Rivalità figlie del proprio tempo, del tempismo e della resistenza a non cedere alle tentazioni del pericolo
Sono – e sarò sempre – fermamente convinto dell’imprescindibilità alla base della lotta Verstappen-Hamilton dello scorso anno. Il più brillante astro nascente della storia recente della Formula 1 ed il campione trans-epocale, nonché dominatore assieme a Mercedes dell’era ibrida e demolitore seriale di record: entrambi necessitavano di un confronto stagionale il più possibile alla pari, un tirare le somme che ne decretasse il migliore. Arrembaggio e talento contro talento ed esperienza: poi un mare di avvenimenti, episodi, parteggiamenti, retorica, boria, ed infine Verstappen campione.
Una rivalità fantasmagorica, naturalmente cinematografica che però, per la sua innata tendenza a scadere nell’eccesso e talvolta oltrepassarlo – denudando violentemente il concetto di “competizione” e rischiando di farlo estinguere – mi fa storcere tutt’oggi il naso. Quasi un unicum, il 2021, da archiviare; talvolta rispolverato per far rilucere questioni ampiamente chiarite; accantonato da una profonda rivoluzione tecnica, di valori, di mentalità.
Poter disporre di una monoposto circoscritta al proprio talento non può che essere un toccasana, e il balzo in avanti in termini di maturità di Leclerc è evidente, oltreché un fattore innegabilmente benefico per la competizione. Il duello di domenica scorsa con Verstappen ha rivelato un’importante e positiva evoluzione nella dinamica rispetto ai suoi precedenti, nonostante la congenita predisposizione del tracciato ad offrire pericolosità ed illogicità. Non un episodio a lambire i confini del limite, non una evidente scorrettezza: un bel po’ di sagacia, sì, ma essa è naturale protagonista del gioco delle parti.
Tanta lucidità, oltre l’errore del tempo: del tempo delta, gestito con meno abbrivio del necessario dal monegasco in regime di Virtual Safety Car ed invece aggredito brillantemente dall’olandese. Oltre l’errore del tempismo: anche e soprattutto Verstappen ha dovuto attendere a lungo prima di poter far viaggiare lungo traiettorie parallele ed il più possibile adiacenti il proprio talento e la competitività della propria vettura, spesso forzando le situazioni in risposta ad una naturale ed irrefrenabile voglia della propria bravura di strabordare e ricevere la giusta ricompensa. In modi, tempi e dinamiche differenti, anche Leclerc ha affrontato questo genere di situazioni.
Errore del tempismo, quindi, che alle prime luci di questa stagione diviene ghiottissima opportunità di dare un senso ad una rivalità che, nel 2019, ha prodotto un sì interessante trailer, seguito poi, però, da poco altro e nulla più. Il tutto mentre Mercedes si defila momentaneamente da un centro della festa detenuto sinora immarcescibilmente, offrendo involontariamente a Russell un percorso di transizione meno brusco fra le prestazioni – e le dinamiche vissute a bordo – della Williams, e ad Hamilton la probante sfida di dover emergere, spesso e volentieri, dalle sabbie mobili del pacchetto di metà classifica: un passato per qualcuno là davanti in classifica generale, un presente più che mai attuale e combattivo per un certo quasi quarantunenne di Oviedo. Sta di fatto che di ruggine ve n’è da rimuovere, sia in termini di prestazioni in solitaria che di lotte corpo a corpo: chapeau, Stroll.
Bottas e Haas possono giacere assieme, in un ilare gioco di parole multilingue, ad indicare un qualcosa di positivo giunto in maniera casuale: le prestazioni del finlandese e della scuderia americana – in particolare con Magnussen –, però, sono tutt’altro che casuali, e rispondono, in qualche modo, ad un’esigenza di redenzione ossigenata di due validissimi piloti, troppo spesso limitati da ingerenze e/o limiti tecnici e attitudinali. Schumacher sorride, questa è la cosa più importante per lui, ad ora.
Jeddah, invece, è un pianto, un insulto alla gioia che dovrebbe scaturire dall’assistere ad un evento sportivo, un vicolo cieco verso un modo di intrattenere sibillinamente macabro, un trionfo di pericolo ed inutile velocità alla stregua di altre poche piste nel Mondo che, inspiegabilmente, rientrano nel novero dell’iconicità in seno a svariate frange della fanbase del Motorsport: un qualcosa che non servirebbe ma c’è. E guai a farsi distrarre dal rumore di fondo: sono solo bombe.
Immagine: Red Bull Content Pool
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