NASCAR | Texas 1997: un debutto disastroso

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Tempo di lettura: 15 minuti
di Gabriele Dri @NascarLiveITA
29 Marzo 2020 - 12:00
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Inizia questo weekend una serie di articoli storici per colmare la lunga pausa dovuta alla pandemia causata dal coronavirus. Questo weekend la Nascar sarebbe dovuta scendere in pista in Texas e dunque – oltre alla cronaca della “Pro Invitational Series” su iRacing – qui di seguito verrà raccontata una gara storica avvenuta sull’ovale di Fort Worth che riassume però la storia della pista stessa. Così sarà anche nelle prossime settimane seguendo appunto quella che sarebbe stata la sequenza originaria dei circuiti. Se il tempo me lo consentirà recupererò anche gli appuntamenti di Atlanta e Miami già passati.

Manca ancora qualche giorno, ma fra due settimane ricorre il 25° anniversario dell’inizio di una nuova era della Nascar, quella della grande espansione a Ovest e quella di un piano economico saltato a causa di una sopravvalutazione del modello economico risultante. L’11 aprile del 1995 a Fort Worth, Texas iniziarono infatti i lavori per la costruzione del Texas Motor Speedway. Sulla carta sembrava un piano perfetto. La Nascar doveva esplorare le ampie praterie dell’Ovest mentre a Indianapolis Tony George aveva rotto con la CART e aveva fondato la Indy Racing League, un nuovo campionato che avrebbe ridato lustro agli ovali d’America. Nel frattempo nello stato più potente al mondo i soldi della new economy cominciavano a scorrere a fiumi e ad essere reinvestiti in sponsorizzazioni e altre attività. Insomma, sembrava una nuova caccia all’oro senza neanche la necessità di cercarlo dato che ti veniva offerto.

L’idea che venne a questo punto a ISC e SMI (le due principali società proprietarie di circuiti negli USA e in mano rispettivamente alle famiglie France e Smith) misero giù un piano degno di un meme:

  1. Costruire degli ovali da 1.5 miglia in grado di ospitare sia la Nascar che la IRL
  2. Attrarre Nascar e IRL
  3. ????
  4. PROFIT!!!

Come potete ben capire i problemi sorsero al punto 3 di questo processo, ma a questo ci arriveremo più avanti. Torniamo appunto a Fort Worth dove i lavori di costruzione proseguono intensamente e tutto è pronto per la sua apertura. L’inaugurazione simbolica avviene in una data particolare, il 29 febbraio 1996 ma le prime gare arrivano l’anno successivo. L’impianto appena inaugurato è molto particolare, infatti “[…] è stato progettato con un banking in alto di 24° ed uno più in basso di 8° per permettere di ospitare rispettivamente le stock car e le monoposto”. Cosa voglia dire questa frase lo sanno solo Bruton Smith ed Eddie Gossage, rispettivamente proprietario e presidente del circuito.

Il passaggio fra il 1996 ed il 1997 è significativo per la Nascar. Fino a quel momento le trasferte sulla costa Ovest oltre il Mississippi dopo l’addio a Riverside sono soltanto due su 31, una a Sonoma ed una a Phoenix. Nel 1997 invece si raddoppia infatti si va a Fontana (appena costruito da Roger Penske) e appunto a Fort Worth, ma le gare in calendario sono 32, dunque una corsa è saltata. E la pista che non è più presente è North Wilkesboro, l’unico ovale insieme a Martinsville su cui si correva fin dalla prima edizione della Cup Series. Ormai l’ovale della North Carolina è piccolo e malridotto e fa una brutta pubblicità alla moderna Nascar e perciò si decide di abbandonarlo al suo destino per far posto ad un circuito faraonico come appunto il Texas Motor Speedway. Non è la prima gara in Texas per la Cup Series: nel 1971 si corse una e una sola volta al Meyer Speedway di Houston, un ovale da 0.5 miglia, dove vinse Bobby Allison mentre dal 1969 al 1981 si disputarono otto gare al fallimentare Texas World Speedway, tuttavia anche in quell’occasione le stock car non attecchiscono nel “Lone Star State”. Ma ora devono farlo visti gli investimenti fatti.

14 aprile 1996: l’ultima gara primaverile a North Wilkesboro. Il confronto con il Texas Motor Speedway si capisce già da questa immagine

Bruton Smith ha costruito spendendo 250 milioni di dollari un gioiellino da oltre 150’000 spettatori mentre a North Wilkesboro ce ne potevano stare al massimo 40’000. Sembra una sfida vincente in partenza e infatti tutti salgono sul treno verso l’Ovest ma non solo: Smith ha già aperto i cantieri a Las Vegas e in Kentucky mentre i France sono attivi a Miami, Chicago e in Kansas. Cosa hanno in comune tutti questi ovali? Esatto, sono tutti lunghi esattamente 1.5 miglia e sono una replica quasi perfetta, tranne qualche piccola variazione sul tema, del Charlotte Motor Speedway. E’ l’invasione dei cosiddetti cookie cutter, gli ovali fatti con lo stampino: nel 1996 le gare su ovali da 1.5 miglia erano quattro su 31, due ad Atlanta e due a Charlotte e i due circuiti erano pure nettamente diversi fra loro. Nel 2020 sono (saranno?) 11 su 36 e se non fosse stato per l’introduzione del Roval di Charlotte nel 2018 sarebbero stati un terzo di tutta stagione.

Ma torniamo a quel 1997: nei mesi precedenti Bruton Smith ha dovuto mettersi alle spalle anche numerose polemiche. Il terreno su cui è stato costruito l’ovale era di proprietà della Fort Worth Sports Authority, una società semi-pubblica che però poi ha concesso l’area appunto a Smith per un canone di appena 50’000$ e li esentava dal pagamento delle tasse. Il disavanzo stimato nelle casse pubbliche era addirittura di 1.5 milioni di dollari all’anno e per placare le polemiche a nulla erano servite né le stime di un ritorno economico di 160 milioni di dollari all’anno dalle attività del circuito né una causa vinta da Bruton in tribunale.

A marzo si svolgono i primi test ed iniziano i grattacapi. In curva1 e in curva2 ci sono dei bump notevoli e Dale Earnhardt ritiene che – a causa della particolare conformazione citata in precedenza – la pista sia troppo stretta. Manca solo un mese al gran ballo e sono necessari lavori d’urgenza, persino alla pit lane che viene allargata. Ma in pochi sanno che i guai grossi sono in curva4.

Finalmente arriva il weekend del 6 aprile, quello del debutto sul palcoscenico. E si inizia subito male. Al giovedì Ricky Craven si schianta in curva4 e riporta una commozione cerebrale e la frattura di una scapola. Salterà due gare, ma il trauma cranico lo segnerà per i successivi due anni. Al venerdì piove e le qualifiche della Cup Series saltano, mettendo così in pole position il leader del campionato Dale Jarrett. Il sabato il tracciato è in condizioni pietose e in una curva l’asfalto si sta già disintegrando durante l’ultima sessione di libere, poi tutto viene riparato e la gara della Busch (ora Xfinity) Series si conclude senza grossi problemi, tranne qualche testacoda e incidente isolato nella prima fase, e viene vinta da Mark Martin. Poi arriva la domenica e Bruton Smith a fatica sopravvive quelle 24 ore.

La pioggia del venerdì si fa ancora sentire ed i parcheggi (non asfaltati ovviamente) sono ancora allagati e non possono essere utilizzati. Dove mettere dunque decine di migliaia di vetture? Bruton chiama il Dipartimento dei Trasporti dei Texas che gli offre come parcheggio… la vicina Texas State Highway 170! Il risultato fu che alle 8 di mattina, a circa quattro ore dalla bandiera verde, la coda per raggiungere la pista raggiungeva i 25 km di lunghezza. Una débacle simile ci fu anche nel 2011 per il debutto in Cup Series del Kentucky Speedway, sempre di proprietà di Smith. La crisi è totale, al punto che Van Cliburn, il quale doveva raggiungere la pista in elicottero per interpretare l’inno nazionale non riuscirà ugualmente ad arrivare in tempo per l’inizio della gara.

A questo punto probabilmente un già nervoso e disperato Bruton Smith si siede finalmente in tribuna per godersi la gara, la sua gara, quella per cui ci ha messo impegno e soldi per due anni, e la prima cosa che vede è questa:

Poco importa chi inneschi il big one in curva1 su una pista visibilmente ancora sporca (sembra che Johnny Benson tocchi Darrell Waltrip) ma il risultato che delle 43 auto al via ben 13 sono coinvolte in un incidente dopo nemmeno una delle 500 miglia in programma. Le vetture che ci sono finite – in ordine di numero – sono quelle di Shepherd, Earnhardt, Speed, Brett Bodine, Darrell Waltrip (unico costretto al ritiro), Todd Bodine, Benson, Skinner, Mayfield, Robby Gordon, Hamilton, Kyle Petty e Mast. I segnali non sono buoni e la gara infatti sarà un continuo alternarsi di incidenti e fasi di green in cui effettivamente la competizione è avvincente, seppur non mancheranno le discussioni anche su questo, dato che la pista è stretta e la traiettoria buona pare essere solo una.

Dopo un altro incidente multiplo al giro 18 (coinvolti Sacks, Cope e Hillin), inizia una fase di green lunga ben 72 giri in cui il grande protagonista è Jeff Gordon ma a contendersi la vittoria saranno altri. Infatti dopo il testacoda isolato di Spencer ed il motore rotto da Mark Martin, poco prima di metà gara c’è il secondo big one: gli estratti in questo caso sono Rusty Wallace, Marlin, B.Bodine, Musgrave, Sacks, Jeff Gordon, Irvan, Skinner e Trickle. “Cautions breed cautions” e così subito dopo Benson finisce in testacoda e poi ancora qualcuno perde olio in pista.

Finalmente arriva il secondo long run della gara (63 giri) e a salire in cattedra è Terry Labonte sulla iconica #5 sponsorizzata Kellogg’s del Team Hendrick. Per “Texas Terry” – così come è soprannominato il pilota di Corpus Christi – vincere la gara inaugurale nel proprio stato di nascita sarebbe un sogno incredibile nonché una storia di copertina, ma Steve Grissom decide diversamente e la caution da lui provocata cambia ancora volto alla gara.

Si riparte a 77 giri dalla fine con Ricky Rudd davanti a tutti ma ancora una volta alla ripartenza c’è un incidente e a finirci dentro sono Benson (terzo estratto), Nemechek e Little. La strategia di Rudd salta e così in testa passa Todd Bodine ma la lotta per la prima posizione con Jeff Burton non va a finire bene. E’ la decima caution della giornata per 73 giri complessivi (su 334) dietro la pace car e per fortuna è anche l’ultima.

Mancano a questo punto 53 giri alla fine e in testa si è portato Jeff Burton. Non ci saranno più incidenti né problemi, il giovane di casa Roush allunga e stacca Dale Jarrett, Bobby e Terry Labonte, Ricky Rudd, Dale Earnhardt, suo fratello Ward e Sterling Marlin, ultimo a pieni giri. Dopo addirittura 4 ore e 16 secondi di gara la Ford Thunderbird #99 taglia il traguardo e Jeff Burton può festeggiare la prima vittoria in Cup Series.

Non è bello quando il video riassuntivo di tutti gli incidenti di una gara è lungo quasi 10 minuti…

A conti fatti si può derubricare tutta questa serie di incidenti al fatto che il Texas Motor Speedway fosse una pista nuova, ma i problemi citati in precedenza daranno all’ovale di Fort Worth sempre un ruolo controverso nel calendario. Ad esempio la IndyCar ci corre fin dal 1997 una apprezzata gara che è il culmine di un weekend estemporaneo che vede la presenza anche della Truck Series, ma non sempre sono state rose e fiori: la gara inaugurale vede la famosa vittoria di Arie Luyendyk assegnata inizialmente a Billy Boat per un errore di cronometraggio e che l’olandese dovette lottare per avere, non solo burocraticamente ma anche coi fatti con AJ Foyt.

https://www.youtube.com/watch?v=kR3NY9n_hIY

All’inizio del 1998 a Fort Worth si riapre il cantiere per modificare la transizione fra curva4 e rettilineo di partenza, troppo brusca e che ha messo in difficoltà moltissimi piloti. Non sarà sufficiente: anche la gara del 1998 è ricca di incidenti e Greg Sacks quasi perde la vita in curva2 e tornerà in pista soltanto oltre un anno più tardi, ma la sua carriera è praticamente finita lì. “Back to the drawing board” come si suol dire e al modico costo di quasi 2 milioni di dollari si riapre il cantiere da completare in meno di due mesi. Il fantasmagorico doppio banking viene piallato, la carreggiata viene allargata, le transizioni fra curve e rettilinei vengono ammorbidite e quello che ne nasce… è una copia perfetta dell’ovale di Charlotte! Il lavoro, riasfaltatura molto più accurata inclusa dopo un poco diplomatico “Shut up and drive!” iniziale di Smith e Gossage ai piloti, viene completato appena otto giorni prima della gara di giugno di IRL e Truck Series.

Nel 2001 poi la IRL doveva correrci il weekend successivo all’11 settembre ma ovviamente la corsa venne rinviata di un mese. Due anni dopo a pochi giri dalla fine Kenny Brack si schianta sulle reti in curva3 in uno degli incidenti più violenti della storia e che troncherà la carriera del pilota svedese. Nel 2016 sotto un cielo plumbeo Daly e Newgarden vanno a muro e Josef ci rimette una mano ed una clavicola. La beffa per loro è che la pioggia arriva poco dopo e una gara iniziata il 12 giugno si concluderà soltanto il 27 agosto.

Nel 2001 anche la CART aveva provato a sbarcare in Texas ma quella corsa passerà alla storia come una non-gara. La CART voleva gareggiare in Texas già nel 1997, ma aveva capito che il dual banking era una una sciocchezza (eufemismo) e quindi aveva rinunciato. Solo dopo i lavori del 1998 le relazioni erano ricominciate fino all’accordo in vista della gara del 29 aprile 2001. Solo quando si arrivò in pista si capì il guaio in cui tutti si erano ficcati. Le auto della IRL erano nettamente meno potenti ed avevano più downforce, la CART invece aveva dei bolidi turbo da oltre 900 CV. Sei mesi prima Gil de Ferran aveva completato il giro più veloce della storia su un circuito chiuso – 241.428 mi/h (388.541 km/h) – a Fontana e in Texas, seppur fosse un circuito più piccolo si rischiavano velocità simili.

Già dai test di dicembre sorsero le prime preoccupazioni e la pressione del turbo fu abbassata da 40 inHg a 37, ma nonostante questo già dalle sessioni di prova Scott Dixon girò a oltre 225 mi/h di media quando la pole della IRL nel 1998 era stata simile prima che la categoria di Tony George decidesse di limitare le prestazioni per scendere a circa 215 mi/h. Al venerdì mattina ci fu la prima sessione di libere e in una top5 tutta brasiliana Tony Kanaan stampò un 233.539 mi/h davanti a C.Fittipaldi, Castroneves, Da Matta e de Ferran. Al pomeriggio Brack migliorò il dato e lo fissò a 233.785 mi/h, ma poi Steve Olvey, il medico della CART, notò che qualcosa non andava. I piloti uscivano dalle vetture con sintomi di nausea, disorientamento e perdita di equilibrio, ma nonostante questo si andò avanti e al sabato mattina Paul Tracy volò a 236.678 mi/h e Brack si prese la pole a “sole” 233.4 mi/h poi Olvey chiamò il time-out, non si poteva andare avanti così. Le accelerazioni laterali erano oltre i 5G per gran parte del giro e i piloti le stavano soffrendo sempre di più. Impensabile fare 600 km così e la gara fu cancellata la domenica mattina. La CART non tornò più in Texas e perse – si stima – 6 milioni di dollari nella causa che ne seguì in tribunale, dando il via in pratica al fallimento del 2003.

E gli altri ovali costruiti in quel periodo per ospitare sia le stock car che le monoposto hanno centrato l’obiettivo? No, decisamente no. Fontana ha visto 14 gare fra CART e IndyCar ma non ci si va dal 2015, a Las Vegas le corse sono state sette fino al tragico destino di Dan Wheldon, a Miami ci si è andati 15 volte ma l’ultima risale al 2010, a Chicago, in Kansas e in Kentucky le gare sono state circa 10 ma come per Homestead non ci si fa tappa da un decennio. Inutili anche i tentativi di creare dei circuiti stradali banalotti nell’infield per ospitare la Grand-Am. Il fallimento della CART e l’assorbimento da parte della IRL poi diventata IndyCar ha ricreato un campionato per monoposto con ovali, stradali e cittadini e dunque gli ovali che erano la base della IRL sono dovuti uscire dal calendario per creare un calendario più equilibrato.

Il giochino di fine anni ’90 si è dunque rotto attorno al 2010 e a tenerlo in piedi c’era rimasta in pratica solo la Nascar. In Texas per fortuna sono arrivate anche altre emozioni, ad esempio con la prima vittoria in carriera di Dale Earnhardt Jr, con la follia di Kyle Busch nella Truck Series che spedisce a muro Ron Hornaday Jr. o con la grande rissa del 2014. Poi anche qui il giocattolo si è rotto. Le vetture della Gen-5 e Gen-6 si sono adattate poco agli ovali da 1.5 miglia poiché ormai erano dai prototipi con un effetto suolo ben sviluppato che rendeva questi circuiti sempre più una pista per macchine telecomandate che o rimanevano incollate all’asfalto o erano protagoniste di voli spettacolari, come quello di Michael McDowell.

E quando anche la fan base ti molla e ti accusa di essere uno dei responsabili della crisi della Nascar, anche se le colpe non sono completamente tue, è necessario cambiare. A Charlotte si costruisce dunque il Roval mentre al Texas Motor Speedway il tuttofare Eddie Gossage si “inventa” l’ovale asimmetrico, allargando e abbassando le curve 1-2 per rendere più interessante la pista. E così quella che è nata come una copia quasi identica di Charlotte assume finalmente una identità tutta sua, ma potrebbe essere troppo tardi. Chissà se nel calendario del 2021 della Nascar ci sarà ancora spazio per così tanti cookie cutter. Ai posteri l’ardua sentenza, ma c’è già qualcuno che 25 anni dopo ha bollato quella scelta come una delle decisioni più sbagliate della storia della Nascar.

Qui potete rivedere integralmente la Interstate Batteries 500 del 1997

Immagine: twitter.com/TXMotorSpeedway; GettyImages per forbes.com

Fonti: reddit.com/r/NASCAR; en.wikipedia.org; racing-reference.info; nytimes.com; openstreetmap.org; star-telegram.com

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