Non invidio l’anno di Redding

BlogParola di Corsaro
Tempo di lettura: 5 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
27 Ottobre 2017 - 23:36

Nemmeno la gioia di potersi vantare di esser stato la prima delle Ducati a Phillip Island che il secondo pilota del team Pramac, quello che sembra essere indifferente a tutti (a parte gli anglosassoni), è entrato nell’occhio del ciclone: passato dall’essere uno dei piloti più ignorati del Motomondiale, che ha rischiato anche di rimanere a piedi per il 2018, all’accusato di turno per aver osato passare Dovizioso, l’alfiere Ducati in lotta per il titolo (e diventato improvvisamente e giustamente il coccolato di turno), rubandogli due preziosi punticini per il mondiale. E infatti, tutto questo finimondo per Redding è scattato per una misera 11a posizione, in quella che è stata la gara più difficile per Borgo Panigale da parecchio tempo a questa parte.

Tragicomica la situazione in cui si trova Scott Redding in questo momento, al limite del grottesco. Voci di strategie e gerarchie non rispettate, trattative messe in discussione, persino il pensiero che il risultato di Redding, o meglio la sua posizione di fronte al compagno di marca, sia stata dettata da una sorta di “vendetta personale” per il trattamento riservatogli dalla Pramac, che ha deciso di scaricarlo preferendo Jack Miller. Lo stesso “canguro” che, proprio in pieno periodo mercato piloti, ha deciso di “ereditare” l’ex-ragazza del britannico. Due schiaffi mica da ridere questi, e si sa: un uomo cui si toccano le sue due cose più importanti, ovvero la carriera e la… donna, potrebbe essere una vera e propria mina vagante.

E a livello di schiaffi presi, il motto dice “non c’è due senza tre”. Ed eccoci quindi in Malesia, dove la misera settimana di pausa non è per niente bastata a mitigare le lamentele contro di lui. Un fuoco fatto di discussioni persino interne nel box della Pramac, dove il suo manager Francesco Guidotti, invece di esser contento che il suo pilota su una moto vecchia di un anno (e metterei l’accento su questa cosa) sia stato davanti a tutte e tre le GP17, non gli ha risparmiato la critica del “non esser stato molto signore con Dovizioso”. Come se si volesse pretendere persino un atteggiamento da galantuomo (o da maggiordomo) da uno che è stato appiedato per la stagione ventura. Per fortuna Tardozzi, durante le libere a Kuala Lumpur, ha chiarito il concetto e soprattutto la questione sulla strategia scelta a Phillip Island, dove l’inglese non era costretto a stare dietro al Dovi. Ci ha dovuto pensare la squadra ufficiale a mettere la pezza alla discussione, incredibile…

Il percettibile disinteresse verso Redding è sempre stato un suo cruccio, già ai tempi della Moto2 dove ha ottenuto i suoi risultati migliori, in cui era costantemente oscurato dalla luce abbagliante dei talenti più cristallini come Marquez, Iannone e se vogliamo Bradl. Il suo arrivo in MotoGP fu pure peggiore in un anno, il 2014, in cui sia lui che il rivale Pol Espargaro non riuscirono a farsi minimamente notare, dato che nelle posizioni di testa spazio non ce n’era con il Marquez più mostruoso di sempre, ma nemmeno nelle retrovie in cui brillavano più altre stelle come quella di Iannone con la Ducati Pramac (ma guarda un po’…). L’ispanico, ma soprattutto l’anglosassone, arrivarono dalla Moto2 forse nel periodo peggiore, dopo quello segnato dalle gesta del “marziano” e di “The Maniac” e precedente a quello di arrivi grossi come Zarco e Vinales. Nel 2015, a parte a Misano Adriatico dove arrivò terzo sfruttando il flag-to-flag, Redding sudò parecchio. E da lì ci fu la scelta di cambiare moto e casacca.

Il ventiquattrenne inglese (venticinque a gennaio) forse non fece la scelta più lungimirante nel 2016, quando decise di entrare a far parte di un team italiano, con moto italiana e con tanto di compagno di squadra di nazionalità italiana. A prima vista fu di certo un passo avanti notevole dallo sgangherato (almeno nella classe regina) team Marc VDS e dalla loro Honda Open alla Desmosedici satellite, ma fu chiaro come il suo fare inglese, insieme alla nazionalità britannica, non avrebbe minimamente aiutato all’interno di un team tutto tricolore. E nonostante un primo anno, il 2016, in cui è riuscito a portare a casa l’unico podio per la Pramac (ad Assen, e questo la gente non se lo ricorda minimamente) e a tenere alla grande il confronto col compagno Danilo (75 a 74 per il #9, anche se Petrucci pagò lo scotto di un infortunio e di quattro gare saltate), il giudizio da parte di Guidotti e compagnia bella è stato impietoso: la GP17 sarebbe spettata ugualmente all’italiano. Cosa su cui, onestamente, avevo zero dubbi fin da quando annunciarono questa novità per l’anno in corso.

La situazione dell’ex-vicecampione della Moto2 paradossalmente ricorda quella di Kvyat in Formula 1: risultati discreti con la Red Bull al primo anno, un buon picco anche nel secondo ma alla prima fischiata d’orecchi tra i bibitari ecco che il russo è stato degradato alla Toro Rosso di Faenza per il più promettente Verstappen. E da qui in poi, con la retrocessione in Toro Rosso, l’atteggiamento da combattente di Kvyat si è perso per strada, e il soprannome “Torpedo” datogli dal buon Seb nel 2016 si è poi rivelato azzeccato dopo il “bowling” in Austria e il pasticcio con Sainz a Silverstone.

Redding sa già la sua destinazione per il 2018, ovvero la promettente Aprilia del team Gresini (altro team italiano, quindi occhio Scott) dove lo aspetta il confronto scomodissimo con un Aleix Espargaro sempre ben messo in sella alle moto di Noale. Già un altro inglese si è scottato confrontandosi con lo spagnolo su questa moto (povero Lowes…), ma se davvero ciò che abbiamo visto in Moto2 di Redding non è fuffa, il 2018 sarà l’occasione per dimostrarlo. Si sa mai che il suo carattere forte lo faccia uscire da questa situazione.

Fonte immagine: motogp.com

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