Un buco regolamentare e oltre mezzo secolo di discussioni, ma ora la NASCAR ha deciso di chiudere la questione assegnando a Bobby Allison la sua 85esima vittoria in carriera
Sembra una storia incredibile, ma è avvenuta davvero. Fino a questa settimana, delle 2783 gare disputate nella storia della NASCAR Cup Series 2782 avevano un vincitore, l’altra aveva solo un primo classificato. Questo è un viaggio nella NASCAR precedente a quella che è considerata l’era moderna, si torna indietro al 1971 e precisamente a venerdì 6 agosto.
Grand National e Grand American: gli anni della grande crisi
Siamo alla fine degli anni ’60 e in NASCAR all’orizzonte c’è una grande crisi. Sembra l’anticipo della crisi petrolifera del 1973 ma le cause non sono le stesse. Dopo anni di grossi investimenti le case costruttrici stringono la cinghia e decidono di investire meno sul mondo delle stock car per mettere in mostra il proprio prodotto. Meno sponsorizzazioni e meno soldi vogliono dire meno auto, meno auto vuol dire meno tifosi, meno tifosi vuol dire meno incassi per i circuiti, meno incassi vuol dire meno montepremi, meno montepremi vuol dire meno auto. In sintesi, fra 1969 e 1970 si innescò un circolo vizioso che mandò in crisi la NASCAR Cup Series o, come era chiamata ufficialmente allora, NASCAR Grand National Series.
“Big” Bill France per risolvere la questione a breve termine però aveva una soluzione. Nel 1968 la NASCAR aveva creato una nuova categoria, ufficialmente non una Series (ovvero un campionato riconosciuto a livello nazionale come allora solo la Cup Series ed ora anche Xfinity e Truck), bensì una Division ovvero una coppa riconosciuta ma non con lo stesso rango. Il nome originario era Grand Touring e doveva rivaleggiare con l’acerrima nemica Stock Car Division organizzata dalla USAC (dieci anni prima ci fu l’apice della lotta fra NASCAR e USAC con veti reciproci e campionati in competizione) e la Trans-Am.
Dopo due stagioni a vivacchiare nel 1968 e 1969, nel 1970 la categoria fu rinominata Grand American e le fu data definitivamente una sua identità: rispetto alla Cup Series (con i suoi famosi transatlantici), in questo campionato le auto in pista erano più piccole e compatte e con un motore meno potente, le cosiddette pony car, la cui esponente massima in quegli anni erano la Ford Mustang e la Chevrolet Camaro. Ma la crisi della Cup Series (anzi, Grand National) era sempre più importante e quindi Bill France decise per la soluzione estrema: in alcune delle 48 gare della stagione della top class sarebbero state ammesse al via anche le auto della Grand American per rimpinguare i ranghi.
Il punto più basso della storia della NASCAR Cup Series favorì l’accelerazione in questa direzione. In una gara ad Houston, Texas il 23 giugno nel bel mezzo della settimana fra le tappe di Riverside (quindi California) e Greenville (dunque South Carolina) si presentarono appena in 14 vetture Grand National. Al via fra i big dell’epoca Richard Petty, Bobby Allison, James Hylton, Elmo Langley, Cecil Gordon, JD McDuffie, Ed Negre ed altri carneadi. Per la cronaca, vittoria di Bobby Allison con due giri di vantaggio su Hylton, Petty settimo a 21 giri.
Myers Brothers 250: la prima gara combined con le Grad American
Due mesi dopo l’opera di convincimento per le auto della Grand American si fece più concreta e su una pista storica come il Bowman Gray Stadium di Winston-Salem si presentarono in 29 fra National e American per quella che, non si sapeva ancora, sarebbe stata l’ultima gara della Cup Series su questa pista prima del prossimo Busch Clash a febbraio 2025. La NASCAR, infatti, stava per entrare nell’era moderna grazie allo sponsor Winston ed uno dei primi provvedimenti fu il taglio dal calendario di tutti gli short track non ritenuti all’altezza.
“Pensiamo che questa mossa beneficerà lo sport e permetterà ai tifosi di guardare anche auto più piccole contro quelle della Grand National sugli short track. Le classifiche mostrano che le auto della Grand American hanno velocità simile a quelle Grand National sia in qualifica che in gara.” Queste le parole di Lin Kuchler, allora NASCAR Vice President e Competition Director.
Anche in questo caso entry list con tanti big ma anche qualche nome locale non passato alla storia. Fra questi però un nome poi diventato famoso: sulla #96, infatti, un giovane Richard Childress. Bowman Gray è un ovale piccolo da 0.25 miglia, dalle curve strette e in cui non si raggiungono velocità di rilievo. E allora Bobby Allison decide ragionando di iscriversi alla corsa con una Ford Mustang della categoria Grand American, meno potente ma più agile.
La prima fila della corsa è la stessa di Houston, ma a ruoli invertiti: Petty in pole davanti ad Allison. La storica #43 rimane al comando per i primi 112 dei 250 giri in programma, poi il sorpasso dall’esterno e Bobby Allison si porta al comando. Dietro di loro il gruppo si sgrana in fretta: due start&park, Wendell Scott (il primo pilota afroamericano a vincere in NASCAR) con la frizione ko, Hylton con lo sterzo rotto, Childress col motore in fumo, al traguardo arriveranno solo in 13 di cui l’ultimo (il solito JD McDuffie) staccato di 25 tornate.
La battaglia è intensa e i 14000 spettatori apprezzano, ma alla lunga Bobby Allison va e alla fine è lui il vincitore della corsa con 3″ di vantaggio su Richard Petty, un giro su Jim Paschal, tre su Buck Baker, sei su Dave Marcis e sette su Tiny Lund. Per Allison c’è il trofeo del vincitore, i 1000$ di montepremi per il primo classificato, ma poi una doccia gelata da parte della NASCAR. Siccome Bobby ha vinto una gara della NASCAR Grand National Series con una vettura non Grand National, allora a livello statistico il suo successo non conta.
“Su piste come queste abbiamo il fattore decisivo, possiamo entrare ed uscire dalle curve più velocemente.” disse Allison dopo la vittoria. Petty invece commentò contrariato: “Sospettavo che prima o poi una situazione del genere sarebbe successa. Probabilmente vinceranno tutte le gare di questo tipo. Dovrebbero tenere le due categorie separate. La Grand National non dovrebbe essere riempita con Mustang e Camaro.”
In molte categorie c’è un dilemma su come approcciare le gare combined, soprattutto per come assegnare i punti quando le varie serie di mescolano in classifica (classifica completa, auto trasparenti e classifiche di classe separate, altre soluzioni immaginifiche), tuttavia è raro vedere una vettura della classe considerata inferiore prendersi la vittoria assoluta. In questo caso la NASCAR decise per il non assegnare il successo principale né ad Allison, né a Petty, secondo al traguardo con una vettura Grand National. Quindi, dal 6 agosto 1971 e almeno fino a questa settimana, la Myers Brothers 250 disputata al Bowman Gray Stadium non ha avuto un vincitore ufficiale per le statistiche.
La carriera di Allison poi è proseguita con numerosi successi, tre Daytona 500 (1978, 1982 e 1988), il titolo della NASCAR Cup Series del 1983 e 84 vittorie complessive, alla fine una in più di Cale Yarborough e (al momento) Jimmie Johnson e tante quante Darrell Waltrip e questo forse negli anni ha rinfocolato il partito degli appassionati di storia, portando tesi a loro favore, per colmare questo buco nelle statistiche e assegnare quella famosa gara a Bobby Allison e portarlo a quota 85, anche perché questo non avrebbe tolto nulla a Richard Petty che sarebbe rimasto alle sue storiche 200 vittorie.
L’anomalia statistica
Perché allora la non-vittoria di Bobby Allison negli ultimi anni ha sempre fatto rumore fra gli appassionati di NASCAR. La risposta sta nello studio statistico di Seth Eggert, il quale ha rintracciato negli archivi della Cup Series un totale di (circa) 22 gare combined, sei di queste con le Grand American e 16 invece con la Convertible Division, una categoria nata e morta a fine anni ’50 e riservata ad auto scoperte. Sembrano storie d’altri tempi, ma della Convertible Division rimangono tutt’oggi due tracce in Cup Series: i Duel di Daytona (allora riservati uno per le auto coperte e l’altro per quelle senza tettuccio) e la gara primaverile di Darlington, oggi da 400 miglia ma allora una 300 miglia (la Rebel 300) solamente della Convertible Division.
Quale è dunque l’anomalia? Che di queste 22 gare della Grand National, ben otto furono vinte da vetture dell’ “altra categoria”, rispettivamente cinque Convertible e tre Grand American. E sette di queste otto vittorie furono riconosciute dalla NASCAR come vittorie della Grand National, incluse le due di Tiny Lund ad Hickory e North Wilkesboro al volante di una Camaro nelle settimane successive al successo di Allison a Bowman-Gray. Il motivo di questa discordanza non è mai stato chiarito fino in fondo.
E fu proprio Tiny Lund (già vincitore a sorpresa della Daytona 500 nel 1963) il re di questa categoria per i cinque anni in cui fu organizzato un campionato indipendente, conquistando 41 delle 109 gare disputate (non da lui, addirittura in generale) e tre titoli nel 1968, 1970 e 1971; gli altri due andarono a Ken Rush (1969) e Wayne Andrews (1972) quando però ormai la NASCAR era entrata nell’era moderna, gli short track esclusi dal calendario formarono l’embrione di quella che ora la ARCA East Series e in Grand American vennero disputate solo quattro gare. Per la cronaca, Petty ebbe quasi ragione: le sei gare combined disputate nel 1971 finirono in pareggio 3-3 fra National ed American.
Se il nome Grand American finì nei libri di storia, il nome Grand National paradossalmente una decina di anni dopo, dato che la serie principale divenne semplicemente Cup Series, passò alla neonata categoria cadetta diventata nel 1982 il secondo campionato nazionale, quella che nel 1950 era nata come Late Model Sportsman Division, che nel 1984 assunse il nome di (Busch) Grand National Series e che oggi invece conosciamo semplicemente come Xfinity Series anche se un nome ufficiale, escluso quello dello sponsor, manca veramente. Paradossalmente, invece, 50 anni dopo le Camaro e le Mustang tanto osteggiate da Richard Petty sono presenti in Cup Series come rappresentanti ufficiali di Chevrolet e Ford.
Dopo 53 anni, finalmente, l’anomalia è stata risolta e in una cerimonia privata Bobby Allison è stato riconosciuto ufficialmente come vincitore della Myers Brothers 250, la sua 85esima vittoria in carriera.
“Per 53 anni, il Myers Brothers Memorial è stata l’unica corsa organizzata dalla NASCAR a non avere un vincitore ufficiale” ha detto Jim France, presidente e CEO della NASCAR, a destra nella foto “e quindi ora, mentre iniziamo la preparazione per il Busch Clash al Bowman Gray Stadium, l’argomento riguardante cosa è successo il 6 agosto del 1971 è ritornato in primo piano. Abbiamo sentito dunque il dovere di fare la cosa giusta e ufficialmente riconoscere la vittoria di Bobby e di onorarlo come un 85 volte vincitore in NASCAR Cup Series. Siamo grati della vita e dei contributi di Bobby alla NASCAR.” Presente alla “premiazione” anche Mike Helton, lo storico direttore di gara della NASCAR ed ora Senior Advisor.

Il parallelo con la F1
Negli stessi anni anche la Formula 1 stava affrontando una crisi simile a quella della NASCAR in seguito al passaggio ai motori da tre litri. Le entry list scesero quota 20 in molte tappe (al debutto di questo regolamento nel 1966 a Monaco erano presenti solo in 17) e fu così dunque che, prevedendo un ulteriore calo di iscritti, gli organizzatori del GP di Germania al Nürburgring sulla temibile Nordschleife decisero di ammettere al via anche le auto della Formula 2. E questo avvenne anche per due delle tre edizioni successive.
Fu così che nel 1966 in questo Gran Premio ci furono ben 29 auto al via, 18 di F1 e 11 di F2, ma non ci furono problemi statistici. L’anno successivo, invece l’anomalia si presentò anche nelle monoposto. 26 auto iscritte nell’edizione 1967 di cui 17 di F1 e nove di F2. Il problema è una di queste era guidata da un fenomeno belga che già l’anno prima era stato il migliore “degli altri” con le auto più piccole. Il suo nome era ed è Jackie Ickx.
Ickx, tecnicamente alla seconda gara in carriera in F1, al volante di una Matra-Cosworth di F2 chiuse le qualificazioni addirittura al terzo posto, staccato sì di 9.9″ da un Jim Clark in versione leggendaria, ma a solo mezzo secondo da Denny Hulme. Il distacco rifilato sul giro al primo inseguitore (Jackie Oliver) a parità di vettura? 23.9″.
Per regolamento, tuttavia, Ickx dovette partire in coda a tutte le altre auto di F1 e quindi solamente dal 18° posto in griglia anziché in prima fila. Jackie dovette ritirarsi a tre giri dalla fine a causa di un problema ad una sospensione, tuttavia a creare grattacapi ed imbarazzi ci pensò lo stesso Oliver che concluse la corsa di 15 giri sì staccato di 6′ dal vincitore Hulme (Clark ritirato per foratura), però al quinto posto assoluto. E anche qui, come da regolamento, nessuna soddisfazione dato che i punti non gli vennero assegnati bensì dati alla successiva auto di F1 che aveva concluso la gara (Jo Bonnier); stessa sorte anche per Guy Ligier, ottavo assoluto ma sesto fra le F1 dietro alla F2 di Alan Rees, scomparso di recente e più noto come la “ar” che componeva il nome March dietro alla M di Max Mosley.
Dopo un 1968 senza vetture F2 al via (la storia la scrisse Jackie Stewart in condizioni meteo impossibili), queste vetture nel 1969 furono di nuovo richiamate per il GP di Germania. 26 auto in tutto, 14 F1 e 12 F2 anche se al via rimasero solo in otto dopo l’incidente mortale di Gerhard Mitter che comportò il ritiro della squadra BMW.
E anche in questa ultima occasione grande imbarazzo. Il podio tutto regolare con Ickx (stavolta in F1) vincitore staccando di 57.7″ Stewart e di 3’21.6″ Bruce McLaren, quarto invece Graham Hill a 3’58.8″. Poi invece? Quinta una vettura di F2 guidata da Henri Pescarolo a 7’11.0″, tutti gli altri doppiati. Però anche il sesto, settimo, ottavo, nono e decimo al traguardo erano al volante di vetture della F2. E quindi, per assegnare gli ultimi punti validi per il mondiale F1, si dovette scendere addirittura fino all’undicesimo posto di Jo Siffert e al dodicesimo di Jean-Pierre Beltoise, questi due tra l’altro pure ritirati a due giri dalla fine ma ugualmente classificati.
Immagine: Media NASCAR
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