Dopo la notizia di dieci giorni fa con il presidente Aci Sticchi Damiani rinunciatario al Fatto Quotidiano sulle possibilità di Monza di rinnovare il suo contratto, se ne sono lette di tutti i colori. L’Autodromo stesso ha cercato di tergiversare con un comunicato, comparso su Facebook, nel quale veniva sottolineato che l’impegno c’era ancora e c’è per portare a compimento quello che sembra un miracolo.
Nel frattempo, però, non si sente più nessuno. Monza è in balia del Mugello, di Imola, di Las Vegas, di Ecclestone, di tutti. Ognuno dice la sua in una situazione abbastanza assurda ed economicamente grave per la città e l’Autodromo stesso. Sembra un accanimento terapeutico per la vergogna di non voler dire come stanno veramente le cose.
Bernie l’ha detto chiaro e tondo che la F1 senza Monza può sopravvivere, d’altronde di paesi pronti a sborsare dollari pesanti (e più di quelli pagati dal nostro Autodromo) ce ne sono. Il problema è il contrario: di Monza, senza F1, resterebbe ben poco. Il discorso è però molto semplice: sembra che di questo interessi solo agli appassionati e a chi tiene davvero ad un gran pezzo di storia delle corse. Nell’immaginario collettivo il Gran Premio d’Italia è unito a doppio filo a Monza. Non ci sono Imola né Mugello che tengano.
Non siamo noi, però, a poter fare qualcosa: siamo spettatori impotenti del solito spettacolino italiano, che come toglie in altri ambiti per il piacere di pochi, a questo giro sembra aver colpito qualcosa che ci tocca da vicino. Un anno fa, all’inaugurazione del Museo della velocità, veniva regalata la maglia che vedete in copertina.
Mi chiedo: chi ci credeva veramente, in una Monza forever? Purtroppo gli accordi non si fanno con le parole.
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