Il giorno che le gomme (ri)esplosero a Indianapolis

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Tempo di lettura: 13 minuti
di Gabriele Dri @NascarLiveITA
27 Luglio 2018 - 12:00
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La preoccupazione cresce durante le prove libere: le gomme non reggono sul banking di Indianapolis ed esplodono dopo pochi giri. Che fare durante la gara? C’è un problema di sicurezza e non si può andare avanti così. Credete di sapere come va a finire questa storia: dopo mille discussioni, ipotesi e minacce i team gommati Michelin decidono di ritirarsi platealmente dalla gara dopo il giro di ricognizione lasciando la strada spianata alla Bridgestone e alla Ferrari di Schumacher. Beh, io non sto parlando di quella gara, ma di un’altra: la Brickyard400 del 2008.

“What goes up…

Tutto è pronto a Indianapolis per la 15esima edizione della Brickyard400. E’ il 27 luglio del 2008 – esattamente 10 anni fa quindi – e, a differenza di quanto successo nei quattro anni precedenti, nelle settimane antecedenti non c’è più il Gran Premio di Formula 1. Già, perché Tony George, presidente e amministratore delegato della pista, ha voluto espandere notevolmente il marchio “Indianapolis Motor Speedway” svincolandolo dalla sola 500 miglia e portando le altre categorie simbolo del motorsport sul catino dell’Indiana.

La prima nel 1994 fu la Nascar: la categoria più seguita in America si stava espandendo dal Sud-Est in cui era nata per conquistare il Midwest e la costa Ovest. Era come una nuova corsa all’oro, solo che qui c’erano in palio milioni di dollari da nuovi sponsor e dalle TV e il desiderio di allargare gli orizzonti. La prima pedina del Risiko ad essere mandata in avanti fu proprio la più ambiziosa. Tutto nacque per caso da una pubblicità girata dal leggendario AJ Foyt nel 1991 proprio a Indy con una delle sue auto della Cup Series. Il giovane rampante Tony George si incuriosì e in breve il contatto divenne contratto. Il 14 aprile del 1993 l’annuncio storico: nel 1994 ci sarebbe stata la prima gara Nascar a Indianapolis.

Materia e antimateria si incontrarono, ma anziché annullarsi a vicenda crearono un evento con 350’000 spettatori stimati (in confronto ai 400’000 di un paio di mesi prima per la Indy500). In precedenza però c’erano state tre sessioni di test molto seguite, una non ufficiale nel 1992, la prima ufficiale poco dopo l’annuncio nel 1993 (e quel giorno – come abbiamo già detto qualche mese fa – Richard Petty ritornò in macchina sei mesi dopo il ritiro, scese in pista per un gesto simbolico e la sua auto finì dritta nel museo del circuito) e uno nei mesi precedenti alla gara. Già, ma la gara? Un successo nonostante le preoccupazioni su quanto le stock car si potessero adattare all’ovale. Un successo anche perché a vincere fu un figlio adottivo dell’Indiana, la stella nascente della categoria: il suo nome è ovviamente Jeff Gordon.

Tony George però non si fermò qui. Dopo aver propiziato lo scisma della CART e creato la IRL, volle il gioiello della corona: la Formula Uno. Dall’altra parte del tavolo c’è Bernie Ecclestone e anche il patron della F1 non si vuole lasciar scappare l’occasione. E il 24 settembre del 2000 si ri-riscrive la storia del motorsport: 250’000 spettatori arrivano al circuito per vedere il duello fra Michael Schumacher e Mika Hakkinen, decisivo per la lotta al mondiale. Il finlandese ci arriva con soli 2 punti di vantaggio sul tedesco, ma lascerà gli USA staccato di 8 lunghezze dopo che il suo motore Mercedes va in fumo dopo soli 25 giri e in pratica il campionato si decide in quel giorno. 

Due prime volte, due successi. Cosa potrà mai andare storto per Tony George?

…must come down”

In vista del 2004 la F1 decide di ottimizzare il calendario e quindi la trasferta nordamericana diventa una, avvicinando la tappa di Indy a quella canadese. Non l’ideale però per promuovere tre grandi eventi: se la Indy500 è a fine maggio e la Brickyard400 il primo weekend di agosto, il GP di F1 si sposta da fine settembre a fine giugno, in mezzo alle altre due gare. Poca distanza tra queste e quindi i tifosi sono poco invogliati a seguire più di un evento.  

L’inizio del declino però – a mio avviso – ha una data precisa: 10 agosto 2004. Due giorni prima Jeff Gordon ha vinto la sua quarta Brickyard400 e in questa data arriva l’annuncio che l’intero ovale verrà riasfaltato per la prima volta dal 1995. E qualcosa non va secondo le aspettative. 

Progettare e realizzare una riasfaltatura è molto, ma molto complicato. Per una volta vi chiedo di fidarvi ciecamente delle mie parole, ma tutti coloro che hanno studiato ingegneria civile lo sanno bene. Due corsi universitari non bastano per analizzare fino in fondo le dinamiche di un composto visco-elasto-plastico quale il conglomerato bituminoso (guai a chiamarlo asfalto). Per chiuderla in breve, progettare un normale pacchetto di usura, così viene definito tecnicamente, è laborioso persino per le strade che percorriamo ogni giorno, figurarsi farlo per uno ad alte prestazioni e destinato ad un traffico non nella norma come lo sono le auto da corsa.

Cosa sia andato storto in quelle settimane non lo sapremo mai, ma i primi a notare che qualcosa non va sono i piloti della IndyCar. Il 5 aprile del 2005 è in programma un test in vista della ormai prossima Indy500. E’ la prima occasione in cui le auto assaggeranno il nuovo… asfalto (il mio prof all’università mi perdonerà). Questo test non si svolgerà neanche: gli avvallamenti che si erano formati – e che non dovevano esserci – sono stati levigati, ma così l’asfalto non è uniforme e si alternano tratti abrasivi e tratti lisci, poco sicuri specialmente in curva. La cura che si trova è quella di levigare tutta la pista. Il mese successivo la Indy500 si svolge senza troppe anomalie. Tre settimane dopo arriva la F1 e sappiamo tutti come è andata a finire (potete approfondire quella gara nell’articolo a pagina 46 del terzo numero del nostro magazine).

Da quel momento in poi la F1 ha virtualmente chiuso con Indianapolis. C’è un contratto da rispettare e quindi si continuerà a correre qui fino al 2007, poi non verrà più rinnovato. Nel 2008 arriverà il Motomondiale ad usare il circuito realizzato nell’infield e la data prescelta è di nuovo quella prediletta di fine settembre, ma pure le due ruote lasceranno l’Indiana dopo il 2015. Infine, dal 2014 arriva l’IndyGP ad aprire il mese di maggio per la IndyCar sul catino. Ma – hey! – c’è ancora la Nascar a catalizzare l’attenzione!

La fine del sogno

Come detto, già dalle prove libere ci si accorge che qualcosa non va. Dopo una decina di giri le gomme esplodono e la situazione non sembra migliorare, tant’è che la Nascar è obbligata a chiamare una competition caution dopo appena 10 giri per valutare il degrado delle gomme. Per la cronaca, a partire dalla pole è Jimmie Johnson con Mark Martin al suo fianco. Alla competition caution non ci si arriva neanche, dato che al quarto giro Michael Waltrip perde il controllo della sua vettura in curva 2; Hornish riesce a evitarlo, Paul Menard (vincitore proprio qui tre anni più tardi della sua unica gara in Cup Series nella carriera, almeno finora) no.

La competition caution è rinviata dunque al giro 14, ma proprio in quella tornata Kurt Busch fora in curva 1 e perdendo il controllo travolge Harvick. Due big in lotta per la Chase (come venivano chiamati i playoff) sono praticamente subito fuori gara. E cominciano già le strategie ai box. Ad esempio, Dale Jr. si è fermato alla caution precedente e passa in testa alla gara, mentre i leader provano a cambiare solo due gomme, le esterne, quelle più sollecitate.

Il rischio di Dale Jr. non paga dato che fora al giro 24 mentre la competition caution successiva è programmata per il giro 32; intanto in testa Jeff Gordon ha passato Johnson, ma al giro 29 esplode la gomma posteriore destra di Juan Pablo Montoya, alla ricerca della accoppiata Indy500-Brickyard400 (che sfiorò e buttò via l’anno successivo), lasciando detriti per tutta la pista.

L’ottimismo non regna, Jimmie Johnson riferisce addirittura che vedeva nettamente le gomme di Gordon sulle tele, segno che la situazione è ancora difficile. I tecnici di Goodyear e Nascar sperano che con il passare della gara la pista si gommi e il degrado diminuisca, ma al momento sono costretti a chiamare una competition caution ogni 15 giri (12 sotto green).

A passare al comando momentaneamente è Kyle Busch, ma la sua fase dura poco e la coppia Gordon-Johnson torna in testa. Anche la terza competition caution salta dato che al giro 47 si consuma il dramma del Roush-Fenway: in incidenti separati Edwards fora e a Kenseth esplode una gomma. Via radio Gordon lancia un segnale preoccupante: non importa quanto forte vai o quanto gestisci le gomme, ma queste sempre e comunque arriveranno sulle tele dopo una decina di giri.

La Nascar si trova già davanti a un bivio importante: i set assegnati per la gara – se si proseguisse con questo ritmo – non basterebbero e sarebbe necessario allungare le fasi di green, ma ciò non sembra realizzabile per ora. La Goodyear ha mandato in fretta e furia a Indy il carico “di riserva” destinato per la gara successiva a Pocono, ma queste gomme hanno una mescola più morbida e, nel caso fosse necessario utilizzarle, la competizione verrebbe del tutto falsata.

Quando si riprende, in testa c’è di nuovo Kyle Busch e resiste fino a quando le sue gomme cedono alla distanza e Johnson torna al comando fino alla competition caution. Sì, per la prima volta al giro 65 (su 160) nessuno ha problemi durante uno stint. E torna un po’ di ottimismo. Stavolta a lavorare di strategia è AJ Allmendinger che passa in testa alla gara con la sua Toyota #84 del Red Bull Racing Team. Sì, il team ufficiale di Dieter Mateschitz… ma questa è una storia per un’altra volta.

Non siamo ancora a metà gara e qualche team ha solo 4 set di pneumatici ai box, qualcuno 5, ed è chiaro che non tutti riusciranno ad arrivare fino in fondo con i set assegnati in partenza. Da qui in poi per fortuna la gara non vedrà più incidenti notevoli legati alle gomme e l’unico altro problema è il motore di Brian Vickers che esplode lasciando olio in pista ed obbliga ad una prolungata pulizia della pista, togliendo moltissimi pensieri alla Goodyear.

In testa alla gara si affacciano Edwards, Truex, Sadler, Hamlin, Burton, ovvero coloro che alla competition caution decidono di cambiare solo due gomme anziché quattro, ma quasi sempre Johnson, che sotto la guida di Chad Knaus viaggia invece sempre conservativo, rimonta fino a tornare in testa o in seconda posizione.  

All’ultima competition caution bene o male sono tutti alla pari per la disponibilità di pneumatici ai box (non è necessario usare quelle di Pocono), ma è chiaro che con due gomme si può resistere bene in testa, soprattutto dato che alla ripartenza mancheranno solo sette giri alla fine. Jimmie Johnson per tutta la gara ha cambiato quattro gomme e davanti a sé si trova un momento cruciale. Chad Knaus decide di rischiare e cambiarne solo due per la prima volta nonostante mille dubbi sull’assetto mai testato. Il resto lo fa la sua pit crew, che, con una sosta fantastica, lo rimette in testa alla gara davanti a Carl Edwards, il quale ha sostituito Gordon come co-favorito per la vittoria.

Gli ultimi 7 giri sono un duello fra Johnson e Edwards, ma Carl non riuscirà mai ad avvicinarsi abbastanza alla #48 per tentare il sorpasso. Jimmie Johnson vince così la sua seconda Brickyard400 della carriera (dopo quella del 2006 e prima di quelle del 2009 e 2012). Ma è un successo con l’amaro in bocca. Sì, alla fine la competizione è stata equa fra tutti i piloti, ma di sicuro non è stata una buona pubblicità per la Nascar.

Il declino

I giorni successivi sono quelli dell’individuazione delle cause. Cosa è stato sbagliato? D’altronde la pista è stata riasfaltata tre anni prima e si sono corse altrettante edizioni della Brickyard400 senza problemi. Non si erano registrate neppure temperature anomale e quindi la causa è da ricercare nella terza variabile, ovvero la vettura. Quella gara è stata la prima a Indy con la nuova “Car of Tomorrow” (CoT), la nuova auto sviluppata per i cinque anni precedenti in seguito alla morte di Dale Earnhardt. La CoT ha fatto il suo debutto l’anno precedente, ma solo con un programma parziale (16 gare su 36) e fra queste non c’era Indianapolis. Poi il test della Goodyear è stato effettuato senza troppo impegno e ad aprile erano presenti solo pochissimi piloti, insufficienti per decidere la mescola adatta per la gara di luglio. In condizioni di gara il carico generato e trasferito sulla gomma posteriore destra era notevolmente maggiore rispetto al passato e letteralmente sbriciola la gomma. I marbles prodotti sono talmente fini (sono quasi farina) che vengono spostati verso il muro e non rimangono in traiettoria gommando la pista nel corso del weekend, ma lasciano l’asfalto nelle condizioni originarie e l’opera abrasiva sulle gomme prosegue fino a gara inoltrata. 

Inutile dire che prima della gara del 2009 la Goodyear si premura di effettuare numerosi test a Indy, ma ormai la frittata è stata fatta. Il pubblico (nonostante due piloti di casa come Jeff Gordon e Tony Stewart, sette vittorie in due qui) si disaffeziona dalla gara che un tempo riempiva il catino in ogni ordine di posti, fino ad evidenziare numeri tragici. L’ultimo dato ufficiale è quello del 2013 e riporta solo 80’000 (secondo alcuni 70’000) spettatori, quando al debutto nel 1994 furono 350’000. La crisi, che coinvolge tutti gli ovali della Nascar ma qui è ancora più evidente, è senza fine e pare che per la gara dell’anno scorso sugli spalti ci fossero soltanto 35’000 persone (no, non è un refuso. E’ un decimo rispetto a 20 anni fa).

Per porre rimedio a tutto questo, per mettere un po’ di pepe ad una gara giudicata molto noiosa negli ultimi anni, da questa stagione la Nascar ha deciso di spostare la corsa da metà luglio a inizio settembre, facendola diventare la gara di chiusura della regular season, nella speranza di renderla di nuovo un momento fondamentale del campionato e attrarre di nuovo gli spettatori. Chi vivrà vedrà, ma sembra che servirà ben altro per risollevare una gara sulla pista diventata iconica anche per le Stock Car e non solo per le monoposto.

Confronto tra gli spettatori della Indy500 e della Brickyard400 dal 1994 al 2017. In assenza di dati ufficiali da racing-reference.info, sono state utilizzate le stime fornite da numerosi articoli che hanno trattato il declino della gara Nascar

PS: devo rispondere alla domanda iniziale: “Cosa potrà mai andare storto per Tony George?” Bene, nel 2009 Tony si è dimesso dal ruolo di presidente e amministratore delegato del circuito per dedicarsi solo alla IndyCar (allora IRL). Pare che le dimissioni siano state imposte da alcuni familiari che lo accusavano – in sintesi – di trasferire i guadagni del circuito per coprire i buchi finanziari della IRL. Uscito dalla finestra, Tony rientra dalla porta quando nel 2011 il consiglio di amministrazione viene allargato e ora ricopre praticamente i ruoli che già occupava in precedenza.

Immagine: sportingnews.com

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