NASCAR | Million Dollar Bill

di Gabriele Dri
NascarLiveITA
Pubblicato il 1 Settembre 2020 - 10:00
Tempo di lettura: 26 minuti
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NASCAR | Million Dollar Bill

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Quattro gare monumento e tre successi nell’arco di sei mesi. Un’impresa riuscita a pochissimi nella storia e premiata con un milione di dollari soltanto due volte, la prima nel 1985


35 anni fa Bill Elliott entrò nella leggenda, cementando per sempre il suo nome nella storia e nella “Hall of Fame” della Nascar. Con la vittoria a Darlington nella Southern500 “Awesome Bill from Dawsonville” portò infatti a casa la terza gara monumento della stagione sopo Daytona500 e Winston500 a Talladega. Non era la prima volta che questo accadeva nella storia, ma in quel 1985 questo incredibile risultato valeva molto di più. Quanto di più c’era scritto sull’assegno che gli venne consegnato: 1’000’000$.

Il “Winston Million”

Dopo quasi 15 anni di sponsorizzazione della Cup Series, al banchetto finale del 1984 la Winston decise di rilanciare il legame con la Nascar mettendo sul tavolo figurativamente le mazzette di dollari. A mucchi. La cifra totale per due nuove idee riguardo allo svolgimento del campionato era immensa per l’epoca, ovvero un milione e mezzo di dollari. Per fare un confronto, tale montepremi, equivalente a 3.6 milioni di $ di oggi, era otto volte quello che il vincitore della Daytona500 – la gara più ricca dell’anno – di quel 1985 si sarebbe portato a casa.

A chi sarebbero andati questi soldi? 500’000$ sarebbero stati ripartiti fra i partecipanti ad una nuova gara ad inviti, ovvero la All-Star Race, che si sarebbe disputata a fine maggio a Charlotte. A qualificarsi per la prima edizione di tale corsa furono 12 piloti e a portarsi a casa fra mille polemiche la maggior parte dei soldi (200’000$) fu Darrell Waltrip. Infatti la sua Chevy #11 del team di Junior Johnson dominò la gara e incredibilmente il suo motore resse per appena lo stretto necessario, poi subito dopo il traguardo esplose in mille pezzi. I maligni dissero che Waltrip sfrizionò appena finita la corsa per farlo rompere ed impedire così che ai controlli tecnici ci si rendesse conto dell’irregolarità del propulsore. Darrell negò sempre questo ma 35 anni dopo i dubbi restano.

Il restante milione di dollari fu messo sul piatto per un progetto ritenuto impossibile ai più: nome in codice “Winston Million”. Lo sponsor decise che chi avrebbe conquistato nello stesso anno tre delle quattro gare monumento (Daytona500, Winston500 a Talladega, CocaCola600 a Charlotte e Southern500 a Darlington) si sarebbe portato a casa quell’immenso bonus. Immenso perché fino a quel 1985 nessun pilota aveva mai portato a casa un milione di dollari in una intera stagione, figurarsi farlo con “sole” tre vittore.

Tuttavia la Winston sottovalutò molto questa opportunità ritenuta molto rara. Infatti soltanto in due occasioni qualcuno aveva ottenuto questo risultato, LeeRoy Yarbrough nel 1969 (e fece anche meglio dato che Talladega entrò in calendario solo l’anno successivo e quindi fece cappotto fra Daytona, Charlotte e Darlington) e David Pearson nel 1976 (sempre Daytona, Charlotte e Darlington mentre si ritirò a Talladega). E sottovalutando questa eventualità commisero l’errore di non stipulare una assicurazione contro questo evento, quindi se qualcuno avesse conquistato il “Winston Million” avrebbero dovuto sborsare i soldi di tasca propria.

Daytona

La stagione 1985 iniziò nel bel mezzo della cosiddetta “aero war” che in pochi anni portò la Cup Series dall’essere una categoria di stock car ad una di veri e propri prototipi. Le protagoniste principali erano Ford e Chevy mentre le altre case (Buick, Oldsmobile, Pontiac e soprattutto Chrysler che di lì a poco abbandonò la Nascar) andarono in crisi di fronte agli enormi investimenti portati dagli altri due colossi di Detroit. A Daytona la casa dell’ovale blu portò in pista la nuova versione più aerodinamica della Thunderbird e per la Monte Carlo della concorrenza – almeno sugli speedway – le speranze di vittoria finirono il 10 febbraio quando la Chevy di Terry Labonte, campione in carica, conquistò il Busch Clash.

Poi arrivarono le qualifiche e Bill Elliott con la sua Ford Thunderbird #9 del Melling Racing sverniciò tutti. Alla fine del giro lanciato la velocità media lasciò a bocca aperta tutto il garage: 205.114 mi/h. L’anno prima Cale Yarborough si mise davanti a tutti con 201.848 mi/h, Elliott migliorò quel giro sulle 2.5 miglia di addirittura 710 millesimi. Nei pochi giorni fra le qualifiche ed il Duel che avrebbe determinato la griglia di partenza definitiva, vista la regolarità di motore e vettura, tutti cominciarono a sperare che quella prestazione fosse frutto solo di un propulsore tarato per la qualifica ma che sulle 125 miglia del Duel e poi nella 500 miglia avrebbe sofferto.

Giovedì 14 febbraio: Elliott partì ovviamente dalla pole nel primo Duel, lasciò un giro in testa a Terry Labonte (ritiratosi per rottura del motore dopo sole nove tornate) ed uno a Greg Sacks alla fine 7°. Poi prese e se andò. Non lo rivedettero più: 48 giri in testa su 50 ed un vantaggio al traguardo di addirittura 37″ su Darrell Waltrip – dunque non il primo che passava di lì – lasciando a pieni giri soltanto Benny Parsons, Buddy Baker e Ricky Rudd. Nel gruppo scattò il panico, oltre alla corsa per cercare cosa rendeva la combinazione Ford Thunderbird – Melling Racing – Bill Elliott così dominante. Bisogna ricordare però che di Harry Melling c’erano in pratica solo il nome ed i soldi, infatti quest’ultimo comprò il team dalla famiglia Elliott ma la squadra rimase uguale, con Bill pilota, suo papà George come team manager ed i fratelli Ernie e Dan in qualità di crew chief e responsabile delle gomme. Non trovando cavilli a cui appellarsi, tutti gli avversari o quasi decisero di rischiare il tutto e per tutto facendo una messa a punto al motore molto aggressiva.

Domenica 17 febbraio, Bill Elliott ovviamente non avendo avuto problemi durante la settimana partì dalla pole position nella 500 miglia. Per farla breve il rischio preso dai 39 avversari di Elliott non pagò. Escludendo i piloti di rincalzo, il primo motore a saltare fu quello di Kyle Petty a circa un quarto di gara, al giro 62 fu la volta di Cale Yarborough che con i suoi 32 giri al comando fino a quel momento era stato l’unico a tenere veramente testa a Bill Elliott. Poi in rapida fra i giri 80 e 84 partirono la frizione di Richard Petty ed i motori di Bobby Allison, Dale Earnhardt e Benny Parsons. Entro metà gara i ritirati erano già 13, con le aggiunte alla lista di AJ Foyt e David Pearson, con quest’ultimo che salutò per sempre Daytona così.

Nel frattempo Bill Elliott continuava a guidare la gara. La prima caution al giro 71 (incidente di Tim Richmond) aveva intrappolato nel mezzo del giro delle soste molti dei suoi avversari – incluso Darrell Waltrip – tra i doppiati e da quel momento in poi praticamente gestì la corsa. Con Yarborough fuori dai giochi ad ereditare il ruolo di antagonista ci fu Neil Bonnett malgrado girasse a 192 mi/h di media contro le 198 di Elliott, ma questo avvenne solo per un contrattempo al team #9. I commissari in occasione della sosta di Bill al giro 145 obbligarono i meccanici a riparare, per questioni di sicurezza molto fiscali, il faro anteriore destro danneggiato a causa di un detrito volante. La sosta di Elliott durò così addirittura 41.2″ e soltanto questo permise alla caution del giro 162 (auto ferma in pista di Dave Marcis) di avere le auto di Bonnett e Lake Speed ancora a pieni giri.

Nel finale soltanto ulteriori tre caution, la prima causata dalla ruota staccatasi dalla bianca #1 del Petty Enterprises di Dick Brooks e la seconda dal testacoda di Lennie Pond, mantennero i tre abbastanza vicini. Bonnett diede tutto quello che aveva, giocò di strategia, scie e alleanze, ma a cinque giri dalla fine anche il suo motore (dopo quelli di Harry Gant e Terry Labonte) esalò l’ultimo respiro provocando l’ultima bandiera gialla. Senza Neil di mezzo rimasero a pieni giri soltanto Bill Elliott e Lake Speed. Può una Pontiac #94 del Rahmoc Enterprises, che fino al giorno prima era completamente bianca e che solo a poche ore dal via trovò uno sponsor, battere una delle squadre più forti in assoluto e che aveva dominato la settimana intera? Purtroppo la risposta che uscì dallo sprint finale di un giro (sì, i commissari diedero la bandiera verde e la bianca insieme) fu no. Elliott non ebbe alcun problema nelle ultime 2.5 miglia e vinse la sua prima Daytona500 con 0.94″ di margine su Speed e un giro su Waltrip, Baker, Rudd e Sacks.

Elliott completò il tris pole – Duel – 500 miglia che era riuscito soltanto a Fireball Roberts nel 1962 e a Yarborough un anno prima e che da quel giorno a 35 anni di distanza non ha più ripetuto nessuno. Ma lasciando Daytona tutti si preoccuparono davvero della velocità della nuova Thunderbird sugli superspeedway. La prova d’appello sarebbe arrivata due mesi e mezzo più tardi.

Talladega

Domenica 5 maggio. Alla bandiera verde le speranze di veder vincere un pilota che non si chiamasse Bill Elliott erano già minime. Malgrado i piccoli aggiustamenti regolamentari da parte della Nascar (tutte le Ford furono rialzate di mezzo pollice mentre le Chevy furono abbassate della stessa quantità) per limitare il dominio visto a Daytona, una decisione arrivata solo dopo le polemiche innescate da Waltrip, infatti la #9 nelle qualifiche chiuse il giro alla media record di 209.398 mi/h. Un anno prima come in Florida la pole fu di Yarborough ma a 202.692 mi/h, 1.513″ più lento sulle 2.66 miglia della pista dell’Alabama.

Mentre tutti si chiedevano quale fosse il segreto del Melling Racing (dopo 35 anni ancora ci si interroga se l’auto fosse una riproduzione in scala 9:10 della vettura stradale in un’epoca in cui i template ancora non erano previsti ai controlli tecnici, oppure se i motoristi avessero trovato il modo di mandare aria ad una pressione superiore nei carburatori), Elliott partì e sostanzialmente guidò la gara per i primi 36 (di 188) giri tenendo a bada Earnhardt, Kyle Petty e Yarborough. Poi all’improvviso il colpo di scena: Bill rientrò ai box seguito da una nuvola di fumo. Dopo un giro al rallentatore la #9 arrivò in pit lane e i meccanici alzarono il cofano e trovarono subito la causa la causa: rottura di un raccordo del circuito dell’olio. Straordinario fu il fatto che in circa due minuti Elliott fu di nuovo in gara seppur staccato di due giri dal gruppo di testa. Al capolavoro dei meccanici seguì quello del pilota.

A Daytona Bill sostanzialmente guidò di conserva per metà gara, qui fu costretto a dare il 101% per vedere che risultato si poteva portare a casa malgrado l’handicap. Ne venne fuori probabilmente la corsa più bella in carriera di Elliott. In appena 110 giri e senza l’ausilio di alcuna caution infatti la #9 recuperò i due giri persi girando a 208-209 mi/h di media (spesso pure senza scia) e tornò al comando della gara. Solo due caution nel finale ricompattarono il gruppo, ma non ci fu nulla da fare: Elliott vinse pure a Talladega con 1.72″ di vantaggio su Kyle Petty con Cale Yarborough unico altro pilota a pieni giri. Media della corsa: 186.288 mi/h, la gara più veloce della storia fino a quel momento e a tutt’oggi la seconda di sempre dopo l’incredibile 500 miglia senza caution sempre a Talladega vinta da Mark Martin nel 1997 a 188.354 mi/h.

Per gli avversari dopo Daytona questo fu un colpo da ko ancora più duro del primo, un’impresa in rimonta che nella storia del motorsport fu superata in una 500 miglia probabilmente solo da Jacques Villeneuve nel 1995 a Indianapolis, quando per una penalizzazione di due giri vinse la classicissima dell’Indiana disputando effettivamente 505 miglia. L’unica speranza per gli altri piloti era che nel calendario non c’erano solo speedway ma anche short track. E infatti malgrado il dominio di Elliott a Daytona e Talladega, unita ai successi di Atlanta e nella prima gara di Darlington, dopo nove gare la #9 era soltanto terza in classifica generale staccata di 31 punti da Geoffrey Bodine e 43 dal leader Terry Labonte.

Ad avere paura però furono anche i responsabili della Winston. Infatti Elliott aveva conquistato le prime due tappe del neonato “Winston Million” e tre settimane più tardi a Charlotte avrebbe avuto il primo di due match point per portarsi a casa un milione di dollari.

Charlotte

Domenica 26 maggio. Ad appena 24 ore dalla All-Star Race raccontata in apertura i piloti tornarono in pista per la classicissima 600 miglia che entrò in quel 1985 nell’era moderna. Infatti fin dall’edizione inaugurale del 1960 tale gara era stata chiamata “World 600” a darle più significato di quanto alla fine ne ebbe, anche perché era difficile lottare sullo stesso palcoscenico della Indianapolis 500 che si correva negli stessi giorni. A partire dall’edizione di 35 anni fa arrivò però il primo sponsor e quindi il nome della corsa per quell’anno fu “Coca-Cola World 600” e poi dal successivo solo “Coca-Cola 600”. Anzi, in quel 1985 il nome ufficiale fu “Winston Million Running of the Coca-Cola World 600” perché ovviamente tutti gli occhi erano su Bill Elliott che con una vittoria si sarebbe portato a casa un milione di dollari.

E le qualifiche andarono subito bene per la #9: stavolta non arrivò il record della pista ma la pole position sì, e il giro fu comunque strabiliante, 164.703 mi/h di media con Harry Gant secondo a 162.968, ovvero staccato di 349 millesimi in appena 1.5 miglia. E i dirigenti della Winston ricominciarono a tremare. Dovettero farlo per esattamente 81 giri su 400 e per loro fortuna l’ultimo di questi non fu il 400° bensì appena il 155°. Infatti Elliott guidò per più di metà dei primi 375 km di gara, poi perse terreno a causa di un problema meccanico al cilindro maestro che lo lasciò in una nuvola di fumo, una delle prime occasioni in quella stagione ma sicuramente non l’ultima. Bill concluse la gara al 18° posto staccato di 21 giri dal vincitore dato che in questa occasione, a differenza di Talladega, per la riparazione servirono ben più di 2 minuti.

A conquistare l’ultima “World 600” e la prima “Coca-Cola 600” fu Darrell Waltrip che diventò così il primo pilota (alla prima occasione utile) a fare la doppietta con la All-Star Race. La vittoria come quella del giorno precedente non fu senza polemiche, infatti il motore esploso dopo il traguardo doveva essere ovviamente sostituito e il cambio fu approvato solo dopo una lunghissima discussione con il commissario capo della Nascar il quale doveva indagare su quanto successo viste le voci che giravano. Alla fine la sostituzione fu approvata e Waltrip partì quasi in extremis.

Non fu un successo semplice, infatti i duelli con Harry Gant e Dale Eanrhardt durarono per tutto il giorno. Dale passò in testa 97 giri, Darrell 91 ed Harry 82, la somma insieme agli 81 di Elliott fa 351 su 400. I quattro dominarono in sintesi la 600 miglia lasciando le briciole agli avversari. Waltrip vinse rischiando con la strategia ma anche di abilità facendo durare l’ultimo pieno per ben 110 giri (si vede che le auto erano molto meno potenti e assetate di oggi), passando ancora una volta per ultimo Harry Gant, nella All-Star Race questo avvenne all’ultima tornata, nella 600 miglia ai -10. Per la prima volta inoltre Darrell non festeggiò da solo, infatti quel giorno debuttò in Cup Series suo fratello Michael, costretto al ritiro (28°) per la rottura della trasmissione.

Due mesi più tardi a Darlington si sarebbe deciso il “Winston Million”, Bill Elliott avrebbe avuto il secondo e ultimo match point per portare a casa un milione di dollari, in caso contrario si sarebbe dovuto accontentare di “soli” 100’000$. Anche Waltrip però annusava l’odore dei soldi, infatti con un successo avrebbe vinto due delle quattro tappe e quindi anch’egli avrebbe portato a casa 100’000$.

Darlington

Domenica 1° settembre. 80’000 spettatori affollano l’ovale della South Carolina per la “Winston Million Running of the Southern 500” quando invece la capienza massima teorica è di soli 60’000. Sicuramente tutti questi non sanno quello che è successo in mezzo all’Oceano Atlantico poche ore prima alle 0:00 (ora di Darlington, le 2:00 sul luogo dell’avvenimento): dopo anni di ricerche finalmente era stato localizzato con precisione il relitto del Titanic. Nessuno si poteva immaginare in quel giorno che questo ritrovamento potesse generare una passione ed una emozione tali da portare alla creazione di un film che appena 12 anni dopo incassò 2.18 miliardi di dollari. E di fronte a questa cifra il milione di dollari in palio a Darlington passa sicuramente in secondo piano, ma non per gli appassionati della Nascar. Tutti gli occhi sono ovviamente su Elliott e Bill non delude fin dalle qualifiche: anche in questo caso non arriva il record della pista ma la pole position sì a 156.641 mi/h.

Elliott scatta dunque dalla pole e trascorre in testa i primi 14 giri, dopo i quali viene scavalcato da Earnhardt, e in seguito, grazie alla sosta in occasione di una caution, per altri 38 fra il n°63 ed il n°100 (su 367), poi però viene superato da diversi avversari. Bill dopo la gara dirà che aveva probabilmente la quinta o sesta auto più veloce in pista, forse non è vero, però al giro 152 è quinto, infatti è stato scavalcato da Earnhardt, Gant, Geoff Bodine e Yarborough. E allora decide di recuperare la lezione del 1977, quando da giovanissimo su una vettura schierata da suo padre conquistò proprio su questa pista la prima top10 in carriera: concentrazione e non commettere errori.

La Southern500 è una gara tremenda, calda, umida e lunga e la pista di Darlington è insidiosa in ogni momento. Bill però paradossalmente ha la mente più libera rispetto a Charlotte al primo match point. Allora l’attenzione nei suoi confronti fu morbosa, nel garage c’erano giornalisti ovunque che volevano parlargli in ogni momento fino a quasi intervistarlo mentre lui stesso era impegnato sotto la sua Thunderbird #9 a fare modifiche d’assetto. A Darlington per fortuna aveva due poliziotti che lo scortavano per tutto il weekend allontanando ogni persona non gradita in quel momento.

La gara è ricca di caution, alla fine saranno ben 14 per 70 giri complessivi, Dale Earnhardt ed Harry Gant dominano seguiti da Yarborough mentre sulla distanza Bodine perde terreno e in occasione di una caution anche un giro. E un avversario è sistemato. Poi Darlington fa le sue vittime. Gant rallenta all’improvviso, il motore Chevy comincia a perde colpi, Harry cerca di resistere in corsa ma alla fine si deve arrendere. E due avversari in meno. “The Intimidator” guida la gara fino al giro 259 quando inizia a perdere terreno (cede il comando a Gant, il quale quando rompe lo lascia a Yarborough), lui e il suo team hanno litigato tutto il giorno con gomme e un piccolo problema meccanico al retrotreno. Dale per tutta la fase centrale è al limite, le sue gomme fumano ad ogni giro, e alla fine al giro 317 Earnhardt finisce loose e bacia a muro in curva2. Dietro di lui c’è Elliott che lo evita per un pelo e riesce a proseguire indenne. Bill dirà: “Non so come ho fatto a passarlo senza toccarlo. Avevo chiuso gli occhi sicuro che arrivasse l’incidente.” E’ questo il momento che dà la svolta alla sua gara, anche perché è il terzo rivale costretto ad alzare a bandiera bianca.

Nella sosta conseguente Elliott prende il comando seguito da Yarborough, però alla ripartenza in curva3 Cale ritorna in testa seppur per pochissimo tempo. Esattamente un giro più tardi la Ford #28 inizia a fumare vistosamente, non è un problema al motore ma forse uno ancora peggiore a Darlington, infatti è il servosterzo che sta perdendo fluidi ed efficacia. Bill, pur non vedendoci nulla in mezzo alla nuvola di fumo, riesce tagliare sull’apron, sorpassare Yarborough e prendere il comando della gara sulla linea del traguardo all’esposizione della bandiera gialla. Sembra che anche l’ultimo ostacolo fra Bill e il milione di dollari sia svanito, ma non sarà così.

Gli ultimi 44 giri sono interrotti da ben 4 caution, la prima appena citata per il fumo che esce dalla vettura di Yarborough, poi una per il cofano di Tim Richmond (che per tutta la gara ha litigato con i commissari) che vola via, una per il motore di Harry Gant che cede definitivamente e l’ultima di nuovo per detriti; anche Earnhardt si ritira per la rottura del motore con i danni causati dall’incidente precedente e così nello sprint di finale di 13 giri a contendersi il successo sono Bill Elliott, nonostante tutto Cale Yarborough e Geoff Bodine, ritornato a pieni giri grazie alle caution.

Quest’ultimo praticamente non rappresenta mai un pericolo per Bill mentre Cale pur dovendo lottare con tutte le sue forze per far girare la vettura resiste, probabilmente favorito dal fatto che la pompa del servosterzo non dovendo più lavorare restituisce qualche cavallo al motore, e rimane vicino all’avversario. Ormai inizia il conto alla rovescia e si capisce che la storia sta per essere scritta. Il compito di far entrare questo momento nella mente di tutti tocca al commentatore di ESPN Larry Nuber. Non sarà uno dei telecronisti più famosi o apprezzati, però quel giorno non sbagliò nulla alla bandiera a scacchi:

“Bill Elliott is racing into the record books. Bill Elliott is going towards immortality. Bill Elliott gets the checkered flag! Bill Elliott has won an additional one million dollars in 1985!”

Già, Bill Elliott non ha vinto la Southern500, una corsa che in qualsiasi altro anno sarebbe bramata da tutti i piloti perché fa parte della Nascar fin dalle sue origini. Bill Elliott ha infatti vinto una cifra fino a quel momento mai vista in quell’ambiente, Bill Elliott è appena diventato “Million Dollar Bill” e non più solo “Awesome Bill from Dawsonville”. L’assonanza con le banconote è irresistibile e infatti in victory lane volano dei finti biglietti da 1’000’000$ con impresso ovviamente non il volto di un presidente degli USA bensì quello di “Bill Elliot”. Sì, la Winston sbagliò il cognome sul pezzo di carta (non sull’assegno però), forse non erano così felici di pagare quella cifra di tasca propria.

La versione originale con il cognome sbagliato sulle finte banconote che vennero lanciate in pista durante il giro d’onore di Bill Elliott a Darlington. In una ristampa successiva per altri eventi pubblicitari l’errore fu corretto

Oltre il “Winston Million”: 11 vittorie ma…

Bill Elliott lascia Darlington con un vantaggio in classifica su Darrell Waltrip di oltre una vittoria. “Jaws”, solo 17° quel giorno a 12 giri a causa di problemi ai freni, infatti è staccato di 206 punti ad appena otto gare dalla fine della stagione. Sembra tutto in discesa viste le 10 vittorie ottenute in 20 gare, tutte però su degli speedway mentre ora sta arrivando una serie di short track su cui la Ford in quella stagione non aveva mai vinto lasciando i trofei alla Chevy. E infatti il mese di settembre appena iniziato è un disastro per Elliott, però oltre ogni aspettativa.

La domenica successiva a Richmond Waltrip sorpassa Terry Labonte ad appena sei giri dalla fine andando a conquistare la sua seconda vittoria stagionale, la prima dopo la citata CocaCola600 di Charlotte; Elliott invece conclude soltanto al 12° posto staccato di due giri ed il suo vantaggio su Darrell si riduce a 153 punti. A Dover sette giorni più tardi Elliott domina la prima parte di gara con 173 giri in testa nelle prime 230 tornate, poi un problema meccanico gli fa perdere addirittura 70 giri aprendo la porta ad Harry Gant ma soprattutto a Waltrip che col secondo posto si porta a -86.

22 settembre, Martinsville. Il copione però è lo stesso o quasi di Dover: Elliott accusa un problema meccanico e perde 33 giri, Waltrip è ancora secondo, stavolta dietro a Dale Earnhardt, ed il suo svantaggio ora è di appena 23 lunghezze. A North Wilkesboro il disastro finale: la trasmissione della #9 cede dopo appena 118 giri e a Waltrip basta un deludente 14° posto staccato di 7 tornate per operare il sorpasso. In appena quattro settimane Bill Elliott ed il suo team sono passati da +206 a -30, uno swing incredibile e imprevedibile di 236 punti a favore di un Darrell Waltrip che a quattro gare dalla fine della stagione ha il vento in poppa.

A Charlotte “Awesome Bill” reagisce ed è secondo dietro a Yarborough, all’83esima e ultima vittoria in carriera, ma Waltrip è quarto e perde solo 10 punti. La settimana di pausa permette a Darrell di assestare il vero colpo da ko: Waltrip vince a Rockingham con Elliott quarto ed il vantaggio passa a +35. Il penultimo round è a casa di Bill ad Atlanta e infatti la #9 domina la gara ma Jaws non molla e chiude terzo.

L’ultima gara decisiva è a Riverside, sull’impegnativo stradale californiano. Waltrip ci arriva con 20 punti di vantaggio su Elliott e gli basta in sintesi un terzo posto per laurearsi per la terza volta campione in appena quattro anni. Gli basterà molto meno: come a North Wilkesboro Bill accusa problemi alla trasmissione e perde molti giri al punto che concluderà soltanto al 31° posto. Con il settimo posto (e ulteriori 81 punti guadagnati che portano il vantaggio finale a quota 101) Darrell Waltrip è ancora una volta il re della Cup Series.

Bill Elliott rimane così ancora a secco. Nel 1983 chiuse il campionato terzo ma staccatissimo, stesso risultato nel 1984 dopo un altro mese di settembre sotto la media seppur non così disastroso come quello del 1985 in cui dopo la gara a Darlington del 1° settembre, quasi quasi retrodatabile al 32 agosto visti i risultati successivi, portò a casa un 12°, un 20°, un 17° ed un 30° posto. Ci vorranno altre due stagioni di sconfitte prima di conquistare il suo primo e unico titolo in carriera. L’ultima chance di successo finale la avrà nel 1992, ma la trama sarà molto simile a quella del 1985.

Tuttavia non è questo quello che è rimasto nella memoria dei tifosi. Non è rimasto nemmeno il fatto che lui e Waltrip diventarono i primi due piloti a vincere oltre un milione di dollari in una stagione (per Darrell furono 1’318’375$, dunque sarebbero stati oltre la soglia magica anche senza il successo alla All-Star Race). E pochi si ricordano che anche che anche senza il bonus Elliott avrebbe passato tale soglia e battuto Jaws di pochi spiccioli, e nemmeno l’impressionante cifra totale raggiunta a fine anno di 2’383’186$, che al giorno d’oggi sarebbero 5.73 milioni. Per tutti rimane solo quella gara di Darlington ed un soprannome per l’eternità: Million Dollar Bill.

Gli anni successivi: Million Dollar… Jeff

Malgrado il salatissimo conto da pagare di tasca propria, la Winston ripropose il “Winston Million” anche per gli anni successivi. Per i primi tre anni filò tutto liscio e già alla terza gara, la CocaCola600, c’erano stati tre vincitori diversi fra Daytona, Talladega e appunto Charlotte. Nel 1989 un nuovo pericolo: Darrell Waltrip conquistò Daytona al 17° tentativo sull’auto #17 e poi dopo aver mancato Talladega si prese Charlotte e andò a Darlington – dove non aveva mai vinto la 500 miglia di fine estate contro le quattro della primavera – decisiva per il bonus. La Winston sudò solo per tre giri a metà corsa poi Waltrip si spense e si dovette accontentare del bonus di 100’000$ che spettava ai vincitori di due delle quattro gare.

Nel 1990 e 1991 la sorte fu simile: il bonus da un milione saltò a Charlotte ma rispettivamente Dale Earnhardt ed Harry Gant vinsero Talladega e Darlington (quest’ultima la gara di apertura del magnifico poker consecutivo di Harry che divenne da allora “Mr.September”) e portarono a casa il premio di consolazione. Nello storico 1992 altro allarme rosso: Davey Allison sbancò subito Daytona e Talladega, ma poi concluse quarto a Charlotte e quinto a Darlington (dove Waltrip vinse finalmente la Southern500) e quindi il suo assegno finale aveva uno zero in meno.

Seguirono poi altre tre stagioni di calma piatta, con quattro vincitori diversi nelle quattro gare, poi nel 1996 Dale Jarrett arrivò a Darlington in corsa dopo i successi di Daytona e Charlotte ma concluse ben distante dal malloppo. Infine, il colpo grosso.

E chi poteva sbancare il botteghino se non Jeff Gordon? Il team #24 conquistò subito la Daytona500, la prima in carriera per il giovane pilota, a Talladega chiuse “solo” quinto prima di vincere pure a Charlotte e presentarsi a Darlington già con 100’000 $ in tasca con l’obiettivo di fare x10. Gordon ci aveva vinto già l’anno precedente e il successo sembrava già fatto anche il quel 1997, ma non aveva fatto i conti con Jeff Burton. La rimonta della #99 fu incredibile, il duello finale spettacolare, il distacco finale di appena 0.144″ ma a vantaggio di Gordon che dunque si portò a casa un milione di dollari in più.

Dall’anno successivo la Winston cambiò strategia. In 13 anni aveva sborsato (direttamente o no, si pensa che nel 1997 fosse ben assicurata) due volte il premio principale e cinque volte quello di consolazione – curiosamente mai due piloti vinsero due gare ciascuno portandosi a casa 100’000$ a testa – un po’ pochino per attrarre spettatori a delle gare dal pathos aggiuntivo. Inoltre l’inflazione e l’arrivo di nuovi sponsor fecero aumentare così tanto il montepremi regolare che nel 1998 il vincitore della sola Daytona500 – Dale Earnhardt – si portò a casa poco più di un milione di dollari, dunque il “Winston Million” come cifra da spropositata era diventata quasi normale.

Nacque così il “Winston No Bull 5”: in sintesi alle quattro gare (quella di Talladega divenne quella autunnale al posto della primaverile per una migliore distribuzione nel calendario) del “Winston Million” si aggiunse la nuova gara monumento del calendario, la Brickyard400 di Indianapolis, per entrare in un format ricorsivo che tutt’oggi è presente in maniera simile in Xfinity Series con il Dash4Cash, ovvero i primi cinque della gara precedente si contendevano un milione di dollari nella corsa valida seguente e se uno di loro la vinceva allora si sarebbe portato a casa l’ingente premio.

Fra il 1998 ed il 2002 il bottino fu portato a casa addirittura 13 volte di cui quattro dal solito Jeff Gordon, tre da Jeff Burton, due da Dale Earnhardt Jr. (fra cui l’ultima assoluta) e Dale Jarrett, una infine da Mark Martin e Dale Earnhardt Sr. grazie all’ultimo successo in carriera prima della tragica morte. Anche se esistesse ancora il “Winston Million”, seppur con un altro sponsor ovviamente visto il bando contro le pubblicità di sigarette, dal 1998 ad oggi nessuno si sarebbe portato a casa il milione di dollari, gli unici che avrebbero potuto provarci sarebbero stati ancora Jeff Gordon nel 2005 e Jimmie Johnson nel 2006, entrambi tra l’altro dopo aver vinto subito Daytona e Talladega, poi però mancando gli appuntamenti a Charlotte e Darlington.

L’abbandono della Winston come sponsor del campionato determinò con un anno di anticipo anche la fine del programma a premi organizzato in concomitanza di alcune gare selezionate. Come detto ci sono ancora tracce in Nascar di tutto questo, ma lontane dai fasti di un tempo. Lontane come un giorno di settembre di 35 anni fa quando un fantastico pilota della Georgia divenne famoso in tutta America con il soprannome di “Million Dollar Bill”.

Qui potete rivedere integralmente la “Southern 500” del 1985

Fonti: racing-reference.info; en.wikipedia.org; nascar.nbcsports.com; youtube.com; charlotteobserver.com; motorsportmagazine.com; forbes.com

Immagini: nascarmedia.com (Getty Images); worthpoint.com

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