Pagelle del Gran Premio di Germania 2013

F1GP GermaniaGran PremiLe Pagelle
Tempo di lettura: 24 minuti
di shalafi81
10 Luglio 2013 - 09:00
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Ruote che saltano, macchine che attraversano in retromarcia il rettilineo, mescole che cambiano, pit stop modello ere geologiche, frizzi lazzi e cotillons. Ma all’ombra della mitica Nordschleife, l’Inferno Verde, la certezza si chiama Sebastian Vettel, che domina una gara ostica e spicca il volo nel mondiale. Dietro di lui la coppia Lotus, con un Grosjean rinato, tiene dietro la Ferrari di Alonso e la Mercedes di Hamilton, che sembra ripiombata nell’incubo targato Pirelli. In recupero le Mclaren, c’è gloria anche per la Sauber che con Hülkenberg strappa un punticino. Buona lettura!

Sebastian Vettel: 10 – Obietterete che, invecchiando, stiamo diventando un po’ di manica larga, che dispensiamo dieci a destra e manca e che siamo oramai diventati troppo buoni. Magari avete anche ragione, per carità. Non è mai facile essere giudici di se stessi [nemmeno degli altri, se è per questo, ma lì almeno la componente del distacco quantomeno fisico aiuta anzichenò] e con l’età si tende, oltre che al catetere, anche all’indulgenza. Tuttavia, in questo caso, difenderemo il dieci al tedeschino di Heppenheim con le unghie e con i denti, e anche con la spada, se necessario. Pronti alla punga. Perché al ‘Ring oggettivamente non è stato per niente facile o scontato portare a casa il bottino grosso. Soprattutto in virtù di una Lotus particolarmente -e sorprendentemente, viste le polemiche della vigilia- a suo agio e veloce. Il limite è una linea sottile. Come quella che delimita il range di utilizzo di queste strampalate gomme 2013. O il loro rendimento. Un pelino più in qua e sei lento. Un pelo più il là e sei fuori gioco, sulle tele senza nemmeno accorgertene. Lui si gestisce alla grande tra la voglia di spingere e il bisogno di controllare. Cattivo quando serve, nel liberarsi di doppiati o vetture su strategie diverse, ma mai oltre quella labile linea che delimita il successo dal disastro. E alla fine, con un Räikkönen che oggettivamente ne ha di più, amministra saggiamente tenendo a bada il finlandese fin sotto la bandiera a scacchi. Fosse durata altri due giri non ce l’avrebbe fatta. Ma sta proprio qui la grandezza: morire bisogna, diceva qualcuno, dunque morir sani è da stupidi. Spremere le gomme in modo tale che oltre la bandiera a scacchi non ne resti più niente è IL capolavoro. Prende il volo nel mondiale. E senza la fine delle trasmissioni a Silverstone -della quale non ha colpe- parleremmo già di mondiale finito. In certe condizioni è pressoché imbattibile. Auguri [a chi pensa di fermarlo].

Mark Webber: 9 – Roba da matti. E meno male che non si è fatto troppo male nessuno, a quanto pare. Certo è che in un ipotetica hit parade delle sfighe qui saremmo a livelli tali da competere con il miglior Paolino Paperino o con il ragionier Ugo Fantozzi più ispirato. E dire che per una volta -incredibile ma vero- era pure partito benissimo, scavalcando Lewis Hamilton e installandosi alle spalle del caposquadra Vettel. Poi la prima sosta, la ruota che non entra, il segnale di ripartire, la ruota che si stacca, vola impazzita per la pitlane colpendo un incolpevole operatore della FOM -chissà se Bernie Ecclestone si sarà informato sulle sue condizioni- e la sua Red Bull modello triciclo riportata indietro ai box dai meccanici che impiegano due minuti e mezzo a rimandarlo in pista, facendogli perdere un giro e mezzo. La safety car lo rimette nel giro del leader, e lui lotta come un leone ferito -quale effettivamente dà l’impressione di essere- risalendo, in pista, fino alla settima posizione finale. Fatica oltremodo con la Sauber modello missile in rettilineo di Gutierrez ma il sorpasso all’ultima tornata ai danni della McLaren di Pérez, oltre ad una posizione, gli vale un ulteriore mezzo voto in più. Senza patatrac -visto quanto è parso a suo agio- si sarebbe giocato forse anche qualcosa in più del semplice podio. Peccato. Di certo -ripetiamo- lo vedi correre così e pensi “che peccato che a fine anno lasci”. Motivazioni e attributi sono intatti. E alla sua età non è poco. Roccioso.

Fernando Alonso: 7,5 – A questo punto è chiaro che Nando il profeta, Nando il Fenomeno, Nando il Gaucho [avete visto che razza di baffi si è fatto crescere?], Nando I° il Grande, ha un evidente problema con le qualifiche. Perché finisce di nuovo dietro il vituperato Felipe Massa e non possono essere solo coincidenze. Per carità, problemi di questo tipo ce li ha anche il box capitanato da Mister Sundays [altresì detto La Volpe del Muretto], perché chi vi scrive continua a ritenere una genialata ai limiti del paranormale l’idea di qualificarsi con gomme dure. A quel punto tanto valeva restarsene al box, così almeno al via ce le avresti avute nuove. E invece parti con gomme usate, devi fermarti prima e di fatto vanifichi il vantaggio ipotetico di scattare sì da dietro ma con le gomme più costanti. Da Oscar. Altro che Ben Hur. Fernando si rende subito conto, dell’errore, tanto che lo vediamo abbastanza nervoso dietro al volante. Ne è riprova, ad esempio, il lungo che caccia una volta uscito dai box. Non da lui. Parte così così, fatica a liberarsi di Hamilton in piena crisi di gomme, e quando inizia ad andar forte è oramai troppo tardi per ottenere più di un quarto posto finale che -viste le aspettative della vigilia- non è granché. E che sarebbe peraltro stato un quinto, senza i casini di Webber. Fa segnare il giro più veloce, segno che la macchina in qualche modo c’era, anche se non da primato. Ma, ripetiamo, l’impressione è che sia mancata un po’ di lucidità. Dal box e da parte sua. Nervoso.

Felipe Massa: 4,5 – Un voto in più -anzi mezzo, non esageriamo- per essersi qualificato davanti al caposquadra e per esser partito meglio dello spagnolo. Ma non puoi buttare alle ortiche tutto per l’ennesima volta dopo appena 4 giri. Non puoi, semplicemente. L’uscita è strana, ok. Ma -in mancanza di altre spiegazioni- la spiegazione più plausibile resta quella dell’errore. E non gli evita il votaccio. Maldestro.

Jenson Button: 9 – Il Maestro è sempre il Maestro. Poche storie. La McLaren è indubbiamente più a suo agio qui che sui curvoni di Silverstone, ma portare a termine una gara così con solo due soste e soprattutto girando costantemente su tempi competitivi è impresa riservata a pochi. Ai Maestri, appunto. A inizio gara da registrare la solita scaramuccia con Pérez, che oramai non fa notizia ma che continua a farci sorridere, in senso buono. Poi tesse la sua tela fatta di delicatezza sulle coperture e di concretezza allo stato puro, tanto da allungare il primo stint fin quasi alla safety car. La macchina di sicurezza per certi versi potrebbe addirittura avergli fatto perdere tempo. Di certo lui a fine gara si lamenta delle Caterham che, in piena lotta tra di loro, lo rallentano nei doppiaggi consentendo al suo ex compagno di squadra Hamilton di raggiungerlo e sopravanzarlo. Anziché quinto chiude dunque sesto, ma va benissimo così. Il risultato in terra tedesca è frutto sì degli aggiornamenti sulla McLaren ma soprattutto della sua sensibilità di guida. Del resto basta vedere Pérez, che chiude sì in zona punti ma ben staccato dall’inglese. Tra l’altro a metà gara JB restituisce con discreta malizia al messicano la manovra subita all’inizio, come a dirgli «amico, ho avuto anch’io la tua età, ma non sono ancora del tutto rincoglionito». I conti si fanno sempre a fine gara. E i suoi sono decisamente positivi. Magistrale.

Sergio Pérez: 7,5 – Al solito parte come una furia, come se non esistesse non dico un domani ma nemmeno una mezz’ora dopo. Passa in tromba Button e lotta con chi ha davanti per cercare di guadagnare posizioni e -come malignamente sottolineato da qualcuno- spazio nelle riprese televisive. La sua strategia è esattamente opposta a quella di JB: l’inglese allunga il primo stint, il messicano invece va lungo nell’ultima frazione. Dà spettacolo, come quando -indomito e senza paura- va a passare all’esterno uno tosto come Maldonado. Ma la sua condotta di gara aggressiva, ancorché spettacolare, fa sì che nel momento in cui la sua gara va a incrociare quella del compagno di squadra, quest’ultimo ne abbia di più e lo passi restituendogli la manovra di inizio corsa. E alla fine arriverà all’ultimo, infinito stint, con il fiato più che mai corto, tanto che non riuscirà a resistere al ritorno dello scatenato Webber che all’ultima tornata gli porterà via la settima posizione e lo farà scivolare all’ottavo posto. Per carità, va benissimo anche così, con la McLaren targata 2013. Sulla velocità non si discute. Ma il gap tattico sul suo compagno di squadra resta ancora evidente. Perché le gare finiscono solo sotto alla bandiera a scacchi, e conta -quasi- solo il risultato. Ci sta, comunque, alla sua età. Speriamo solo che riesca ad imparare qualcosa, in questi anni. Allora sì, che ne vedremo delle belle. Irruente.

Kimi Räikkönen: 9 – Ancora una volta applausi scroscianti a chi studia le strategie in casa Lotus. Evidentemente il Genio dovrebbe aver fatto uno stage dalle parti di Maranello, o giù di lì. Perché, a tre quarti di gara, delle due l’una. O scegli di omologarti, facendo la scelta più classica, e lo fermi nel momento più logico, evitandogli -potendolo fare, peraltro, a costo zero- di girare altri 10 giri con una gomma non più al top. Oppure osi fino in fondo e provi ad andare fino alla fine con lo stesso treno. E -come lo stesso Kimi mugugnerà a fine gara- visti i tempi che stava segnando sarebbe stata la scelta forse più logica. Invece no. Lo tengono lì davanti a segnare il passo, come se non sapessero cosa fare, poi lo fermano rispedendolo in terza posizione. Ne ha di più, rispetto a Grosjean, si mette al secondo posto -agevolato dal muretto, ma forse l’avrebbe passato lo stesso- e prova ad avvicinare Vettel mancando l’aggancio di un soffio. Gara grintosa, per il finlandese, che ci è parso parecchio più rabbioso nei sorpassi rispetto al solito. Vedasi la manovra ai danni di Rosberg. Ma osando di più questa gara l’avrebbero potuta vincere. E Kimi lo sa. Tanto che sul podio pare più scocciato del solito. Poi chissà. Magari era indispettito solo perché stavolta Romano Giannigrosso gli teneva botta senza colpo ferire, chissà. Ad ogni modo, se il box Lotus avesse la metà della visione di corsa del finlandese -anche senza radio- la sua classifica sarebbe oltremodo migliore. Visionario [e la vodka non c’entra].

Romain Grosjean: 9,5 – Okay, al di là dell’ordine di scuderia -la faccina del franco-svizzero a fine gara vale più di qualsiasi press release– va onestamente detto che Kimi nel finale ne aveva di più. Ma alzi la mano chi si aspettava, alla vigilia, un Grosjean così. Che l’Impero [di] Romano sia tornato, ammesso che ci sia mai stato? Di certo gran fine settimana e gran gara. Dopo il primo terzo di gara si issa davanti al compagno di squadra e alle Mercedes, e a un certo punto -complice lo splendido rendimento delle Pirelli con la sua Lotus- sembra veramente in grado di poterla vincere, questa gara. Dal box forse non ci credono fino in fondo, mettendolo su una strategia tutto sommato troppo conservativa. Tanto che, alla fine, il finlandese compagno di squadra ne ha appunto di più ed è lui che va all’inseguimento del tedesco della Red Bull. Mentre Romain deve più che altro guardarsi dal ritorno di Alonso. Ma va splendidamente bene così. C’è chi dice che con questo podio abbia in qualche modo salvato il sedile. Di certo -come avevamo scritto anche in Bahrain, ci pare- ha una innata tendenza a tirar fuori il coniglio dal cilindro proprio quando meno te lo aspetti, quando cioè sembra in piena crisi. Questo è bello. Un po’ meno bello che debba sempre trovarsi col sedere a terra, prima di riuscire a reagire. Ci chiediamo se avrà mai nelle sue corde, un giorno, costanza e solidità. Ma qui ci addentriamo in un campo troppo complicato, e non ha senso né farlo ora né soprattutto che lo facciamo noi. Che dunque ci limitiamo agli elogi per una gran gara. Fenice.

Nico Rosberg: 5 – Okay, la cappella di proporzioni Sistine che gli confeziona il suo box al sabato pomeriggio grida vendetta al cielo. A fine Q2 ha un muso lungo quanto la versione estesa della Corazzata Potëmkin [che, per inciso, non è affatto la cagata pazzesca di Fantozziana memoria, anzi… vi invito a dargli una possibilità]. In gara provano a riportarlo su con una strategia particolare, ma finiscono col mandarlo a lottare con Hamilton con il risultato di rallentare entrambi i piloti. Tanto che Grosjean, per dire, salterà con facilità davanti al tedesco. Per tutto il resto della corsa si trova con le gomme sbagliate al momento sbagliato, complice una vettura che le coperture torna a mangiarsele come Braccio di Ferro con i suoi spinaci. L’unico sussulto ce l’ha a fine gara, quando riesce a tornar su e strappa un paio di punticini che muovono la classifica ma poco più. Ribadiamo: l’errore dei box di sabato è mastodontico, ma era comunque da aspettarsi di più, dal biondino metà tedesco e metà finlandese. Perché nelle giornate buone è facile far punti, il fenomeno lo riconosci quando porta a casa qualcosa anche nelle giornate sfigate. Ed ecco, lui un po’ si addormenta, sì. A differenza di Hamilton che invece ci prova, sempre. Su questo deve lavorarci. Umorale.

Lewis Hamilton: 9 – Sempre un leone, anzi un Leone di stirpe Manselliana. Poco da fare. La pole è da antologia, un giro da paura allo stato puro. La partenza un po’ meno, tanto che al primo giro di boa è addirittura terzo. Poi le gomme lo abbandonano, e capisce subito -mica scemo- che non c’è trippa per gatti. Però a differenza di Rosberg non ci sta. Le strenue difese ai danni di Alonso, oltre ogni logica razionalità, ci hanno entusiasmato. Tanto che lo spagnolo riuscirà a passarlo solo quando Lewis si ferma ai box. E nell’ultimo stint, dopo aver sofferto per metà gara -ed essersi anche ostacolato con Rosberg, ma ci sta, è gara vera tra i due- torna su come una furia. Dapprima fatica con Hülkenberg -la cui Sauber vola in rettilineo- ma passa -se non andiamo errati- nell’ordine: i due Nico -Rosberg e Hülkenberg-, di Resta, Maldonado, Pérez e Button. Chiuderà quinto, oggettivamente il massimo che poteva ottenere da questa Mercedes mangiagomme e trituracertezze. Anzi, una certezza resta, dalle parti di Stoccarda: lo stesso Lewis, mai domo, cattivo, deciso e granitico nel suo andare all’attacco. Non perfetto, forse, ma di certo entusiasmante. Eroico.

Nico Hülkenberg: 8 – Muove la classifica dopo un sacco di Gran Premi. E soprattutto -vivaddio- torna a regalarci sprazzi -ma non solo- di classe e combattività. Come ai bei vecchi tempi. La resistenza che oppone al rimontante Hamilton -mica uno qualsiasi, peraltro- ancorché nei fatti sterile è sintomatica della voglia di lottare e soprattutto di una macchina che forse, e sottolineiamo forse, ha imboccato la strada giusta. Curiosamente -anche se forse non è l’aggettivo più adatto- proprio mentre si rincorrono le voci di difficoltà economiche da parte della squadra e nubi minacciose si addensano sul futuro del team di Hinwil. Ma Nico a quanto pare se ne strafrega, e l’ultimo stint -condito con un paio di sorpassi niente male tra cui quello all’australiano della Toro Rosso Ricciardo- gli regala il decimo posto finale che, appunto, smuove la sua casellina dei punti. Il suo boss, lady Kaltenborn, dice che dopo la buona qualifica si aspettavano di più. Per carità, lecito e permesso. Ma adesso non esageriamo, ok? Sbruffona [lei].

Esteban Gutierrez: 7 – Nonostante il risultato finale possa apparire modesto, la sua è stata una bella gara, positiva e concreta, una delle migliori da quando corre in Formula 1. Si appiccica come una cozza al compagno di squadra e cerca di imitare tempi, traiettorie e manovre. Per tre quarti di gara gli riesce bene. Tanto che per una quindicina di giri riesce con autorità a tener dietro un certo Mark Webber, che guida una certa Red Bull e che non è esattamente l’ultimo arrivato. Nell’ultimo stint inizia a perdere progressivamente terreno e alla fine taglierà il traguardo in quattordicesima posizione, a più di dieci secondi da Hülkenberg. Ma va bene così. E sapete perché? Perché per la prima volta da parecchi tempo a questa parte è lui a portare in pista la macchina, e non viceversa. Lo si vede distintamente guardandolo guidare: ha una scioltezza e una decisione dietro il volante che raramente gli abbiam visto quest’anno. Nelle scorse gare l’alternativa era tra l’andar piano -facendosi appunto portare dalla monoposto- per evitare casini o il cercare di andar forte facendo danni. Forse sta imparando la terza via. Quella della competitività. Ripetiamo: a noi è piaciuto, soprattutto per il modo di guidare. Magari non ci avremo capito niente, chissà. Ma un bel voto non glielo toglie nessuno. Svegliato.

Paul di Resta: 6 – Clamoroso passo indietro per il team di Vijay Mallya, che di punto in bianco scopre difficoltà con le gomme che parevano ampiamente superate e un’instabilità sul passo gara francamente inspiegabile. Potenza della Formula 1 moderna -leggi 2012-2013- ieri eri dio, oggi sei un pezzente e domani -se tutto va bene- un extraterrestre. L’unica spiegazione logica è che il passaggio alle gomme con carcasse in kevlar abbia oltremodo scombinato le carte e rimescolato i parametri usati con successo fino al Gran Premio di Gran Bretagna. Fatto sta che il buon Paul si fa notare solo in momenti a dir poco concitati: quando rischia di giocare agli autoscontri con Vergne ai box e quando viene infilato da Hamilton prima e da Webber poi. Visto e considerato quello che combina il suo compagno di squadra ci risulta oggettivamente difficile assegnare colpe specifiche allo scozzese. Che pecca forse un po’ di carattere nel difendersi da chi gli morde sul collo, ma questa è anche una deformazione della F1 moderna, dove spesso dal muretto ti dicono «Lascialo passare, fa una gara diversa, non perderci tempo». Bei tempi, quelli in cui un sorpasso subìto era un’onta da lavare. Ma stiamo divagando. Il concetto è: senza infamia e senza lode. In attesa di verifica ungherese. Sconcertato.

Adrian Sutil: 5,5 – Se Atene piange Sparta non ride. Tanto più se -memore delle esperienze su precedenti e più fruttuosi campi di battaglia- il soldato semplice Adrian Sutil s’interroga se sia possibile combattere la battaglia del ‘Ring con due sole soste ai box, anziché tre. La risposta è dentro di Te, direbbe l’indimenticato Quelo. Lui ci guarda, dentro di sé, e decide -come il giovane dottor Frankenstein- che SI-PUO’-FARE. Epperò -soggiunge il buon Quelo, ma lui evidentemente non lo ascolta- è sbagliata. Clamorosamente. Tanto che il tedesco della Force India non solo non riesce a portare a termine la gara con due soste, ma fa una fatica immane anche con tre. Colpa di un degrado troppo pronunciato -e per certi versi inspiegabile, soggiungerà a fine corsa- e di un passo gara poco competitivo che lo relega nelle retrovie. Quasi mai inquadrato, quasi mai in palla, chiude anche dietro al compagno di casacca in tredicesima posizione. Anche in questo caso, così come sopra, difficile immaginare responsabilità specifiche. Ma se uno arriva undicesimo e l’altro tredicesimo, significa che uno si merita la sufficienza e l’altro no. O no? Affaticato.

Pastor Maldonado: 7,5 – E’ destino che dove c’è lui intorno debbano svilupparsi sempre e comunque casini. Se non ci pensa lui a fare a sportellate o a distrugger macchine ci pensa qualcun altro a sbatterlo fuori, vedi ad esempio Chilton a Montecarlo. Se invece in pista fila tutto liscio allora ci si mette il box a incasinargli la vita. Ed è esattamente quello che è successo al Nürburgring. Si impegna, si sbatte, lotta, sgomita, tiene una pregevolissima posizione in zona punti fino all’ultimo pit stop e poi…. l’ultima sosta si trasforma in un vero e proprio tagliando che lo fa scivolare indietro senza possibilità di appello. Peccato, davvero, perché stavolta il focoso venezuelano non commette errori di sorta e abbina la sua proverbiale velocità a costanza e concretezza. E anche buon senso, quando in occasione del sorpasso subito da Pérez all’esterno lascia sfilare il messicano senza intestardirsi e magari trovare lavoro al carrozziere di Grove. Era ottavo, prima della sosta. Finirà quindicesimo. Chissà quando si troverà di nuovo a lottare per posizioni nobili, quest’anno. Ma lui è stato impeccabile. Intelligente.

Valtteri Bottas: 7 – Anche la sua gara sarebbe stata buona, ancorché meno eccellente rispetto a quella di Maldonado. Ma -per non farsi mancare niente- il suo box sbaglia non una ma entrambe le soste. Tanti gli errori ai pit stop, in questa gara, chissà poi perché. Forse la maledizione si è spostata dalle gomme ai bulloni, nella settimana tra Silverstone e Nürburgring. Ma due su due è da film dei fratelli Vanzina, tipo Natale in corsia Box con la tettona -di plastica- di turno a distrarre la crew proprio mentre arriva la monoposto. Ed è un peccato, anche in questo caso, perché Valtteri si stava dimostrando reattivo, vispo e tonico, anche se leggermente più indietro rispetto al compagno di squadra. Mai dimenticare, però, che si tratta di un esordiente. E che quindi un margine, nella curva di apprendimento, bisogna tenerlo sempre. Ad ogni modo -questo ci dicono i freddi numeri- pur con due soste problematiche su due chiude appena alle spalle di Maldonado. Anche lui con i suoi problemi, certo, ma anche lui positivo. Ragion per cui il sette ci sentiamo di darglielo. D’incoraggiamento. E antimalocchio. Vispo.

Jean-Eric Vergne: 4,5 – Okay, dopo appena venti giri è costretto al ritiro per una defaillance meccanica della monoposto. Ma a parte il fatto che, intervistato a caldo, recita la parte del finto scemo che a qualsiasi domanda risponde «Non so niente, non posso dire niente, io non lo so, non c’ero, e se c’ero dormivo» che fa più indispettire che impietosire. Quello che fa specie è che al sabato le busca di santa ragione da Ricciardo. E in gara aveva cannato pure la partenza. No, non ci siamo proprio. Non è questa la via per andare in paradiso. O in Red Bull. Disastroso.

Daniel Ricciardo: 5 – La qualifica da applausi a scena aperta illude. La gara invece lo riporta non sulla terra ma addirittura sotto, se possibile. E dire che era partita bene, con un discreto start e un primo stint decisamente all’altezza della situazione. Poi però, una volta montata la mescola più dura, la macchina smette di andare, inizia a scivolare e le gomme si bloccano un giro sì e l’altro pure. Colpa probabilmente di un assetto sbilanciato e troppo puntato sulla qualifica. Ma chi è causa del suo mal non può piangere che se stesso, e dato che certe scelte in un team si fanno di concerto non può prendersela che con la sua immagine riflessa allo specchio. Spiace, bocciarlo, forse anche in maniera un po’ ingenerosa. Ma di sicuro avrà imparato, da questa batosta. Parliamo di batosta perché l’inerzia era più che positiva, e quanto di buono fatto vedere al sabato sembrava far presagire botti d’artificio anche per la gara. Non è -evidentemente- andata così. E i titoli di coda sono i sorpassi subiti, nell’ultimo stint, da Rosberg e Hülkenberg. Ma avrà modo di rifarsi, perché la Toro Rosso quest’anno va, eccome. Sbruffone.

Charles Pic: 7 – Quando si dice correre ad handicap. Al sabato ottiene, al solito, la cosiddetta pole degli altri ma la soddisfazione è effimera in quanto deve sostituire il cambio e si trova dunque a partire per ultimo. Scatta bene al via e nel giro di poche tornate si rimette davanti al compagno di squadra e alle Marussia. E’ fortunato nella scelta di tempo del pit stop, fermandosi proprio poco prima della safety car, un po’ meno quando a tre quarti gara deve tornare di nuovo ai box per una foratura. E’ comunque bravo e tenace a recuperare, tanto che nelle ultimissime tornate raggiunge e supera, in pista, sia Chilton che Van Der Garde. Soddisfazione più che mai platonica, certo, ma di fatto l’unica possibile con questa macchina. Chiedergli di più? Francamente imbarazzante. Accontentarsi? Mah. E’ sbagliato, come dice Trulli, cercare di battere solo i propri pari grado. Ma alla sua età può ancora andar bene così. L’importante è imparare, non farsi nemici e non far danni. Sul secondo aspetto, vista la polemica innescata da Button riguardo le due Caterham in lotta -doppiate- che l’avrebbero rallentato, l’obiettivo è stato raggiunto solo parzialmente. Per gli altri due successo totale. E in tempi di crisi non si butta mai niente. Recuperante.

Giedo Van Der Garde: 7 – Ohibò, vi starete chiedendo, cos’ha fatto quest’illustre sconosciuto olandese -poco volante- per meritarsi cotanto votone? Innanzitutto iniziamo dal dire cosa NON ha fatto. NON ha fatto danni alla vettura, l’ha anzi riportata al box senza nemmeno un graffio. NON ha rimediato distacchi imbarazzanti dal proprio compagno di casacca, notoriamente il primo avversario di ciascun pilota. E, in ultima analisi, NON ha tagliato il traguardo in ultima posizione. Vi pare poco? Come ripetuto fino alla nausea, le aspettative vanno sempre e comunque parametrate sul soggetto delle medesime. E stavolta il buon Giedo corre bene. Parte a molla chiudendo il primo giro in diciassettesima posizione. Tiene dietro Chilton senza patemi, poi deve cedere la posizione a Pic ma se la riprende quando quest’ultimo fora. Pecca però di presunzione anticipando l’ultima sosta e condannandosi a un ultimo stint eterno. Con il risultato che quando Pic arriva da dietro, come una furia, non ne ha per resistergli. Ma va pur sempre bene così. Per le ragioni elencate sopra e perché anche lui, come Gutierrez, ci ha dato l’impressione di iniziare a capirci, pian pianino, qualcosa di più. Chissà. Dinamico.

Jules Bianchi: sv – Ci regala -involontariamente- il momento più comico degli ultimi vent’anni -interviste di Räikkönen a parte- quando parcheggia la sua vettura in fiamme a bordo pista. I commissari si perdono in chiacchiere e convenevoli e, come in una comica di Stanlio e Ollio, quando si girano la macchina è sparita, vaga in retromarcia per il rettilineo opposto. Se non fosse altrettanto pericoloso sarebbe da rifare a ogni gara. Lui stava facendo la sua corsa onestamente. Ma saluta tutti troppo presto per poterlo valutare. Sfrenato.

Max Chilton: 6 – La Marussia si sta un po’ plafonando dietro alla Caterham. E figuriamoci se il buon Max, che di buona volontà ce ne mette tanta ma che attrezzato per i miracoli non è, riesce ad invertire l’inerzia del processo. Lui fa quel che può. Conscio che già evitare danni e lavoro a meccanici e carrozzieri è un buon risultato. Al via scatta penultimo, in virtù della penalizzazione inflitta a Pic, ma è un fuoco di paglia. Che si ripete quando però il francese torna nuovamente ai box, causa foratura. Ma anche in questo caso il sogno svanisce ben prima dell’alba, leggi ultimo giro, e si troverà a tagliare il traguardo nuovamente buon ultimo, a cinque secondi da Van Der Garde. Vale per una sufficienza? Si, no, forse. Noi diciamo sì. Perché è ora di finirla con la dittatura del merito, con la pretesa del talento puro, con l’adorazione dei fenomeni. Checché se ne dica, in Formula 1 c’è sempre stato posto -e sempre ci sarà- per chi fenomeno non è ma sa comportarsi da onesto mestierante. E -perché no- con buona capacità di apprendimento. Max è un fenomeno? No. Max può diventare un onesto mestierante? Chissà, magari anche sì. Negli anni gente come Diniz, Nakano et similia è arrivata in F1 perché fidanzato con la figlia del capo [Shinji] o perché con la valigia carica di dollari [Pedro]. Tuttavia, nel corso degli anni, hanno dimostrato che non si può diventare fenomeni ma si può migliorare e crescere. Dignitosamente. Ed è questo l’augurio che facciamo a Max, assieme al sei che gli concediamo: che possa avere tempi e modi per crescere. Eccheppalle, andiamo fuori dal coro, per una volta. I piloti con la valigia sono un problema, certo. Ma non IL problema della F1 di oggi. Tranquillo.

Manuel Codignoni
www.passionea300allora.it

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Un Commento su “Pagelle del Gran Premio di Germania 2013”
Joblack dice:

Ormai queste pagelle ed i relativi voti sono credibili come quelle dayte ai calciatori …
non contano nulla.

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