Brembo

Pagelle del Gran Premio del Bahrain 2013

di shalafi81
Pubblicato il 23 Aprile 2013 - 18:59
Tempo di lettura: 20 minuti
ARTICOLO DI ARCHIVIO
Pagelle del Gran Premio del Bahrain 2013
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Gara d’altri tempi, in mezzo alle dune e alla sabbia -finta- di Sakhir. Sportellate, sganassoni, ruotate, sorpassi, insomma di tutto di più. E dalla pugna più feroce esce fuori, udite udite, lo stesso podio dell’anno scorso, con Vettel davanti alle due Lotus di Räikkönen e Grosjean. Sfortunatissimo Alonso, che rompe il DRS e corre un Gran Premio ad handicap ma riesce comunque a portare a casa punticini preziosi, e timidi segnali di risveglio per la McLaren, dove peraltro c’è guerra vera tra i due piloti. Buona Lettura!

Sebastian Vettel: 10 – Torna a fare quello che gli riesce meglio, ovvero gara a sé, davanti a tutti, solo soletto. Mette in mostra una superiorità di ritmo e consistenza imbarazzante per tutti, soprattutto per il compagno di squadra, che a fine gara becca più di trenta secondi. Capisce subito che se riesce ad andare in fuga non ce n’è per nessuno e allora innesta i retrorazzi appena dopo il via e passa d’autorità Alonso -che gli era balzato avanti- e Rosberg, facendo ciao ciao con la manina a tutta la compagnia e ritrovandola solo dopo la bandiera a scacchi. Certo, si perde di fatto quella che è stata la gara più bella dell’anno, non partecipa alla sagra dei duelli rusticani da autoscontro di periferia. Per una volta preferisce fare il fighetto e riguardarseli con calma in tivù dopo la gara. Come dargli torto? Chirurgico.

Mark Webber: 5,5 – Non avete idea di quanto ci bruci bocciarlo. Perché ci sta simpatico, in primis, e perché ci ha fatto anche divertire. Ma è inaccettabile a questi livelli rimediare un distacco tale dal compagno di squadra. Pur considerando la partenza ad handicap per via della penalizzazione pregressa post-Shanghai. Lui fa gara con tutti gli altri, immaginiamo divertendosi. Memorabile la sportellata che rifila a Rosberg a tre quarti di gara, più che altro uno sganassone del tipo “e basta, su, non ti ci mettere anche tu a rompere le scatole!”. In realtà, come sottolineato in gara dal puntuale Marc Gené, probabilmente non l’aveva proprio visto. Ha il suo momento di gloria quando a pochi giri dalla fine con un colpo di reni sopravanza Hamilton e si installa in quinta posizione, difendendola con le unghie e con i denti. Peccato che la gara duri 57 giri e non 56: a una tornata dalla fine era ancora lì, nel giro di cinque km lo passano sia Lewis che l’indemoniato Pérez, costringendolo alla settima posizione finale. Si è divertito, scommettiamo. Ci ha divertito. Ma non basta per un sei, ahinoi. Sconfitto.

Fernando Alonso: 10 – «Potrebbe essere peggio, potrebbe piovere», chiosava ottimisticamente il buon gobbo Igor in Frankenstein Junior esumando una cassa da morto. Poteva andar peggio, se il DRS di Fernandino avesse fatto come quello di Michael Schumacher in Canada, insensibile allora anche alle martellate degli energumeni crucchi di stanza al box Mercedes. Ma questo è l’unico motivo di ottimismo che resta. Perché la rottura del marchingegno è un altro segno del sistema che sta implodendo [l’avevamo detto in sede di pagelle la scorsa settimana e lo ribadiamo con forza]. Il vero capolavoro lo fa nelle prime fasi restando in pista con l’ala aperta e girando su tempi quasi normali. Poi si ferma, glielo sistemano, riparte, ci riprova, si riblocca, e deve fermarsi di nuovo a chiuderlo definitivamente. Impressionante la velocità sul dritto della Ferrari pur senza DRS, che gli permette di lottare con le McLaren ad armi quasi pari, ma soprattutto impressionante la lucidità dello spagnolo, che riesce a leggere benissimo una corsa ad handicap. Gioca d’attesa quando si tratta di risparmiare gomme e macchina e salta fuori quando è il momento di attaccare. Un ottavo posto che vale quasi una vittoria. SI-PUO’-FARE [cit.].

Felipe Massa: 6 – Ve lo confessiamo: non abbiamo la minima idea di che gara avrebbe potuto disputare in condizioni normali. Quello che sappiamo è che fora due volte, e due volte la posteriore destra. La prima per un detrito, la seconda per un contatto. Questo dando retta alle informazioni ufficiali, che spesso lasciano il tempo che trovano. Di certo si fa tre quarti di gara con un’ala penzoloni che a quanto pare non limita troppo le sue prestazioni -visto che non gliela cambiano- ma di fatto viene inquadrato, forature a parte, solo quando infilato da Maldonado. Chiude quindicesimo, a un minuto e venti dal vincitore, una gara che siamo sicuri cercherà di dimenticare quanto prima. C’è chi dice che le sue forature siano anche questione di assetto, ma non abbiamo riscontri per confermare o smentire tale lettura. Certo è che… sfiga è sfiga, ragazzi. O no? Macumbato.

Jenson Button: 6,5 – A un certo punto se ne esce con un team radio che suona più o meno così: «Come on, guys, calm him down!», dai, ragazzi, calmatelo, eccheccazz’. Questo dopo l’ennesima manovra spericolata del compagno di squadra, con cui è in lotta. E a fine gara fa la parte dell’arrabbiato e gli tiene il broncio. Ma a giudicare da come le ha prese ma le ha anche date, immaginiamo che in fondo si sia divertito, a fare a sportellate con lui e con Rosberg per praticamente tre quarti di gara. A un certo punto accompagna gentilmente Pérez -si sa, l’educazione prima di tutto- ai 280 all’ora sulla sabbia finta di Sakhir. testimonianza che se c’è da giocar duro lui in fondo ci sta. E’ tra l’altro autore di un paio di manovre da urlo anche ai danni di Rosberg, che poi puntualmente lo ripassa. Ma nella foga si dimentica che con quelle gomme doveva arrivarci a fine gara, e alla fine queste gli chiedono il conto: lo stesso Rosberg, Hamilton, Pérez e Alonso lo passano nello spazio di un giro, deve fermarsi a montare un treno nuovo e rinunciare alla lotta fratricida con questo gruppetto. Chiuderà decimo. Un po’ poco. Ma si merita comunque un voto in più perché ci ha fatto divertire. Anche i Maestri, nel loro piccolo, s’incazzano. Furibondo.

Sergio Pérez: 9 – A un certo punto ai box McLaren la regia internazionale pesca nientemeno che sua maestà Kirk Hammett, chitarrista di una delle rockband più famosa del pianeta, i Metallica. Più che mai appropriato, perché la gara di Checo è all’insegna del metallo duro e pesante. Tanto che fa saltare i nervi anche al solitamente compassato compagno di squadra JB, che chiede al box di calmarlo. Macché: sportellate, sganassoni, uppercut, jabs, diretti, e chi più ne ha più ne metta. Sempre però -va detto- all’insegna di una correttezza di fondo, senza manovre killer o scorrette. Del resto, cavoli, siamo o non siamo noi quelli che rimpiangono Digione ’79? E allora su, via, pensiamo a divertirci e basta. Checo parte sornione, poi quando riaggancia il Maestro non ci vede più. Coinvolgendo in questa spettacolare lotta anche Rosberg, un altro che quando arriva in Bahrain spegne il neurone e gode a menar fendenti a destra e a manca. I tre fanno gara a sé, poi arrivano anche Alonso -da dietro-, Webber e Hamilton -da davanti- a infoltire un gruppetto già nutrito. Prima il ferrarista lo passa, poi all’ultimo tuffo il messicano gli rende lo sgarbo e sullo slancio ha la meglio anche su Webber fino al sesto posto. Che dire… ce ne fossero più spesso, di gare così. Speriamo che a Woking gli facciano sì un cazziatone….. ma non troppo severo. Feroce.

Kimi Räikkönen: 9 – Anche stavolta c’è qualcuno che prova a farlo incazzare, facendolo rientrare per la seconda -e ultima- sosta quando a suo dire le gomme erano ancora valide. «Strategy is good», gli urlano nelle orecchie quando lui si lamenta. Lui abbozza, poco convinto, ma si ferma lo stesso. Picchi creativi raramente raggiunti, dalle parti di Espoo. Come spesso gli accade, fa gara praticamente a sé, girando lontano da chi lo precede e da chi lo segue in virtù di una strategia diversa, con una sosta in meno. Tanto poi i conti si fanno alla fine. E i suoi conti dicono che l’unico a precederlo, al traguardo, sarà l’imprendibile Vettel, con KR dunque ad aggiudicarsi il Gran Premio degli altri. Con molta onestà ammette che anche con una qualifica migliore le cose non sarebbero andate diversamente. Di certo la grinta e la decisione mostrata nei sorpassi a di Resta, Pérez e Hamilton quando era necessario liberarsene subito per non perdere ritmo ci mostrano un Kimi spietato, in forma e deciso. Una macchina da guerra per una macchina salvagomme. Chissà come andrà a finire. Gelido.

Romain Grosjean: 9 – Alzi la mano chi avrebbe pronosticato per il Gran Premio del Bahrain 2013 lo stesso podio dell’anno prima. Okay Seb, okay KR, ma Romain… e invece no, ed è bello in questo caso essere smentiti dai fatti. La gara di GianniGrosso è consistente, priva di sbavature e soprattutto di eccessi. Questa è forse la nota più interessante: in una corsa in cui tutti se le son date di santa ragione, Romain si è tenuto saggiamente fuori dai guai e dai casini. Emblematica in questo senso la sua partenza: scatta bene, benissimo, ma poi alla prima curva ha un atteggiamento più che mai conservativo e -piuttosto che rischiare- si accoda alla vettura che lo precede. Saggio e maturo, dunque, ma anche efficace: a un certo punto va come un treno e infila senza pietà Pérez, Webber e soprattutto di Resta, con quest’ultima manovra che gli vale il podio. Alleggerisce la pressione che in squadra qualcuno iniziava a mettergli, anche in virtù dei risultati ottenuti dallo scomodo compagno di squadra. Gli esami, per lui, non finiscono mai. Ed è per questo che -quantomeno noi- gli regaliamo mezzo punto in più, stavolta. Ad maiora. Rilassato.

Nico Rosberg: 6,5 – Per sue stessa ammissione non ci ha capito nulla. Partiamo da un presupposto: quando si arriva in Bahrain lui non capisce più niente a prescindere, come un toro quando vede rosso [o una Toro Rosso, chissà]. Si sente in dovere di combattere nemmeno ci sia in palio la sopravvivenza di Fort Alamo assediato da un’orda di messicani inferociti. Oddio, in realtà di messicano uno ce n’era, ed era anche abbastanza inferocito, a dire il vero, ma questa è un’altra storia. Tornando a noi, scatta bene dalla pole e subito stringe Vettel per evitare di farsi passare. Quindi aggredisce a colpi di sciabola chiunque gli passi a tiro, soprattutto se guida una McLaren. Abbiamo contato i sorpassi e controsorpassi tra Nico, JB e Pérez: se non andiamo errati sono nove. E magari la regia se n’è pure perso qualcuno. In mezzo anche la ruvida sportellista rimediata da Webber, così, tanto per gradire. Quando ci si picchia, però, che si vinca o si perda i lividi restano comunque. E in questo caso i segni delle tante battaglie li portano soprattutto le gomme, che non reggono l’urto di tanta cattiveria e a fine gara gli faranno perdere parecchio tempo. Chiuderà infatti nono, scivolando molto indietro in quella che doveva -viste le premesse- essere la gara che l’avrebbe rilanciato. Peccato per lui, un po’ meno per noi, che ci siamo divertiti molto. In un’altra era, con gomme diverse, forse la sua aggressività avrebbe pagato. Meditate, gente, meditate. Davy Crockett.

Lewis Hamilton: 8 – Il ruolo di formichina gli si addice quasi come un cucchiaio di marmellata di mirtilli su un piatto di spaghetti alla carbonara. Eppure -che ci crediate o no- in una gara da uomini duri e rudi -e fors’anche un po’ puzzolenti, chissà- Lewis gioca la carta dell’attesa. Per carità, per capire bisogna risalire al problema nelle libere che oltre che un bello spavento gli regala anche la sostituzione del cambio. Parte penalizzato, parecchio indietro, e nella prima parte di gara scompare, pensando più che altro a far passare i giri senza combinar casini e preservando le gomme. Guidando così, sulle uova, guadagna un ottimo timing per le ultime soste e a tre quarti di gara inizia la sua vera corsa, complice -parole sue- un improvviso miglioramento della sua Mercedes. Bah, questa poi… Passa in tromba le due McLaren e dà il via a uno splendido duello con Webber. Prima lo supera, poi l’australiano ha di nuovo la meglio e si difende con le unghie e con i denti da canguro, ma all’ultima tornata Lewis trova finalmente l’interno alla curva 1 e si piazza davanti alla Red Bull staccando il pass per il quinto posto finale. Molto davanti a Rosberg, che invece recita la parte della cicala e all’arrivo dell’inverno si ritrova solo con un buco nello stomaco e tanta fame. Un’altra prova di maturità per il Lewis che non t’aspetti. Attendista.

Nico Hülkenberg: 6 – Boh. In casa Sauber non c’hanno letteralmente capito niente. E forse un manipolo di ingegneri è rimasto ancora lì, a Sakhir, a chiedersi che modifiche d’assetto fare, cosa inventarsi, per venir fuori dalla gara in maniera decente. Chiaramente inconsapevoli che la bandiera a scacchi è out già da un pezzo. E tra l’altro il rimpianto è doppio, perché uno come Hülkenberg quando c’è da menar le mani non si tira mai indietro, anzi. Eppure niente da fare. Gli altri si divertono, lui soffre là dietro nel tentativo infruttuoso di cavare il cosiddetto ragno dal buco. Sconsolato, a fine gara ammette che il team ha bisogno di spingere di più sullo sviluppo della vettura se vuole portare in futuro a casa qualche punto. Di certo c’è che, anche quest’anno, da una gara all’altra le condizioni e i valori in campo oscillano in maniera spaventosa. E a Sakhir ne ha fatto le spese la Sauber. Tutto sommato complicato anche bocciarlo. Triste.

Esteban Gutierrez: 5,5 – Partiva ultimo, a causa del botto di Shanghai. E per non farsi mancare niente a inizio gara resta coinvolto in un velenoso sandwich tra Bottas, Vergne e Van der Garde, danneggia la vettura e deve fermarsi subito ai box. Ricapitolando: già non sei un fulmine di tuo, in più la macchina è quella che è, parti ultimo e oltretutto devi pure fare un pit stop praecox. Diciamo che ha avuto e avrà weekend migliori. Va al piccolo trotto, con l’unico obiettivo dichiarato di arrivare alla bandiera a scacchi senza fare ulteriori casini. Gli riesce, e questa è la buona notizia. Staccato di un giro, dietro anche alla Caterham di Pic, e questo è l’aspetto meno lusinghiero della faccenda. Ci sono le attenuanti, e queste gli risparmiano un voto peggiore. Ed è difficile, onestamente, immaginare di potergli chiedere di più. Ma almeno una gara che sia pulita dall’inizio alla fine, questo ci sentiamo di pretenderlo, da un pilota che seppur rookie è pur sempre in Formula 1. Questo gli toglie la sufficienza. Pasticcione.

Paul di Resta: 9 – «Che la Force [India] sia con te», gli sussurra all’orecchio il suo boss Vijay Mallya poco prima della gara. Altrimenti -prosegue il Capo, moooolto meno prosaicamente- ti taglio lo stipendio. E lui, che da buon scozzese ha sempre un occhio di riguardo verso le questioni legate al portafogli, ubbidisce tirando fuori dal cilindro una gara maestosa. La macchina è in palla, certo, e si vede, e stavolta anche la crew al box pare sufficientemente lucida da non creare casini. Ma lui è in stato di grazia e sui curvoni tra le dune si esalta. La lotta, a distanza, è con la Lotus di Grosjean, e lui lo sa bene, tanto che a un certo punto rinuncia ad inseguire Räikkönen concentrandosi sull’obiettivo podio. Podio che gli sfugge in virtù di una scelta strategica differente: a fine gara Romain ha le medie, lui le dure. E chi la dura, in questo caso NON la vince. Peccato, perché se lo sarebbe meritato, quel terzo gradino. Ma se le cose continuano ad andare così l’occasione si ripresenterà. L’impressione -anche questo l’avevamo già scritto- è che sia molto più sereno rispetto a qualche mese fa. E -visto che i numeri li ha- la differenza si vede, eccome. Speriamo che continui a usarlo e a non sprecarlo, il talento che tutti gli riconoscono. Taccagno.

Adrian Sutil: 6 – Ancora una volta deve dire addio ai sogni di gloria dopo pochi metri. Stavolta non c’è Gutierrez che gli entra nel cambio, ma è un po’ più farina del suo sacco. Al via infatti scatta bene, è in lotta con di Resta e Massa per la quarta posizione, ma tocca il brasiliano e si ritrova d’improvviso su tre ruote, come un triciclo. D’obbligo fare un giro intero in queste condizioni, e d’obbligo la sosta ai box per ritrasformare in auto il singolare mezzo su tre ruote testè brevettato. Colpa sua? Colpa di Felipe? Incidente di gara, diciamo noi. Certo che dopo il disastro poteva metterci un po’ più di grinta, quantomeno per far bella figura. L’impressione è invece che tiri a campare fino alla bandiera a scacchi, facendosi scudo dell’impossibilità di arrivare comunque in zona punti. Magari ci sbagliamo. Ma magari anche no. Nel dubbio il sei politico ci sta. Ma nulla più, beninteso. Pigrone.

Pastor Maldonado: 7 – Finalmente il Pastor che ci piace, quello che non si lamenta ma che si rimbocca le maniche per sopperire alle carenze di una macchina -passateci il termine- imbarazzante. Manca l’accesso alla Q2 pur avendo ottenuto lo stesso tempo al millesimo del compagno di squadra, che passa perché lo aveva fatto segnare prima. Ma da questa fantozziana vicenda emerge bene in gara, anche perché la Williams col pieno pare più a suo agio che in prova. Suda, sgomita e viaggia di conserva con Bottas fino a quando -complice un pit stop imperfetto per il compagno di casacca- non ha un po’ di spazio per allontanarsi. Riesce addirittura a raggiungere e passare in pista una Ferrari, quella di Massa, e alla fine manca la zona punti per appena -si fa per dire- venti secondi. Considerato tutto, non è nemmeno troppo male. Ora si va a Barcellona, pista sulla quale un anno fa ha ottenuto la sua prima e unica vittoria in Formula 1, sempre con il team di sir Frank. Chissà che l’aria della Catalogna non risvegli la sua letargica Williams. Tenace.

Valtteri Bottas: 7 – Massì, che va bene anche così. In qualifica fa lo stesso tempo di Maldonado, in gara si tocca al via con Vergne senza riportare danni e poi viaggia in tandem con Maldonado fino a quando un ultimo pit stop lungo e macchinoso non lo spedisce indietro. Da lì, vista anche l’impossibilità di raggiungere la zona punti, l’unica cosa da fare è impostare il pilota automatico in SAFE mode, modalità sicura, per riportare a casa la vettura senza danni di sorta. E, già che ci siamo, accumulare km di esperienza, che a un deb non fanno mai male visto il bando ai test privati e considerato che il simulatore sarà anche bello ma le gare si fanno ancora sull’asfalto, vivaddio. Corsa comunque consistente, la sua -limitatamente al valore della monoposto- e che senza quel problema ai box avrebbe ricalcato quella del più esperto caposquadra. Ragion per cui stesso voto e via pedalare. Tonico.

Jean-Eric Vergne: sv – Regala emozioni al via, quando Bottas gli rovina addosso e lui travolge l’incolpevole Van der Garde in un Demolition Derby d’altri tempi. Anticipo di quella che sarebbe stata la gara, ricca di duelli e sportellate. Non la sua, però. Perché non ci rimette solo la gomma, ma anche parte del fondoscocca e dell’aerodinamica. Torna in pista, ma la sua macchina è inguidabile e oltretutto si surriscalda. Lo fanno ritirare. E lui ringrazia. Certo che partire un po’ più avanti… Travolto.

Daniel Ricciardo: 5 – Allucinante pensare che questo nasone qui sette giorni fa lottasse ai margini del podio. E a Sakhir, pista tutto sommato nemmeno troppo diversa da Shanghai, fa invece fatica a tener dietro la Caterham di Pic. Allucinante, appunto. Nelle prime fasi tiene addirittura a bada la Lotus di Grosjean, ma è un fuoco di paglia. Con l’avanzare della gara -e con lo svuotarsi dei serbatoi- la sua performance cala visibilmente e via via scivola indietro, senza -per sua stessa ammissione- spiegarsi bene il perché. Chiuderà addirittura sedicesimo, doppiato, triste e sconsolato. Bestiale la variabilità che si registra in questa prima fase di campionato, bestiale e anche un po’ inquietante se considerate che per una gara così negativa una squadra come la Toro Rosso ci rimette una barca di soldi. Certo, chi è causa del suo mal pianga se stesso, recita un vecchio adagio. Ma siamo sicuri che siano sul serio loro, la causa? Confuso.

Charles Pic: 8,5 – E andiamo! Finalmente, alla quarta gara, il francese si ricorda che il passaggio dalla Marussia alla Caterham l’aveva deciso per migliorare i suoi piazzamenti e si muove di conseguenza. A partire dalla qualifica, dove stacca di nove decimi Bianchi e di più di un secondo il compagno di squadra Van der Garde. In gara approfitta delle disavventure altrui, tiene dietro la Sauber di Gutierrez -sul traguardo i due saranno divisi da appena mezzo secondo- e dice che con un po’ di fortuna avrebbe potuto insidiare anche Ricciardo. Ecco, questa ci pare una panzana bella e buona, ma gli si può perdonare. E’ giovane, e in fondo in Bahrain ha portato a termine la gara migliore dell’anno. Chissà che non rappresenti un punto di svolta per lui e soprattutto per la squadra: Certo è che un recupero del genere nei confronti della Marussia pare di buon auspicio. A Barcellona -il più probante dei banchi di prova- ne sapremo di più. Bentornato!

Giedo Van Der Garde: 6 – La sufficienza se la guadagna -pur arrivando ultimo e staccato di ben due giri- perché, per ammissione dello stesso Vergne, si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. Viene infatti travolto dalla Toro Rosso del francese e non può evitare l’impatto che oltre a forargli una gomma intontisce un po’ tutta la vettura. Si ferma ai box, effettua le riparazioni e poi passa il resto della gara a controllare gli specchietti e le bandiere blu, per evitare di aggiungere beffe al danno già fatto. Poca roba, certo, ma sufficiente, per noi, almeno per oggi, seppure a un abisso dal compagno di squadra. La considerazione da fare è però un’altra. La Caterham è in crisi, richiamano Kovalainen come terzo pilota e immediatamente la macchina inizia a andar forte. Le due cose sono collegate? E, soprattutto, quanto scotta il suo sedile in questo momento? Speriamo di sbagliarci, ma per l’olandese si preannunciano tempi duri. Speriamo che la valigia valga la candela. Impaurito.

Jules Bianchi: 6,5 – C’è chi ha scelto una strategia a due soste, come le Lotus. Chi ne ha fatte tre, come Vettel e la maggior parte dei piloti. Lui ne ha dovute fare addirittura quattro, l’ultima a nove giri dalla fine, perché le sue gomme non ce la facevano proprio più. Basta questo, forse, a descrivere le difficoltà incontrate dalla Marussia nel weekend in mezzo al deserto del Bahrain. Jules sveste per una volta i panni di Superman e si immerge nella realtà, una realtà fatta di degrado, usura, consumo. E lentezza, of course. La Marussia torna a subire le Caterham e miracoli da questa parte non se ne fanno. Bianchi fa il suo, certo, dimostrandosi superiore al compagno di squadra -nonostante una partenza così così- e tenendoselo dietro fino alla bandiera a scacchi. Ma ci è parso leggermente più opaco rispetto alle sensazionali gare d’inizio stagione. Stanco? Più probabilmente condizionato dalle oggettive difficoltà tecniche incontrate dal team. Ci sta, vivaddio, è pur sempre alla quarta gara nella massima formula. Fiacco.

Max Chilton: 6,5 – Massì, dai, perché bocciarlo, in una gara dove nemmeno il suo caposquadra sembra averci capito granché? E poi era pure scattato forte, al via, mettendosi dietro Van del Garde -sai che fatica- e Pic -mica male, invece- per un pugno di giri. Poi le favole finiscono, così come i sogni, e deve riaccodarsi ubbidiente al primo pilota della Caterham, ma poco male. Anche lui è vittima del tritagomme marchiato Marussia -ma la Pirelli gliele addebiterà, le spese di smaltimento?- e sceglie una condotta di gara regolare, attenta ai doppiaggi e ad eventuali situazioni complicate, fino alla bandiera a scacchi. Rimedia appena 12 secondi da Bianchi, e nelle interviste sfoggia un sorrisone che non gli vedevamo da tempo. Tutto sommato va bene così. In Marussia non si sta poi male -parafrasando un vecchio pezzo di Daniele SIlvestri- basta conoscersi e sapersi accontentare. Lui si accontenta. perché non dovremmo noi? Felice.

Manuel Codignoni
www.passionea300allora.it


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