Brembo

Perchè è giusto ricordare Roland Ratzenberger

di Alessandro Secchi
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Pubblicato il 30 Aprile 2013 - 18:15
Tempo di lettura: 3 minuti
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Perchè è giusto ricordare Roland Ratzenberger
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Ogni anno, dal 1994, si giunge ad un periodo dell’anno, questo, che porta alla memoria di chi seguiva la F1 una ventina d’anni fa il weekend più brutto che questo sport possa ricordare. Imola 1994.

Basta nominarlo. Imola 1994. Chi lo conosce, sa. Chi l’ha vissuto, dal vivo, in televisione come me, chi in qualche modo c’era non può non sentire un brivido correre lungo la schiena soltando al nominare quell’evento.

Un brivido misto a tristezza, commozione e rabbia. Solo pochi giorni fa, il 25 Aprile, cadeva il triste anniversario della scomparsa di Michele Alboreto. Protagonista anche lui, suo malgrado, di quella sciagurata Domenica 1° Maggio.

Avevo 11 anni. Ci sono tante cose che non rammento di quel periodo. Con il passare del tempo i ricordi si annebbiano, dopo quasi 20 anni i flash diminuiscono e rimangono impressi solo i più vivi.

E tra quei ricordi ce n’è uno, indelebile, che credo mai potrò dimenticare. E’ lo stacco di telecamera che inquadra quello che rimane di una monoposto nera e viola, sbriciolata pochi secondi prima, scivolare lungo l’erba che precede la curva della Tosa, per poi fermarsi girando su se stessa. E’ la Simtek numero 32, di Roland Ratzenberger. E la cosa più sconvolgente di quel ricordo è quel casco bianco e rosso che rotola inanimato, seguendo il volteggiare dei resti della vettura, sui bordi dell’abitacolo, fino a fermarsi senza più cenni di vita.

Credo di aver capito, in quel momento, di aver visto morire un uomo per la prima volta, in diretta. Non fu bello, per niente. Anni fa, in altre sedi, dissi che non esistono morti di serie A e morti di serie B. Per i cari, la scomparsa di qualcuno è sempre di serie A, indipendentemente da tutto.

Ricordo di aver visto morire un uomo, prima che un pilota. Non sapevo nulla di lui. D’altronde, a 11 anni,  facevo fatica a riconoscere la metà dello schieramento. Ratzenberger guidava una delle due vetture più lente del lotto, con la Pacific. Il gioco della vita fece sì che così come se ne andò lui, l’ultimo arrivato, il giorno dopo fu il primo della classe, Ayrton, a lasciare tutti travolgendo e catalizzando l’attenzione del mondo intero. Offuscando, di fatto, la scomparsa di Roland.

Ed è per questo che mi piace ricordare, ogni anno, Ratzenberger nel giorno della sua scomparsa. Perchè l’enorme differenza tra lui e Ayrton sul piano sportivo non deve cancellare ciò che in comune, questi due ragazzi, avevano. La loro età: entrambi classe 1960, 21 Marzo Ayrton, 4 Luglio Roland. Entrambi con la passione per la F1. Risultati pazzeschi per Ayrton, i soldi necessari a correre 5 gare per Roland. Accomunati nel lasciare tutti nello stesso weekend, morendo della propria passione.

E’ giusto ricordare sempre Ratzenberger perchè di fronte alla morte le vittorie non sono niente, a mio modo di vedere. Chi muore della propria passione merita sempre rispetto, indipendentemente dai risultati ottenuti, i sacrifici fatti, il percorso svolto per arrivare a viverla.

Forse la sua carriera in F1 sarebbe terminata dopo cinque gare senza arte nè parte, ma Ratzenberger era uno di loro, quelli che guardiamo la domenica pomeriggio. Anche se, forse, era uno ‘scarso’. Ma è anche a lui che penso quando dico che anche il pilota che può sembrare, appunto, più scarso, merita tutto il rispetto di questo mondo. Perchè intanto loro sono lì e noi su un divano, il loro sedere a 300 all’ora e il nostro a 60 centimetri. Da terra, fermo.

Trovate le differenze.

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