Parlare dei singoli piloti non è mai facile, che siano su due o quattro ruote, e la cosa diventa ancora più complicata per quei piloti di media-alta classifica sì efficaci, ma sempre a un passo dai “grandi”. Il loro mancato passo nelle posizioni di testa è magari dovuto a un “momento no”, a una situazione difficile all’interno del team o con il proprio compagno, o molto spesso per la mancanza di un mezzo degno con cui combattere per il podio. Quando si parla di Formula 1, in questa particolare lista ci possiamo inserire figure come Hulkenberg, Wehrlein, Grosjean e se vogliamo anche gente del passato come Michael Andretti o Roberto Moreno ma soprattutto quello che, a parer mio, negli ultimi anni ha costituito un caso più unico che raro: Sergio “Checo” Pérez. Perché ho deciso di trattarlo? Di certo il mio tifo quasi sfegatato per lui è un motivo importante, ma la sua carriera nella massima categoria merita secondo me una visione più da vicino.
Sergio, arrivato dalla GP2 dopo solo due anni di apprendistato nella categoria propedeutica, sembrava già promettere bene nel 2011 come possibile nuovo volto tra i protagonisti della Formula 1: oltre a essere veloce, si trattava di un pilota messicano (una rarità) che con i suoi ricchi sponsor avrebbe portato immagine e notorietà alla categoria più alta dell’automobilismo europeo, per la gioia della Sauber, di Monisha Kaltenborn e di quel diavolaccio di Bernie Ecclestone. Il suo debutto, aiutato anche da questo fattore, è abbastanza buono nel 2011 (anno in cui la F1 prende una nuova quanto terribile piega con le gomme Pirelli simili al chewing-gum) con la Sauber C30: 14 punti totali, anche se il confronto col giapponese Kamui Kobayashi è perso in questo suo primo anno. A dire il vero però il 2011 di Pérez sarà sempre ricordato per quella botta tremenda presa durante le Qualifiche a Monaco, che non gli ha permesso di disputare quel GP e quello a Montreal.
Sembrava ancora troppo presto per parlare di futuro campione, ma il 2012 sarà uno dei due anni cruciali della sua carriera attualmente in corso. Per quest’annata, la Sauber sforna la C31 spinta dal motore Ferrari, soprannominata dalla Gazzetta dello Sport “l’Ammazza Giganti” (e non sto scherzando): il nuovo mezzo si dimostra problematico nei tracciati lenti come Monaco, ma fa davvero rimanere a bocca aperta in quelli a basso carico come Spa-Francorchamps o Monza. E in questo secondo anno dove le gomme la faranno da padrone per decidere le vittorie, la vettura elvetica si dimostra tra le più gentili del lotto sulle Pirelli PZero. Pérez, sfruttando sia queste abilità della macchina sia le sue di pilota aggressivo ma anche capace di gestire gli pneumatici, centra il podio tre volte: a Sepang (2°) dopo un duello tra pioggia e umido contro Alonso addirittura per la vittoria, che gli sfugge purtroppo per un piccolo errore; in Canada (3°) superando proprio Alonso e Vettel nel finale; in Italia (2°), beffando il popolo Rosso Ferrari con i sorpassi proprio su Massa e Alonso nel finale, ponendosi in piazza d’onore dietro ad Hamilton.
Insieme ai podi si uniscono le prestazioni velocistiche mostrate nel resto della stagione da Checo, che lo faranno entrare in contatto con una squadra bella grossa…
Non la Ferrari, in cui era uno dei giovani più attesi nel vivaio della squadra italiana, ma dalla McLaren in cerca del sostituto di Hamilton, che gli offre un contratto più che meritato. E così, prima di Suzuka, il pilota di Guadalajara e la squadra di Woking trovano l’accordo quasi subito. E da qui sembra che le porte del successo siano spianate per il messicano: essere nella squadra che quell’anno aveva vinto più gare di tutti? Successo assicurato!
E invece nel 2013 per Pérez ci saranno cavoli non amari, amarissimi: a Woking proprio da quell’anno inizierà un periodo nero che si prolungherà fino ai giorni nostri, a livello sia d’idee che di partnership fallimentari. Il primo passo falso lo si fa con una vettura, la MP4-28, con cui si adottano scelte totalmente opposte a quelle della 27 per andare a rivaleggiare con Ferrari e Red Bull. Il risultato? Durante le venti gare disputate nell’intero campionato, né Pérez né il caro Jenson Button riusciranno a salire mai sul podio, ottenendo come migliori risultati rispettivamente un 5° e un 4° posto. Ma il problema più grosso per Pérez non è dato tanto dalla vettura sottotono, ma proprio dalla situazione interna del team con cui non si trova.
I problemi peggiori avvengono in primis col compagno Button, che doveva fungere da riferimento per Checo e con cui invece si ritrova tante, troppe volte a battagliare col coltello tra i denti come in Bahrain e soprattutto a Monaco, dove scattano due autentici putiferi. Facendo valere il suo peso di ex-campione nella squadra, Button non ci ha pensato molti mesi prima di farsi preferire in qualche maniera da Ron Dennis, ricacciando Pérez a pedate da dov’era venuto, cioè nei team di seconda fascia. Il 2013 anche sfortunatissimo di Pérez è stato così cruciale quanto il 2012, annullando così dalla testa di tutti qualsiasi cosa buona fatta dal messicano in Sauber.
Questa situazione di Pérez la possiamo paragonare un po’ a quella di Kvyat dell’anno scorso, dov’è stato retrocesso duramente alla Toro Rosso dalla Red Bull. Pérez si dovette invece accontentare della Force India nel 2014, all’inizio dell’era ibrida. Sembrava la fine prematura di una possibile splendente carriera… e invece il messicano non si arrende anche in questi anni difficili post-McLaren: con la piccola squadra anglo-indiana nei successivi tre anni tornerà di nuovo sul podio, con quattro terzi posti nel corso delle tre annate. Soddisfa maggiormente, a livello di grossi risultati, anche rispetto al ben più quotato Nico Hulkenberg che lo affianca e che nel 2015 vince la 24h di Le Mans: il tedesco lo batte “ai punti” nel 2014 ma è relegato per ben due volte dal messicano nelle due annate successive. E consapevole dell’alto livello di cui dispone la Force India nonostante i mezzi economici scarsissimi, Pérez resta anche per il 2017 preferendola alla Renault.
Il 2017 è storia nota: oltre a soddisfare ancora a livello di risultati, Sergio deve affrontare un nuovo compagno-rivale, cioè il francese Esteban Ocon che, diciamocela tutta… non gliela sta rendendo per nulla facile. Basta vedere ciò che gli ha combinato a Baku pur di sorpassarlo. La loro è una sana rivalità tra giovani rampanti, quindi non so voi, ma la sto apprezzando molto; sono cose che comunque fanno bene alle gare automobilistiche, le rivalità tra compagni.
Tornando a parlare esclusivamente di Pérez, la mia viva speranza è quella che il messicano abbia una monoposto competitiva per l’anno prossimo, che sia color confetto per la livrea Force India o meno. Come già più volte detto dagli altri membri di P300, impressiona davvero come la Force India, con il budget risicato che ha, riesca a essere comodamente la quarta forza in gioco e persino a competere per essere la terza contro la Red Bull. Una situazione, quella di Pérez nata proprio da quel 2013, che gli è costata veramente carissimo a livello di credibilità per i team più forti e che, avendo abbandonato l’Academy Ferrari, non gli ha permesso di ritornare sui suoi vecchi passi accanto al Cavallino Rampante. Ad oggi di sedili disponibili nelle tre squadre più importanti non sembrano essercene, se non forse quello del solito Raikkonen a rischio sedile perenne e quello di Hamilton, al quale però il pilota di colore non rinuncerà affatto facilmente a meno di cataclismi.
Come ultima parte dell’articolo, faccio un semplice incitamento a Pérez: da suo tifoso, gli vorrei dire di tenere duro. La situazione, conoscendo la sua classe, è dura, ma il campione vero sa trarre il massimo anche da questo genere di casi, cosa che tra l’altro lui ha già fatto in questi tre anni, anche rischiando più del dovuto c’è da dire. Sergio ha avuto anche chi gli ha remato contro nella sua carriera, ma se c’è un momento in cui non deve mollare è ora, ora che le acque del mercato piloti si stanno muovendo. Sigue asì, Pérez!
Fonte immagine: Internet (per segnalare il copyright info@passionea300allora.com)
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