Succede che la sentenza definitiva esplode dalle parole del super presidente Marchionne: “Vettel è più ferrarista di quanto lo sia stato Alonso in cinque anni”.
Dichiarazione molto pesante, a mio modo di vedere abbastanza inutile visto che è passato ormai un anno. Ma tant’è, se l’ha voluta pronunciare è perché l’intenzione era proprio quella di puntualizzare l’anno d’esordio di Vettel in rosso.
A me, però, questi attacchi gratuiti paiono abbastanza sterili da qualsiasi parte partano. Così come non mi è piaciuto l’Alonso che dice di “esser stanco di arrivare secondo” per poi arrivare ultimo con la Mclaren, non mi è piaciuto il presidente che si lascia andare ad una simile affermazione.
Cerchiamo di essere lucidi: che Vettel avesse una voglia smisurata di arrivare in Ferrari lo si sapeva da tempi remoti. Che Alonso in più riprese abbia criticato la squadra anche pubblicamente durante la sua avventura, altrettanto.
Però qualcuno mi dovrebbe spiegare perché, per cinque anni, Alonso sia stato incensato dai media come il Messia con Vettel relegato al ruolo di supersculato di turno, vincitore a caso di quattro titoli, per poi invertire i ruoli una volta che le casacche sono cambiate di colore.
La conversione, questa sconosciuta. Anzi, questa conosciuta fin troppo bene. L’abbiamo vista quando Schumi è tornato con la Mercedes, quando Alonso è arrivato in Ferrari, ed ora con Vettel in rosso.
Che la Ferrari abbia un’importanza fondamentale in F1 non lo dico io ma lo dice la sua storia. Che si debba snaturare la realtà delle cose non è scritto da nessuna parte. E questo non mi va bene. Alonso nei suoi cinque anni in Ferrari ha commesso pochissimi errori in pista e molti fuori (a mio giudizio, s’intende). Così come anche la Ferrari ne ha commessi in diverse occasioni. Abu Dhabi, remember this?
Ma, se è vero che il Fernando ferrarista è stato poco “aziendalista”, significa che l’incensare continuamente il suo personaggio anche quando non ce n’era bisogno, nel periodo in cui era al volante della rossa, era una pratica studiata a tavolino. Così com’è studiata quella che ora incorona Vettel (che solo un anno fa veniva definito un bluff) dopo una sola stagione. Osannato, pubblicizzato, posto sul piedistallo con quel ditino che nessuno poteva vedere solo 12 mesi fa.
Quindi a chi e a cosa dobbiamo credere? A quello che leggiamo e vediamo? O a quello che sentiamo in base al nostro modo di pensare? Riflettete su questo. Riflettete su quanto sia importante pesare quello che ci viene proposto, senza credere necessariamente a tutto quello che ci viene propinato alla prima occasione.
Fernando non è mai stato un santo (come tutti o quasi): non lo era in Renault, non lo è stato in Ferrari, non lo è in Mclaren. Vettel è sempre stato fortissimo: lo era in Toro Rosso, lo è stato in Red Bull, lo è in Ferrari. E allora perchè continuare ad influenzare la gente quando non ce n’è bisogno? Per inventare storie, farsi seguire, manipolare l’immaginario collettivo?
Basta con queste storie. Un conto è l’informazione, un altro la circonvenzione. I piloti sono uguali, indipendentemente dal colore della tuta.
Pensate sempre con la vostra testa.
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