Prost, Vettel, Hamilton: quando quattro non è sempre… quattro

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
3 Novembre 2017 - 01:10
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Da una costola dell’articolo dell’altro giorno sul rapporto tra Vettel e i media, c’è un altro discorso che tengo a sviluppare e che tiene banco a sua volta da troppo tempo: si tratta del valore dei titoli mondiali. Con Hamilton giunto a quota quattro, voglio prendere in esame appunto i quattro mondiali dell’inglese, di Vettel e del Professore Alain Prost, i tre tetracampioni del mondo nell’attuale graduatoria di tutti i tempi.
L’aggiunta di Prost alla valutazione è importante per un motivo in particolare: la totale assenza di Internet e dei Social al tempo in cui i fatti si consumarono, ovvero nelle nove stagioni tra il 1985 ed il 1993 in cui il francese riempì la sua bacheca dei suoi quattro allori iridati.

I quattro di Lewis

Parto da Lewis Hamilton, l’ultimo ad arrivare a quota quattro. L’inglese, dopo aver sfiorato di un solo punto il titolo nella stagione d’esordio, il 2007, a favore di Kimi Raikkonen, si vendica con lo stesso distacco ai danni però dell’altro pilota della Ferrari, Felipe Massa. Conosciamo bene fatti ed episodi che hanno condizionato quell’anno: Massa perde una marea di punti tra il motore esploso a Budapest ed il rifornimento infausto di Singapore, durante l’esecuzione materiale del Crash Gate in Renault. Hamilton, per contro, sconta la penalità inflitta a Spa, ma la differenza tra gli episodi negativi dei due lascia intendere che il brasiliano sia stato il più penalizzato senza ombra di dubbio. 

Nel 2010 Hamilton è uno dei quattro pretendenti al titolo all’ultimo appuntamento di Abu Dhabi, ma il distacco da Alonso in vetta è di 24 punti: decisamente proibitivo. L’affidabilità preclude all’inglese di lottare fino in fondo anche nella stagione 2012, l’ultima al volante della McLaren prima del passaggio in Mercedes in sostituzione del ritirato Michael Schumacher. Giungiamo quindi al 2014, anno di rivoluzione con l’inizio dell’era ibrida in Formula 1. Mercedes ha lavorato più degli altri, meglio degli altri, e setta l’asticella delle prestazioni ad un livello irraggiungibile per chiunque. Per tre stagioni la monoposto di Brackley è indiscussa regina della Formula 1, quanto basta per lasciare le briciole agli avversari.
Tra 2014 e 2016, infatti, la Freccia d’argento lascia solo tre gare alla Red Bull nel 2014 (vinte da Ricciardo), tre alla Ferrari nel 2015 (vinte da Vettel) e due ancora alla Red Bull nella scorsa stagione, una conquistata da Ricciardo e una da Verstappen.

Hamilton vince il suo secondo titolo mondiale ad Abu Dhabi, ultima gara nel 2014, sul compagno Rosberg. Appuntamento nel quale va in scena il maldestro esperimento (subito bocciato) del doppio punteggio che, grazie ai guai del tedesco a Yas Marina, fortunatamente non incide sull’esito del titolo. Il 2015 è l’anno del terzo mondiale, quello nel quale Lewis fa davvero la differenza sul compagno andando a conquistare l’iride con tre gare di anticipo ad Austin. La vera sorpresa è invece costituita dal 2016, quando contro ogni pronostico Nico Rosberg diventa Campione del mondo ai danni dell’inglese con una stagione pazzesca soprattutto sotto il profilo mentale. Arriviamo ai giorni nostri, con il quarto alloro vinto contro la Ferrari e Sebastian Vettel. Hamilton trasforma la delusione del 2016 in forza e costanza e conclude una stagione senza sbavature: probabilmente la migliore da quando è in F1.

I quattro di Seb

Torniamo ora indietro di sette anni, 2010: Sebastian Vettel, dopo aver rischiato di vincere in rimonta su Jenson Button il titolo 2009 arrivando a soli nove punti di distacco dell’inglese, è il sospettato minore per la vittoria al titolo iridato. La Red Bull RB6 è la miglior macchina in griglia se parliamo di prestazione pura e la peggiore, tra i top team, per quanto riguarda l’affidabilità. Durante l’arco della stagione il tedesco lascia per strada decine e decine di punti per rotture, soprattutto mentre è in testa, oltre ad un paio di sbroccate in Turchia e a Spa. Il compagno Webber, più lento ma costante, mantiene la testa del mondiale fino a quattro gare dal termine, e si arriva ad Abu Dhabi per l’ultimo appuntamento con ancora quattro piloti in lizza per il titolo: i due Red Bull, Alonso e Hamilton, seppur al pelo. Vettel vince gara e titolo e diventa il più giovane titolato della storia.

Nel 2011 le cose cambiano in meglio per la Red Bull, che domina la scena in qualifica (16 pole su 19) e in gara, conquistando dodici delle diciannove corse disputate. Vettel vince il secondo titolo a Suzuka, con addirittura quattro gare di anticipo, e Webber giunge terzo in classifica alle spalle di Jenson Button.
Quello del 2012 è l’altro titolo del tedesco conquistato all’ultima gara. La Red Bull vince sette delle venti gare in programma e il mondiale si decide ad Interlagos, con Vettel costretto a rimontare dal fondo sul bagnato dopo esser stato speronato a poche curve dal via. Alonso è battuto per tre punti, Webber giunge sesto nel mondiale. Il titolo più “semplice” per Vettel è l’ultimo, quello del 2013. Il tedesco vince quattro delle prime dieci gare, ma poi infila una sequenza allucinante di nove vittorie di fila negli ultimi nove appuntamenti iridati. Il quarto ed ultimo alloro arriva in India, con tre gare di anticipo sulla fine della stagione.

I quattro di Alain

Balzo indietro di più di 30 anni. Alain Prost, dopo aver perso il titolo 1984 per solo mezzo punto nei confronti del compagno Niki Lauda, conquista il suo primo mondiale nel 1985 ai danni del nostro Michele Alboreto, approfittando anche dei cinque ritiri dell’italiano nelle ultime gare della stagione. Il francese della McLaren si ripete nel 1986: questa volta l’avversario è Nigel Mansell, e l’epilogo del mondiale ad Adelaide è noto a tutti. Lo scoppio della gomma posteriore sinistra della Williams del Leone, e la sosta ai box del compagno Piquet per evitare la stessa sorte regalano il secondo titolo di fila ad Alain. Il terzo alloro arriva tre anni più tardi, nel 1989, e ancora una volta l’episodio clou è scritto nella Storia del nostro sport. A Suzuka Prost stringe Senna all’ingresso della chicane finale mentre il brasiliano sta tentando l’affondo. Il contatto è inevitabile: Ayrton viene spinto dai commissari per ripartire tagliando la stessa chicane e viene poi squalificato con gioia del francese (e di Jean Marie Balestre, allora presidente della FISA, poi diventata FIA). Un anno più tardi, sempre a Suzuka ma questa volta alla prima curva ed al volante della Ferrari, Prost subisce la vendetta del brasiliano che lo sperona deliberatamente andando a conquistare il suo secondo titolo. La bacheca del francese si completa nel 1993: dopo un anno sabbatico, seguito al licenziamento da parte della Ferrari, Alain approda alla corte di Frank Williams. Al volante della fenomenale FW15C, già erede della FW14B di Nigel Mansell, la cavalcata trionfale si conclude in Portogallo a due gare dal termine. Solo alcuni lampi di genio di Senna posticipano la vittoria dell’ultimo titolo da parte del Professore.

Spazio ai numeri

Questi sono i fatti così come si sono susseguiti nel corso degli anni. Sulla base di tutto questo, e considerato quello che i Social hanno sfornato da quando sono parte integrante della nostra esistenza, mi viene da pensare che se il Professore avesse corso in epoca recente, vincendo i suoi titoli al tempo di Internet, quello che si direbbe di lui ora sarebbe ben diverso. Mi aspetterei, precisamente, una serie di “Di quattro mondiali ne ha vinto uno di culo, uno buttando fuori Senna e uno con la macchina più forte” a totale delegittimazione delle conquiste in pista. Eppure, ben poco si dice sul quattro volte titolato francese, per fortuna (sua) nato abbastanza presto per vincere quando ancora non si ragionava in questo modo. Nell’immaginario collettivo, infatti, i quattro titoli di Prost sono molto più “veri” di quelli di Vettel e Hamilton, anche perché conquistati contro gente del calibro di Alboreto, Mansell e Senna.

Ora vi propongo un grafico, realizzato dal caro Francesco Ferraro, che serve ad argomentare parte di quanto scritto fino ad ora. Per questa valutazione, che riguarda i cicli vincenti, lascio da parte Alain Prost, che ha vinto i suoi titoli con una certa distanza tra loro: il francese tornerà più tardi. Inseriamo invece il ciclo vincente Ferrari di inizio secolo per raffrontarlo con quelli Red Bull e Mercedes, gli ultimi due che abbiamo vissuto. Per quanto riguarda le Frecce d’Argento, non essendo terminato il mondiale 2017, ci siamo limitati a prendere in esame i dati fino al termine della scorsa stagione.

Quello che emerge e balza agli occhi a prima vista è l’errata valutazione di pancia che si fa dei titoli vinti da Vettel e dalla Red Bull tra 2010 e 2013. Su 77 Gran Premi corsi infatti il team austriaco ne ha vinti 41, vale a dire il 53% del totale. Forse per l’ultima striscia di nove vittorie filate del 2013, forse per aver vinto due titoli contro la Ferrari, ai tempi si diceva che il tedesco disponesse addirittura del pacchetto vettura + squadra più forte della storia della Formula 1. Da questo grafico si evince, però, tutt’altro relativamente agli altri due grandi cicli valutati. Il periodo d’oro della Ferrari, tra 2000 e 2004, ha visto infatti la Rossa conquistare il 67% dei Gran Premi corsi (57 su 85). Il dato che però sconcerta è quello riguardante la Mercedes, che si pone davvero come la squadra schiacciasassi per eccellenza dell’intera storia della Formula 1. Tra 2014 e 2016 a Brackley hanno portato a casa 51 successi su 59 disponibili, vale a dire l’86% di gare vinte sul totale. La supremazia si nota anche dal risultato in classifica delle coppie prese in analisi. Delle cosiddette seconde guide Ferrari e Red Bull, solo Barrichello è giunto due volte secondo in campionato, mentre Hamilton e Rosberg per arrivare terzi in classifica avrebbero dovuto letteralmente saltare gare intere vista la netta differenza di prestazioni rispetto alla loro concorrenza. Concludendo quindi questa prima parte riguardante i team, analizzando i semplici numeri si può dire senza troppi problemi che il ciclo Mercedes è per distacco il più forte della storia, seguito da quello Ferrari e da quello Red Bull.

Per quanto riguarda invece i piloti, c’è una netta differenza tra quello che è successo nella coppia Mercedes rispetto a quelle Red Bull e Ferrari. Michael Schumacher e Sebastian Vettel hanno infatti dominato nettamente i compagni di squadra: le percentuali sono dell’84% delle gare vinte dalla Rossa in favore di Schumi su Barrichello (48 contro 9 su un totale di 57) e dell’83% in Red Bull per quanto riguarda Vettel su Webber (34 contro 7 su 41). In Mercedes, invece, abbiamo un 61% di Hamilton contro il 39% di Nico Rosberg (31 contro 20 su 51). L’ultimo dato è sicuramente agevolato dalla superiorità tecnica mostrata rispetto agli altri due cicli, ma evidenzia quanto il tedesco sia stato più incisivo rispetto all’opinione pubblica nei suoi confronti. Prima della conquista del titolo, infatti, i pareri su Rosberg non erano distanti da quelli su Webber in termini di competitività rispetto al compagno di squadra, ma i dati mostrano un’altra verità.

Tornando ad Alain Prost per completezza, il Professore delle gare vinte dai suoi team (Mclaren e Williams) nei quattro anni titolati, ne ha portate a casa venti contro le dieci dei compagni che si sono alternati al suo fianco, per una percentuale ideale del 67%.

Le considerazioni

Dopo una bella sfilza di numeri e statistiche arrivo al succo del discorso. E il succo racconta che spesso tifo e media ti raccontano una realtà diversa da quella che si scopre leggendo i semplici numeri. Perché basta fare due somme e tre percentuali per capire che le storie di “Vettel tutto Red Bull e niente piede” ed “Hamilton the Hammer” sono giusto degli spot elettorali nati male e sviluppati peggio. Io stesso, quando ho recuperato i dati utili allo sviluppo del grafico, sono rimasto stupito dai risultati ottenuti. Perché per quanto abbia sempre cercato di dare il giusto peso ai giudizi dei tifosi e degli appassionati mi aspettavo numeri ben più vicini tra la Red Bull di Vettel e la Mercedes di Hamilton in termini di supremazia sulla concorrenza, proprio per quello che si è sempre detto e letto in giro.

Sicuramente credevo, sbagliando, che i risultati delle lattine fossero addirittura migliori di quelli Ferrari, pur avendo ben presente quanto fatto dalla Rossa. Questo perché l’opinione pubblica ha, alla luce del grafico, sempre considerato la Red Bull più forte (e Vettel più fortunato) di quanto non fosse in realtà. Perché? Per alleggerire la Ferrari del peso delle sconfitte nel 2010 e 2012, ad esempio, raccontando la storia della creatura di Newey come la vettura più forte di sempre quando, dati alla mano, ora sappiamo che non era proprio così. Ripeto, magari ci si è fatti fregare dal finale del 2013, quando Vettel ha portato via anche la tovaglia dopo le briciole, ma i numeri sono lì e parlano. Al contrario, un Hamilton che ora viene già lanciato dai media inglesi verso Fangio e Schumacher nel conto dei titoli mondiali esce leggermente indebolito dal confronto, prima di tutto per aver perso un titolo contro Rosberg, sempre considerato inferiore. Immaginate cosa si direbbe di Vettel o Schumacher se avessero perso un mondiale da Webber o Barrichello, ai quali lo stesso Nico è stato tra l’altro paragonato almeno fino al 2015.

Nel giudizio dell’opinione pubblica conta, ovviamente e come avevo accennato nel pezzo precedente, il personaggio e la sua mediaticità. Hamilton è uno showman fatto e finito. Sponsorizza prodotti, è alla moda, posa, è social, insomma è sul pezzo, sulla cresta dell’onda mediatica ed allineato con quello che i media vogliono per essere sempre sulla bocca di tutti. L’esatto contrario di Vettel. Riservato, totalmente ermetico nel proteggere la sua sfera privata, il perfetto esempio di testimonial che nessuno chiamerebbe nemmeno per sponsorizzare un pacchetto di caramelle. E questo incide, anche se non so dire quanto. 

In tutto questo chi ci guadagna è proprio Monsieur Prost. I suoi quattro titoli godono di considerazione massima e rispetto da parte di tutti. Alcuni episodi che hanno portato alla loro conquista, che ora verrebbero considerati da ipotetici haters macchie indelebili o motivi di delegittimazione e guerra da tastiera, non sono passati dal web e pertanto sentire oggi detrattori del francese è molto difficile. Forse è giusto così e forse anche Hamilton e Vettel, se avessero vinto quando tutto questo macello mediatico non esisteva, sarebbero stati considerati diversamente sia come persone che per i risultati ottenuti: senza invidie, invenzioni o stravolgimenti della realtà.

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Un Commento su “Prost, Vettel, Hamilton: quando quattro non è sempre… quattro”
LDG dice:

Con ciò, mi viene da pensare che forse l’idea del caro vecchio E di tener lontana la Formula 1 dai social non fosse poi così malvagia…

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