Giusto dieci anni la Formula 1 correva in Bahrain, un paese dove le rivolte popolari erano nei giorni del GP all’ordine del giorno. Dopo la cancellazione dell’edizione 2011, si temeva che anche quella del 2012 potesse subire ripercussioni con team, piloti, addetti ai lavori già presenti in circuito. Alla fine si corse.
Si è corso anche in Arabia Saudita pochi giorni fa: in una Jeddah dove, nella giornata di venerdì, si è raggiunto un limite oltre il quale non si dovrebbe onestamente andare. Credo non si siano mai viste delle prove libere con, sullo sfondo, il fumo di un attacco missilistico a 11 km di distanza in linea d’aria dal circuito e l’odore che penetra nei caschi di piloti.
Da queste pagine ho sempre sottolineato la non necessità dal punto di vista sportivo di andare a correre in luoghi che ottengono l’evento sulla base dell’escalation del soldo, ovvero pagando a più non posso. È evidente, altresì, che nel mio ragionamento ci sia qualcosa di romanticamente sbagliato poiché la Formula 1, per quanto io tenti ancora di considerarla uno sport vero e proprio, non lo è più da tempo; ancor più da quando Liberty Media ne ha cambiato i connotati rendendola a tutti gli effetti un’azienda con il fine ultimo di ogni compagnia, produrre utili. Pertanto, dal punto di vista aziendale, ben vengano i rinnovi decennali, gli ingressi sfarzosi, i contratti plurimilionari, la prospettiva di 30 gare e via dicendo che, entro una decina d’anni, trasformeranno la F1 in una sorta di campionato di calcio itinerante, geograficamente ripartito equamente tra America, Europa, Asia ed Emirati, con doppie gare e magari griglie invertite per aumentare lo spettacolo, nell’accezione peggiore di questo termine.
Credo che, però, a tutto ci sia un limite, ovvero l’incolumità di chi questo sport lo manda avanti. Onestamente, al di là delle ovvie rassicurazioni degli enti governativi sauditi, se fossi stato presente in quel di Jeddah un piccolo pensiero costante a quello che stava succedendo ad un nulla dalla pista l’avrei avuto. E l’infinito venerdì sera nel Paddock è stato la dimostrazione che delle fonti di preoccupazione c’erano.
Ora: in questi anni ne abbiamo viste un po’ di tutti i colori ma siamo sempre rimasti nel limite dello “sport” e delle critiche limitate e circoscritte alla pista, diciamo così. Ma quando si deve avere a che fare con questioni serie come un missile che si abbatte a portata d’occhio no, non va bene. Lo hanno fatto capire i piloti e credo che, al di là delle dichiarazioni di facciata alle quali abbiamo assistito nel weekend, in fondo tutti sappiano che c’è una riga che non deve essere attraversata. E mi auguro che, nei prossimi mesi, vengano poste in essere le necessarie valutazioni al fine di evitare, in futuro, episodi simili. Se è vero, come si dice, che tanti paesi sono interessati ad avere la Formula 1, beh… non basta che scegliere.
Immagine: ANSA
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