Pagelle del Gran Premio d’Italia 2013

F1GP ItaliaGran PremiLe Pagelle
Tempo di lettura: 16 minuti
di shalafi81
13 Settembre 2013 - 14:02
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Molto più lenti delle Marussia sul rettilineo del traguardo di Monza, molto meno sensati di certa fauna bizzarra intravista nella zona vip del circuito brianzolo, estremamente meno seri di quello che scrivono quelli bravi, rieccoci con i consueti sproloqui sul Gran Premio più veloce dell’anno. Monza consegna virtualmente il titolo a Sebastian Vettel, che domina ammazzando le residue speranze degli inseguitori nel mondiale, a partire da un Alonso mai domo che si prende un secondo posto di cattiveria pura. Buona lettura!

Sebastian Vettel: 9 – Non gli diamo il massimo dei voti perché stavolta pare davvero -nonostante veri o presunti problemi al cambio- guidare con un braccio fuori dal finestrino. Ne aveva di più, semplicemente. Di chiunque altro. Spaziale al sabato, un po’ impreciso al via ma -una volta uscito indenne dalla prima curva- saluta la compagnia e se ne va senza patemi di sorta a conquistare la vittoria che presumibilmente chiude i giochi di un mondiale che ha oramai ben poco da dire, salvo cataclismi astrolunari tanto improbabili quanto -a questo punto- francamente ingiusti nei confronti del biondino della Red Bull. Non sbaglia nulla, ancora una volta. Ed appare in simbiosi completa con una vettura che nelle sue mani mette davvero le aaali. Poco altro da aggiungere, se non che la bordata di fischi che becca sul podio ci pare l’ennesimo autogol del nostro provincialissimo e culturalmente arretrato paese. Non se li meritava. Certe cose sarebbe meglio restassero confinate in altri sport. Superiore [a tutto].

Mark Webber: 6 – A questo punto la sua carriera ha oggettivamente davvero ben poco altro da dire. E si vede lontano un miglio che la motivazione è in calo. Resta comunque un signor professionista. Il sorpasso che subisce da Alonso non si trasforma in incidente solo perché entrambe le parti in causa sono dei grandi con la G maiuscola. Lo spettacolo e gli spettatori ringraziano. Il suo box lo riporta davanti a Massa dopo la sosta e da lì trotterella più o meno stancamente fino al traguardo. Con molta onestà ammette che il danno all’ala anteriore non influisce sul suo mancato attacco allo spagnolo. E se lo dice lui non si capisce perché non dovremmo crederci. Ultima apparizione a Monza sul podio. A una vita e mezzo di distacco da Seb ma comunque al terzo posto. E soprattutto l’unico a parlare fuori dai denti sottolineando l’inopportunità dei fischi al vincitore. Che per inciso sopporta a malapena. Il sei potrebbe anche starci, ma nulla più. Stanco.

Fernando Alonso: 9 – Teso come una corda di violino, a torto o a ragione non sta a noi dirlo, per l’ennesima volta è tutt’altro che irresistibile in qualifica ma spietato in gara. Ma oramai ci ha abituati così. Al via è una furia, scatta in maniera mirabolante ma non riesce a concretizzare lo spunto passando Webber. Poco male. Si rifà dopo qualche giro con una manovra a dir poco fantastica sull’australiano, all’esterno alla Roggia. Bravissimi entrambi, chapeau per Fernando. Si libera poi di Massa e tenta senza successo l’attacco all’imprendibile Vettel. Chiuderà secondo, e le polemiche sulla strategia Ferrari lasciano un po’ il tempo che trovano. Manca il massimo dei voti per la qualifica opaca. Ma per il resto tira fuori, as usual, il massimo da un mezzo che oggi non vale la vittoria. Mastino.

Felipe Massa: 8 – Orgoglio puro. Per salutare al meglio il popolo Ferrarista nel suo ultimo GP d’Italia in rosso si inventa una qualifica da paura e una gara solida, tosta e concreta, nella quale avrebbe forse meritato di più. Dove per ‘di più’ intendiamo il gradino più basso del podio, conquistato invece dal cangurone della Red Bull. Ma va bene così. Certo, ti viene da chiederti perché in occasioni particolari vada così forte mentre in altri fine settimana reciti la parte della temperatura minima di Campobasso, Non Pervenuta. Il ragionamento è complesso. L’abbiamo già fatto più volte. La sostanza è che Felipe non è un Campione, ma nemmeno un Fermo. Ha bisogno di sentire attorno a sé la fiducia incondizionata della squadra per andar forte. E diciamo che non è sempre stato così, negli ultimi anni. Non è un alibi, sia chiaro. E’ un tentativo di spiegazione. Vedremo se dal prossimo anno saprà ricostruirsi una carriera. Per intanto bravo. Il sigillo Monzese c’è piaciuto. Orgoglioso.

Jenson Button: 7 – La McLaren non c’era, proprio per niente. Non tanto in prova quanto in gara. Ma il Maestro, di riffa e di raffa, ancora una volta -e non è una novità nemmeno questa- riesce a issarla in posizioni non dico nobili ma quantomeno accettabili. E dire che l’inizio della corsa non si era nemmeno messo benissimo. E che la sua vettura in rettilineo pagava parecchi km di velocità rispetto agli avversari diretti. Ma poi di strategia e d’esperienza riesce a tornar su e a conquistare un bel punticino in grado di far allungare -seppur di poco- gli Woking Boys sulla Force India. Si vive anche di soddisfazioni effimere. E in un anno buttato via, come questo, bisogna attaccarsi a questo. Sperando che il prossimo sia diverso. Di certo una cosa va sottolineata: in un anno così disgraziato mai una parola fuori posto, mai un gesto di stizza o una polemica interna. E stiamo pur sempre parlando di un campione del mondo, signori. Gentleman.

Sergio Pérez: 7 – Non merita meno di JB. Primo perché al via viene falciato dalla furia [???] di Räikkönen, va lungo e perde tempo e posizioni. Secondo perché la sua sosta è lenta e lo fa finire ancora più indietro. E con una McLaren che sul dritto non ha velocità, risalire diventa impresa improba anzichenò. Che infatti non gli riesce. Ma in questo caso non è colpa sua, lui anzi ci mette impegno e buona volontà per provare a tirar fuori il massimo da una vettura disgraziata. Lo testimonia l’ottima qualifica, davanti anche al caposquadra. Ma di miracoli in questa F1 non se ne fanno, se non raramente. E non era la sua giornata. Ad maiora. Abbattuto.

Kimi Räikkönen: 5,5 – Ci spiace bocciarlo, ma stavolta non ne possiamo proprio fare a meno. E se la sua rimonta è stata spaziale, questo non fa che acuire il senso di incompiuto di un weekend che poteva e doveva essere migliore. Tampona Pérez al via, ci rimette l’ala anteriore, deve fare un giro lento, sostituirla e -di conseguenza- condannarsi ad una strategia sulle due soste. Recupera bene, con rabbia, a tratti è il più veloce in pista, e dà spettacolo con una marea di sorpassi grintosi e di classe. Ma questo non basta a riportarlo in zona punti: chiuderà undicesimo, negli scarichi della McLaren di Button. Peccato. Ma l’errore è solo suo. Ci sta, capita, intendiamoci. Ma non possiamo permetterci di promuoverlo, seppure a malincuore. Regala un grande momento quando l’ineffabile Giovannelli, a fine gara, gli fa i complimenti per la bella rimonta e lui risponde secco «Do you really think I’m happy?», ovvero «Ma tu pensi sul serio che io sia contento?». E’ sempre il numero 1. Lapidario.

Romain Grosjean: 6 – Non aveva il passo di Räikkönen, in gara. E allora sceglie di barcamenarsi cercando di stare lontano dai guai. A combinarli, per una volta, ci aveva già pensato il suo illustre caposquadra. Il mondo va a rovescio, davvero. E’ pur vero, a dirla tutta, che la Lotus non aveva certo la velocità per arrivare a podio. Ma chiudere ottavo, cinque secondi davanti al tuo compagno di squadra che a inizio gara ha perso più di mezzo giro per l’incidente al via… beh, forse dà un nuovo significato al concetto di gara conservativa. Si può dare di più, gli avrebbero cantato Tozzi, Morandi e Ruggeri. Forse. Ragion per cui la sufficienza non gliela neghiamo -in fondo qualche punticino in saccoccia ce l’ha messo lo stesso- ma ci guardiamo bene dall’andare oltre. Pigro.

Nico Rosberg: 7 – Ed eccone un altro di quelli che sceglie di portare a casa il risultato senza diventar scemo a cercare di inventare un qualcosa che non avrebbe comunque funzionato. Parte sesto, chiude sesto, fa il compitino diligentemente, gira regolare senza particolari patemi d’animo tanto che non escludiamo che anche la sua crew a tratti se lo sia dimenticato, intenta a seguire la bella rimonta di Hamilton. Ma ci stanno anche gare così, in fondo. Ci sta difendersi quando si è in difficoltà, attaccare quando se ne ha l’occasione e galleggiare quando non si è in nessuna di queste due condizioni. E merita rispetto, il suo weekend monzese. Perché in qualifica non fa l’errore di Hamilton e perché i punti pesanti li porta a casa lui. Per cui bene, bravo, e appuntamento a Singapore, dove qualche anno fa -vi ricordate la storia del crashgate?- ottenne un terzo posto mica male. Tranquillo.

Lewis Hamilton: 7 – Ci sono weekend che nascono male e finiscono peggio. La sua Monza parte malissimo con l’harakiri in qualifica, dove manca l’accesso alla Q3. E prosegue peggio quando prima rimedia una foratura, che lo costringe a una fermata prematura e supplementare, e poi lo lascia a piedi pure la radio, facendolo correre al buio, una gara d’altri tempi. Tre sfighe, di cui solo una imputabile a Lewis, che avrebbero steso un bufalo. Ma non lui. Che grazie alla proverbiale velocità sul dritto della Mercedes e all’altrettanto proverbiale caparbietà dell’inglese recupera fino ad un insperato nono posto, negli scarichi di Grosjean. E con un giro in più forse avrebbe anche potuto guadagnare un’altra posizione. Monumentale. Anche nell’assumersi le proprie responsabilità per la terribile qualifica. Chiaro che la grandissima gara non cancella la bruttura del sabato. Per cui, calcolatrice alla mano, 5 al sabato più 9 alla domenica fa 14, che diviso per due fa 7. Tosto, come sempre.

Nico Hülkenberg: 9,5 – Provocatoriamente -ma neanche tanto- gli assegnamo il voto più alto di tutti. Perché il terzo posto in qualifica e il quinto in gara, dietro solo alle imprendibili Red Bull e Ferrari e davanti alla Mercedes di Rosberg, per dire, la dicono lunghissima sul weekend in stato di grazia del biondino tedesco. Che disintegra nel confronto il compagno di squadra, a dimostrazione che c’è tantissimo di suo nel miglior risultato stagionale per la Sauber 2013. Unico neo la partenza, dove scatta lento e si fa fregare dalle due Ferrari. Ma per il resto è semplicemente magico, considerando il mezzo a disposizione. Tanto che chiude ad una decina di secondi appena da Vettel. Che sia il ritorno dell’Incredibile Hülkenberg? Glielo auguriamo. Per il momento ci godiamo una prestazione d’altri tempi. Mitologico.

Esteban Gutierrez: 4,5 – Le attenuanti ci sono, e gli valgono un mezzo punticino in più. Ma parlano i numeri. Se il tuo vicino di garage parte terzo e chiude quinto, tu NON PUOI permetterti di partire sedicesimo e di arrivare tredicesimo, in una gara dove non hai avuto incidenti o problemi particolari. Beccare più di trenta secondi dal tuo compagno in una pista come Monza, oggettivamente molto meno complicata di tante altre in calendario, significa che non c’eri proprio per niente. Okay, hai una bella valigia. Okay, qualcosa di buono in passato l’hai fatto. E okay, pure quest’anno qualche sprazzo velocistico l’hai fatto vedere. Ma una sberla come quella rimediata a Monza cancella tante, tante cose belle. Speriamo sappia rifarsi sin da Singapore. Ne va del suo futuro, crediamo. Anche se con la valigia. Massacrato.

Paul di Resta: 4 – Pronti-via ed è subito out, alla Roggia. Sbaglia la frenata e frana addosso al mucchio selvaggio. In una gara dove ok, la Force India a posteriori ha dimostrato di non esserci. ma che diamine! Irruento.

Adrian Sutil: 6 – Se Atene piange Sparta non ride affatto. Questo perché la vettura di Mallya arriva a Monza in uno stato di pesante involuzione tecnica. E i piloti possono farci ben poco. Se non, come nel caso di di Resta, spaccare tutto. ma questa è un’altra storia. La qualifica è una delle peggiori dell’anno. Il via è così così. Il resto della gara prosegue nel più perfetto anonimato, a tratti addirittura dietro Gutierrez. E dopo un’ora e passa di sofferenza, a pochissimi km dalla fine, pure la beffa del ritiro per un sospetto problema ai freni. Dopo tutta la faticaccia nemmeno la soddisfazione del traguardo. Che, intendiamoci, non avrebbe cambiato chissà che. ma se dovevo ritirarmi -pare dire il tedesco a fine gara- sarebbe stato più carino farlo subito, rinunciando a patire senza costrutto sui lunghi rettilinei. Ma, appunto, se Atene di Resta piange Sparta Sutil non ride. Alla prossima. Beffato.

Pastor Maldonado: 6,5 – Dura trasformare una zucca in carrozza. Figuriamoci un ferro da stiro in una macchina da F1. Competitiva, peraltro. E infatti il buon Pastor non ce la fa. Ce la mette tutta, tanto da essere tecnicamente inattaccabile. Si qualifica discretamente, poi al via scatta così così e perde quanto ottenuto in qualifica. E da lì in poi corre in relax, tenendo a debita distanza il compagno di squadra fino alla bandiera a scacchi, che vedrà in quattordicesima posizione, la stessa da cui era scattato al via. A Monza è complicato inventarsi qualcosa. Lui non lo fa. Ma onestamente non sarebbe nemmeno stato giusto chiederglielo. O no? Non fa danni. Non sbaglia. Nulla da rimproverargli. Sereno.

Valtteri Bottas: 6 – Fatica un po’ in qualifica, ma tanto non c’è problema perché la gara rimette gli equilibri a posto. E gli equilibri dalle parti di Grove dicono che non va mica tanto bene. La macchina continua a non andare, si adatta a Monza come una taglia 38 a Platinette, e di lì l’unica conseguenza possibile è una gara anonima e nelle retrovie. Valtteri si accoda sin da subito a Maldonado, lo segue e non fa altro che attendere, diligentemente, la bandiera a scacchi. Tenendo a distanza -ma non così tanta- le due Caterham, le uniche in grado di impensierirlo. Ecco, forse questo è il dato più significativo dello stato di forma della Williams sui rettilinei monzesi. E non c’è dunque da stare allegri. Quanto al finlandese, anche qui nulla da rimproverare. Anche se è sempre difficile capire dove finiscano i limiti della macchina e dove inizino quelli tecnici dei piloti, su sviluppo e indicazioni. Ma non è questa la sede per pontificare. Placido.

Jean-Eric Vergne: sv – Per una volta efficace anche in qualifica, dove pur prendendole da Ricciardo riesce a entrare in Q3, scatta bene al via e mantiene la posizione controllando Button finché la sua Toro Rosso non butta le aaali a terra e non si ferma. Motore. No. Trasmissione. Quel che è stato è stato, in ogni caso peccato, e scusate la rima. Avrebbe potuto far bene. Bloccato.

Daniel Ricciardo: 8 – Oramai guida sulle aaali dell’entusiasmo [della Red Bull, ovviamente] e non lo ferma più nessuno. Sembra essersi liberato di un peso, finalmente, e ora che non è più sotto esame si trova nelle condizioni psicologiche migliori per un pilota e guida con serenità tirando fuori il meglio dalla vettura. Qualifica splendida, gara costante nelle posizioni che contano, settimo posto finale davanti alla Lotus di Grosjean e alla Mercedes di Hamilton. Mica male, il nasone. Che da qui alla fine dell’anno -secondo noi- avrà modo di togliersi altre belle soddisfazioni. Libero da pensieri e scarico da tensioni aggiuntive. Il prossimo anno sarà tutta un’altra faccenda, ok. La convivenza con Vettel, la pressione di guidare la vettura Campione del Mondo, e via discorrendo. Ma anche l’opportunità della carriera, quel treno che raramente passa, per un pilota. In bocca al lupo. E bravo. Entusiasta.

Charles Pic: 7,5 – Tutto sommato fa una gran corsa. Perché per metà gara tiene allegramente il passo di Bottas, che per carità guida una Williams e non una Red Bull, ma che ha comunque una macchina ben più performante della sua. La Caterham sceglie stranamente una strategia sulle due soste che gli consente una condotta aggressiva e gli permette di non doversi preoccupare troppo del consumo delle gomme. E lui, lo ammette, si diverte. A fine gara rallenta e si gode il paesaggio, conscio di aver comunque tirato fuori il massimo dalla vettura. E ha ragione. Per l’ennesima volta guida la muta degli ultimi. Chi vi scrive sarebbe davvero curioso di vederlo all’opera su una monoposto vera. E’ veloce. Intelligente. E raramente sbaglia. Secondo noi è un pilotino su cui varrebbe la pena investire. Bravo.

Giedo Van Der Garde: 7 – Un’altra bella gara, per l’olandese. Quando non combina casini andrebbe anche forte. Quantomeno in determinate condizioni. E siccome qui si valuta l’appuntamento monzese, bisogna riconoscere che il weekend fila via senza intoppi di sorta. Parte male ma passa subito Bianchi. Quindi tiene il passo di Pic per il primo stint, poi un’incomprensione col suo box lo fa finire di nuovo dietro all Marussia più veloce [bell’ossimoro, vi piace?], che ripassa con autorità. E da lì si accontenta di seguire a distanza il francese compagno di squadra, senza più provare a raggiungerlo, conscio che avrebbe molto di più da perdere che da guadagnare. Dimostrando intelligenza e capacità di accontentarsi. Gara positiva, dicevamo. E lo premiamo con mezzo voto in più. Così. Sveglio.

Jules Bianchi: 6 – Gara tutto sommato sottotono, stavolta. Non che gli si chiedesse chissà cosa, intendiamoci. Guida pur sempre una Marussia. Ma l’impressione è che a Monza non si sia strappato i capelli per cercare di spremere il massimo dalla vettura. E’ pur vero che sui lunghi rettilinei monzesi c’è poco da inventarsi. Ma la sensazione resta. Parte bene e passa le due Caterham. Che lo risuperano nel giro di un amen. Da lì corre di conserva -ah… Poltronieri…- fino alla bandiera a scacchi, in tandem con Chilton, che lo segue come un’ombra per tre quarti di gara. Nel finale guadagna qualcosina su Van der Garde, ma in realtà è l’olandese che rallenta, non lui a spingere. Ordinaria amministrazione, dunque. Che misuriamo con un bel sei politico e nulla più. Oggi va così. Pazienza. Riposato.

Max Chilton: 7 – Lui invece lo premiamo, stavolta. Perché per una volta tiene agevolmente il passo di Bianchi, che di solito ha ben altri ritmi rispetto ai suoi. Lo segue come un’ombra, un paio di volte azzarda pure manovre di disturbo, cercando di indurlo all’errore. Roba da matti. Certo, anche qui va detto che la pista di Monza non è certo la più selettiva a livello di pilotaggio, è anzi una di quelle che livella maggiormente le prestazioni tra compagni di squadra. Eppure è bello vederlo attaccato a Jules, lottare, sgomitare, almeno per buona parte della gara. Poi arrivano quelli forti, quelli bravi, a doppiarlo. E lui, diligentemente, si scansa per farli passare in maniera a volte esagerata, perdendo tempo e staccandosi dal più scafato Bianchi. Ma va bene così. Per una volta si toglie la soddisfazione di viaggiare sui tempi di uno che di solito non vede se non col cannocchiale. Mica poco, da queste parti. Grintoso.

Manuel Codignoni
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