Non così, Charlie

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
14 Marzo 2019 - 21:45
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Circa dieci giorni fa parlavo al telefono con un amico. Ci confrontavamo sui motivi che rendono questo posto, questo sito, secondo lui piacevole alla lettura. Tra questi c’è il rispetto per chi lavora nell’ambiente, per gli addetti ai lavori, i piloti e tutti coloro i quali vivono il mondo della Formula 1. Credo sia intellettualmente onesto che io vi riporti il nome dell’unica persona sulla quale ho avuto da ridire, fondamentalmente a partire da una mattina italiana di ottobre. Charlie Whiting. 

Ho spiegato al mio amico le mie ragioni, la mia incredulità di quel periodo nel dover accettare tutto quello che è successo durante e dopo quel Gran Premio del Giappone mentre Jules lottava per la vita. Non sarà questa la serata in cui ricorderò il tutto dettagliatamente. Forse non ce ne sarà più una. Ai tempi, pur rimanendo entro certi limiti, sono stato uno dei critici più aspri di quell’uomo che oggi non c’è più. Lo sono stato anche dopo: quando, in determinate occasioni, c’era da prendere delle decisioni e ho sentito nel suo attendere, tergiversare, aspettare fin troppo una sorta di rimorso. Come se ci fosse un peso difficile da togliersi di dosso.

Mi tornano in mente le parole del mio amico che, facendomi ragionare dopo le mie argomentazioni, mi ha ricordato come quello che noi vediamo non sia la copia carbone di tutto quello che c’è dietro. Interessi, tifosi, televisioni. Un mare di cose che non conosciamo, forse per fortuna. Questo non ha cambiato il mio parere su determinati episodi e non lo cambierà sapere che Charlie Whiting non c’è più. Ribaltare le idee su una persona per buonismo dopo la sua scomparsa è cosa da moralizzatori dell’ultimo minuto, da chi si butta sul carro dei RIP dopo aver, magari, detto le peggio cose. Non va così. Per me Charlie Whiting, come può capitare a tutti, ha fatto degli errori e sarebbe, per quanto mi riguarda, disonesto passare dall’altra parte della barricata proprio ora, oggi. Credo non piacerebbe nemmeno a lui.

Eppure oggi, leggendo la marea di messaggi di cordoglio che arrivano da ogni parte del mondo, ci ho pensato e ripensato. Devo ammetterlo: credo che quello di Suzuka sia stato l’unico caso in cui non mi sono sforzato di mettermi al posto di chi criticavo, perché troppo preso emotivamente dal fatto che Jules fosse in ospedale. Non tanto per rivedere la mia idea, perché non potrò mai farlo, ma per capire cosa aveva portato e cosa c’era dietro quella che consideravo una gestione sbagliata di una situazione grottesca. Forse è vero: Charlie Whiting era quello che ci metteva la faccia anche quando non dipendeva tutto da lui e questo, dai piloti in giù, era noto. Per questo, da quanto emerge oggi, tutti gli volevano bene e lo consideravano quasi come un secondo padre in pista. Anche quando sbagliava.

Nonostante tutto sono convinto che la Formula 1 perda in anticipo un altro pezzo importante. Dopo più di trent’anni di servizio, per quanto si possa dissentire, non era così che doveva andare. Whiting era uomo della vecchia guardia, quella che ha contribuito alla costruzione di tutto questo e che ora progressivamente sta lasciando ad un futuro non completamente certo, anzi.

E qui, adesso, penso che se mai un giorno lo scrivere mi avesse dato una possibilità avrei potuto chiedergli dei perché a domande alle quali, magari, non avrei potuto comunque ricevere una risposta, per gli stessi motivi di cui sopra. Oppure chissà, magari ne avrei ricevute colmando, in parte, la mia disapprovazione nata quella mattina. 

Non potrà succedere. E sì, mi spiace.

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