccia e tenersi all’oscuro di tutto ? Questo è il POTERE che paga e vuole “il risultato”, mai troppo evidente ma strisciante che, come dice Don Basilio parlando della calunnia, porti la massa, a micron giornalieri, verso un “pensiero unico”. Il vero problema è che la gente “ascolta”, con convinzione. Per concludere mi spiace dirlo ma anche in questo sito ho trovato un articolo che in un qualche modo percorre la brutta strada da Te descritta e da me tanto deprecata. Un saluto a tutti gli Appassionati, un GRANDE AUGURIO a Schumy e, sempre, VIVA FERRARI

Dariok dice:

ciao Griforosso, a proposito di giornalismo ti potrà interessare allora il libro di Chomsky/Hermann “La fabbrica del consenso”
te lo consiglio vivamente

Libro che consiglio caldamente pure io! Un’altra cosa che volevo dire, è usare il proprio giudizio critico, ma in base anche a quanto viene detto ufficialmente (per esempio, ora in questo caso specifico abbiamo tre dichiarazioni ufficiali che bastano e avanzano)… Ma di non scadere nel polo opposto, perché a usare solo lo scetticismo cronico si ottiene che si cade nelle ipotesi di complottismo usate anche a colazione 😉 E ognuno poi ha il suo complotto ready-made per qualsiasi cosa! Questo vorrei evitarlo, visto che la malainformazione italiana sta portando a questo…

Griforosso dice:

Grazie della segnalazione. E’ un libro, comunque, che ho già. Grazie ancora

Griforosso dice:

@ BlanketteGirl – NO non credo di scadere nel complottismo. Osservo e rifletto per quel poco sindacale che la Natura mi riconosce. Osservo che l’Editoria è in mano a lobby di potere e che anche chi vuole fare del giornalismo di qualità almeno discreta NON DEVE dimenticarsi che la proprietà potrebbe non gradire. Mi scuserai ma i giornalisti di primo piano, intendo quelli che firmano gli articoli più importanti e sono sempre intervistati come se avessero “la verità”, hanno dei privilegi a cui credo proprio non vogliano rinunciare. Ricordo, ad esempio, che agli inizi degli anni 90 quando si cominciò a parlare di revisione delle pensioni erano li tutti a dire che i lavoratori erano arroccati su una situazione e non ne volevano sentire di “cambiare”. Poco dopo, due o tre anni dopo, quando fu ventilata la possibilità di integrare la loro (dei giornalisti) Cassa Pensione con l’INPS lessi articoli di fuoco che criticavano l’eventualità. Ecco, cosa si può leggere di credibile sino in fondo da queste persone?? Ecco perché cerco di stare attento e di “schiumare” abbondantemente quello che sento o leggo. Con stima, quanto meno per il contenuto del tuo articolo, un saluto sereno.

Dariok dice:

ciao Alessandra, condivido i tuoi pensieri, ma sei fin anche troppo ottimista: ho conosciuto giornalisti che non sanno nemmeno la lingua italiana, gente di un’ignoranza spaventosa, e alcuni di questi lavorano pure in la tv; anche in una grande azienda come la rai (dove incidentalmente lavoro) se ne vedono di cotte e di crude. La mancanza di una deontologia è solo una conseguenza dell’ignoranza imperante

Beh, guarda, ti credo benissimo, io nei corsi di giornalismo mi trovo gente che parla a stento l’italiano e pensa che la P2 sia una medicina. Fai tu…

farina88 dice:

Ciao Alessandra, mi chiamo Gianluca e sono un giornalista alle prime armi, con la speranza-volontà di occuparmi, in un prossimo futuro, della mia passione più grande, la F1. Ti dirò, io sono d’accordo su quanto hai scritto, anche io ho notato davvero eccessi incredibili, anche da giornalisti che, al riguardo, mi hanno profondamente deluso, e ti porto anche un esempio pratico: una grande firma di SportMediaset, lunedì 30, ha fatto un articolo semplicemente assurdo su Michael, nel quale lo descriveva come assuefatto al rischio e alla velocità, un “drogato” dell’adrenalina, che, sempre e comunque, doveva quasi cercare di “ammazzarsi” per sopperire a quei bisogni. Salvo, ovviamente, parlare, oggi, in tutt’altri termini. So che le esigenze attuali portano a scelte discutibili, così come in tutti i campi delle comunicazioni, quel che importa è l’audience, ma bisogna trovare, ognuno nel proprio intimo, dei limiti. Come dici te, la storia del giornalista travestito da prete è grottesca ma esemplare, e chissà quanti altri hanno pensato a stratagemmi simili pur di strappare uno scoop. E’ la dura, cruda verità e fai bene a sottolinearlo, anche usando paragoni forti…

Ciao Gianluca e grazie per il tuo commento! Credo e temo che questa situazione debosciata sia proprio dovuta perché non c’è più una “linea editoriale” forte, che pone dei limiti etici e anche morali. Come una volta le case editrici erano in grado di rifiutare libri di un certo livello, se non sposavano la linea editoriale del fondatore e dei direttori editoriali.

E’ vero che la deontologia nel giornalismo non è qualcosa di oggettivo, di cui esiste un libro da studiare per tutti, ma nel giornalismo la devi avere tu, in base alla tua sensibilità, ma ci vorrebbe anche una linea editoriale precisa, per guidare chi lavora nella redazione. E soprattutto, forse ci si dovrebbe porre più spesso qualche domanda – come si faceva una volta – di che tipo di conseguenze possono portare certi tipi di scelte editoriali. Se io sparo a zero su qualcuno, montando un caso su delle falsità, ho fatto un danno, perché almeno il 50/60% (se non di più) dei lettori si attaccherà alla prima idea che il giornale o un’emittente televisiva butta fuori, senza pensare ulteriormente con la propria testa. E’ normale, se ci si affida alle notizie come “verità” assoluta, senza quella natura critica che un po’ tutti dovremmo applicare, più che mai nell’informazione di oggi, che rasenta più il gossip e il sensazionalismo.

Otelma dice:

Scusa, Alessandra, ma trovo inappropriato che tu paragoni questo giornalismo e certi giornalisti alla pornografia.
La pornografia ha una sua etica e una sua decenza, anche se può apparire strano.
E, se vogliamo, forse anche una sua utilità didattica e/o ludica.
Tutta roba che a questo “giornalismo” manca del tutto.
Condivido TUTTO il tuo articolo e perdona la libertà che mi sono preso di ironizzare sulla pornografia.

Ma figurati, Otelma!

Ho capito perfettamente la tua ironia e il voler dissociare la pornografia (quella ludica e con una sua personalissima finalità e utilità) dal giornalismo attuale. Ho solo voluto usare “pornografia” nella sua accezione letterale di “atto osceno diffuso tramite foto, video”. Ma sono d’accordo con la tua ironica distinzione 😉 😀

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