NASCAR | Cindric: “E’ bastato un dettaglio per coronare il mio processo di crescita”

di Gabriele Dri
NascarLiveITA
Pubblicato il 11 Novembre 2020 - 21:30
Tempo di lettura: 12 minuti
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NASCAR | Cindric: “E’ bastato un dettaglio per coronare il mio processo di crescita”

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Seguono le dichiarazioni di Austin Cindric dopo la conquista del titolo 2020 della NASCAR Xfinity Series lo scorso weekend a Phoenix


La cronaca della gara


Austin, in una delle tue interviste a caldo hai parlato di quando hai iniziato con le legend cars e non eri molto bravo e ti sei dovuto impegnare per migliorarti. Questo è il tuo messaggio agli aspiranti piloti là fuori, non è da dove parti ma alla fine quanto cresci. Nel corso degli anni come sei arrivato a questo punto e dove sei migliorato al punto da vincere più gare sugli ovali che sugli stradali?

Sì, ho guidato un sacco di vetture diverse, ho avuto molti compagni di squadra e avversari ed ho potuto osservare molto come la curva di apprendimento di ciascuno è diversa. La mia ha richiesto molto lavoro, preparazione, studio, autocritica, ma per me è soprattutto la prima quella in cui ho dovuto metterci di più ed ogni pilota ha diverse cose su cui deve migliorare.

Quando sono partito con le Bandoleros le legend cars non ero il ragazzo che aveva già corso con i kart per tre o quattro anni. E per me è stato difficile e poi gareggiare quando non sei veloce come vorresti essere lo è ancora di più. E’ una sfida difficile per un ragazzo. Sono stato fortunato ad avere dei genitori e le persone giuste attorno a me. Magari non sono stato sull’auto più veloce ogni volta da giovane, però ho avuto chi mi ha insegnato come si deve lavorare.

Ad esempio uno come Steven Abbey [oggi ingegnere al Team Penske], lui è stato come un fratello maggiore per me. Abbiamo girato il paese correndo con le legends e mi ha insegnato ad essere duro, abituandomi a non dover ricevere nulla da nessuno. Ho capito subito cosa mi mancava e questo è perché sono poi cresciuto così in fretta. Nel complesso è successo tutto molto velocemente nella mia carriera e probabilmente se 10 anni fa mi avessi detto che a 22 anni avrei vinto delle gare per Roger Penske ti avrei detto gentilmente che eri pazzo. Sono orgoglioso di essere qua e del lavoro che ho fatto, ma c’è ancora molto da fare.

Roger ha detto che durante la pandemia, durante la sospensione della stagione, ha pensato di chiudere la squadra della Xfinity Series. Sapevi questo e se sì cosa hai pensato allora?

Sì, sapevo che era una possibilità, ma era qualcosa fuori dal mio controllo. Ovviamente qualcuno come Roger Penske quando ti dice che correrai per tutta la stagione farà di tutto per mantenere la parola data. Ma quello non è successo e da quel momento in poi abbiamo ottenuto molti successi e, non so se sia stato un catalizzatore, ma le motivazioni sono cresciute molto al punto da poter annunciare all’inizio dei playoff che saremmo tornati per un altro anno. Questa penso sia una grande cosa e abbia caricato un sacco di persone nel team perché ha fatto capire loro che il lavoro e la preparazione portano a dei risultati, sia fra di noi sia come collaborazioni esterne.

So che ne hai già parlato prima, ma questo titolo cambia la percezione degli altri nei tuoi confronti, specialmente per il tuo cognome?

E’ la prima volta che ci penso questa settimana, quindi non penso che sia un mio cruccio, ma per quanto riguarda la percezione mia e degli altri ovviamente quest’anno abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare. Abbiamo portato a casa sei vittorie ed entrambi i titoli, quindi è tutto quello che volevamo. Ma il sostegno che ho ricevuto quest’anno è stato sorprendente, una novità per me.

Quando ho iniziato a correre a livello nazionale ho fatto un sacco di errori e molte persone mi hanno detto tutte le cose in cui sbagliavo. Quest’anno invece tutti mi hanno sostenuto ed è stata una bella esperienza. Non sono uno di quelli che legge i commenti o le reazioni sui social, ma seguo invece chi mi segue fedelmente. E questo è veramente bello dato quello che ho dovuto affrontare.

Sappiamo che siete amici, ma parliamo del tuo rapporto con Chase [Briscoe] e della competitività con lui. Lo abbiamo visto congratularsi con te dopo i tuoi festeggiamenti in pista. Come è stata la conversazione fra voi due?

Sì, conosco Chase e – come lo sono i compagni di squadra – è una delle persone più competitive che conosca. Lui è davvero tanto concentrato e determinato come pilota e so che è deluso per non aver conquistato il titolo oggi e il fatto di essere venuto subito a congratularsi con noi dimostra l’amicizia ed il rapporto che abbiamo costruito durante gli ultimi anni, specialmente in questo anno in cui siamo stati vicini in pista ed abbiamo lottato per il campionato per tutto l’anno.

Unito a questo c’è poi tutto il lavoro che abbiamo fatto in tandem sugli superspeedway. Non siamo tecnicamente compagni di squadra ma abbiamo delle riunioni, ci chiamiamo ogni giorno prima di queste gare e discutiamo di varie cose su come possiamo migliorare. Tutto questo è stato messo insieme dalla Ford. Queste persone sono state fondamentali per tenerci uniti, ora lui sale di categoria e il prossimo anno dovrà guidare una vettura importante come la #14 al posto di uno come Bowyer e sarò felice di tifare per lui. Sperando tuttavia che non batta troppe auto del Team Penske pur facendo meglio degli altri. Sarà bello vederlo crescere e migliorarsi prima che lo raggiunga nel 2022.

Una volta che hai passato Allgaier non eri tenuto a vincere la gara. Cosa vuol dire invece averlo fatto, conquistando insieme corsa e campionato?

Sì, senza dubbio. In quella situazione ovviamente ho fatto uno slide job per provare a vincere la gara. Devo levarmi il cappello davanti a Noah [Gragson]. La sua situazione in quel momento non era semplice, fra me e la #7 [Allgaier, compagno di squadra di Noah] quando siamo usciti da curva4 3-wide non era semplice dato che avevamo tutti le stesse gomme. Penso abbia fatto tutto giusto e lo ringrazio per averlo fatto. Ma sì, vincere anche la gara è davvero importante.

Abbiamo vinto sugli short track, sugli stradali e gli ovali da 1.5 miglia. Avrei voluto farlo anche sugli superspeedway quest’anno, ma avrò l’occasione il prossimo anno. La versatilità del calendario della Nascar è qualcosa che amo e questa particolarità si può vedere anche nella mia carriera, sì c’è un po’ di orgoglio. Ovviamente non volevo buttare il via il titolo, quindi all’ultima curva non ho dato il 100% ma il 99% sì, il giusto per essere sicuro di mettere il sigillo finale.

Per un pilota che fino a quest’anno non aveva ancora vinto sugli ovali, vincere il campionato proprio su un ovale come è stato? Cosa ti ha fatto fare il salto di livello?

Non sono sicuro su cosa sia cambiato dall’inizio dell’anno. E’ stato più un processo in divenire. La prima volta che ho corso qui a Phoenix in Nascar è stato nel 2015 quando ho sostituito Austin Theriault nella Truck Series, la mia seconda gara nella categoria. Non avevo mai visto questo ovale in vita mia prima di allora, ho sofferto nelle libere, non avevo idea di quello che stavo facendo.

Ho cominciato a capirci qualcosa, poi in griglia di partenza ho parlato con Max Papis, uno che ha un background simile al mio, mi ha preso da parte e mi ha detto: “Guarda, ti ho guardato nelle libere e queste vetture non fanno quello che vorresti.” E’ stato illuminante e fondamentale capire così presto come devo guidare queste auto e approcciarle in un modo diverso, facendo anche l’opposto di quello che si dovrebbe in teoria.

Per me è stato un percorso in progressione, che sia stato ottenere i tempi che volevo o capire cosa dovevo chiedere dalla vettura durante la gara. E per questo sono orgoglioso del rapporto che ho instaurato con Brian Wilson [il crew chief]. Ci fidiamo come dei fratelli. E’ divertente anche perché quando siamo venuti qui in primavera pensavo che eravamo molto veloci sulla traiettoria interna e che avevamo una chance di vincere e battere Kyle Busch, poi però la traiettoria migliore è diventata quella esterna e non eravamo più così veloci.

Avevo diversi problemi e la necessità di risolverli. E allora i ragazzi della squadra si sono messi al lavoro ed hanno fatto delle ottime cose. Abbiamo abbassato leggermente la pressione delle gomme ed è tutto. Questo è quanto eravamo vicini alla soluzione. Sono orgoglioso di tutto questo impegno che è stato profuso e penso che sia un altro mattone in questa mia progressione su certi tipi di pista e di vettura.

Tu, Roger Penske e tuo padre [Tim Cindric, presidente del Team Penske] avete usato molto il termine crescita nel dopo gara. Pensando al prossimo anno dove potresti crescere ancora in vista del passaggio in Cup Series?

Penso sia una buona domanda. Per me sono i piccoli dettagli che i piloti della Cup Series mettono in pratica molto ma molto bene, soprattutto capendo come la pista si evolverà durante la gara e dunque prevedendo le modifiche di cui avrà bisogno la vettura per essere versatile. Il prossimo anno non sarà semplice, vincere delle gare non lo è mai. Penso che gli obiettivi saranno gli stessi sia nella regular season che nei playoff. Sulla carta non c’è molto altro da ottenere, ma per me c’è ancora molto da imparare.

Spero di trovare il modo di poter stare la domenica sulla terrazza degli spotter per la gara della Cup Series e osservare tutto da lassù. L’ho fatto qui in primavera ed ho notato un paio di dati interessanti che non so se mi hanno aiutato o no alla fine, però mi hanno dato modo di rifletterci su per prepararmi. Penso che tutte queste cose messe insieme mi aiuteranno in vista del 2022 quando correrò con il Wood Brothers e ovviamente il mio obiettivo è migliorarmi di settimana in settimana.

Tuo papà prima ci ha detto di quando, penso tu avessi 10 anni, volevi diventare un pilota, e non hai ricevuto molto sostegno dai tuoi genitori dopo avergli detto questo. Cosa ti ha fatto invece andare avanti?

Sai, quando sei un bambino e sei alla Indy500 a tifare e festeggiare con Helio [Castroneves] o Gil [De Ferran] oppure andare liberamente a Mid-Ohio ed essere in grado di camminarci oppure girare in bici, sono esperienze del genere che mi hanno appassionato alle corse. Penso di aver preso i miei genitori completamente di sorpresa quando gliel’ho detto e credo di aver ricevuto un feedback negativo, al punto di averci quasi rinunciato.

Poi un giorno mio papà è tornato dal lavoro, credo fosse un lunedì o martedì sera, e mi ha portato al Charlotte Motor Speedway. Mi ha fatto sedere sulla Bandolero di qualcuno, credo Matt Wallace [figlio di Mike Wallace, dunque nipote di Kenny e soprattutto Rusty che è stato una leggenda del Team Penske] e poi ho visto la gara in cui c’erano dei bambini della mia stessa età che facevano quello che desideravo pure io. Da lì questo sogno si è trasformato in un regalo di compleanno. Ho fatto il mio primo test con Ken Regan [il papà di David, pilota in Cup Series] e per farla breve lui mi ha fatto uno scherzo ed è stato un disastro perché non ci avevo capito nulla. Poi per fortuna da lì in poi è andata meglio.

Puoi confermarci che una delle ragioni per cui tuo papà ti ha scoraggiato era il fatto che eri troppo alto per fare il pilota?

Tante persone che mi hanno detto che sono troppo alto [1.93 m], ma non c’è stata auto in cui non sono riuscito ad adattarmi. Qualche volta magari non sono stato comodo, qualcuna mi ha fatto male, altre invece vanno bene. In Nascar trovo sicuramente più spazio rispetto a tutte le altre categorie in cui ho corso quindi questa decisamente è come casa mia. Poi penso che l’altezza eccessiva nelle corse sia un mito negativo. Quando hai gente come Michael Waltrip che si infila nelle auto dei primi anni 2000 oppure Justin Wilson in IndyCar come riferimento penso siano stati i miei esempi che citavo a chi mi diceva qualcosa.

C’è il fatto di vincere un campionato ed il fatto di vincerne uno alla corte di Roger Penske. Cosa significa questo fatto aggiuntivo per te?

Sì, è una questione diversa. Quando corri per Roger Penske ovviamente sei ad essere di successo perché hai tutte le risorse a disposizione per vincere dei titoli. Brian ed io dobbiamo andare al lavoro consapevoli di questo ed essere in grado di provarlo. Penso che sia un sollievo il fatto di averlo potuto dimostrare, ma allo stesso vincere per Roger, qualcuno che non solo ha investito molto nella mia carriera ma anche in molti altri piloti, è un modo di rendere indietro quell’investimento.

Riguardando anche a questa stagione, Josef [Newgarden] è andato vicino al vincere la IndyCar, Scotty [McLaughlin, ospite d’onore in victory lane] ha conquistato le Supercars in Australia ed ovviamente i ragazzi della Cup Series hanno una chance domenica e poi quelli dell’IMSA il prossimo [questo] weekend a Sebring. In ogni categoria in cui siamo impegnati abbiamo avuto una chance di conquistare il titolo e il fatto che noi lo abbiamo fatto è molto bello.

Dentro la sede c’è un sacco di cultura sportiva e il fatto di non poterci andare [a causa delle limitazioni per la pandemia] è difficile. Non ci vado da marzo e siccome sono uno che ci va ogni giorno anche solo il non poter dire “ciao” a chi incontro è stato qualcosa di complicato per me quest’anno. Spero che potremo festeggiare questo campionato nella maniera giusta.

Hai twittato “gli sforzi diventano risultati” [il mantra di Roger Penske] quando hai parlato dei tuoi piani per il futuro. Usando la stessa mentalità, cosa ti ha portato a concludere con il titolo una stagione così vincente di suo?

Sinceramente non mi vanto del lavoro che ho fatto, ma sento che proprio in questa stagione ho trascurato davvero poco la preparazione. Non avendo a disposizione le prove libere e nemmeno tanti dati, video, immagini su cui basarsi, la preparazione diventa ancora più critica e come team direi che abbiamo dato il massimo prima di ogni weekend e sono orgoglioso di questo.

Tutta questa preparazione è la base per delle future opportunità [la promozione in Cup Series per il 2022] ed ora anche due titoli. Questo vuol dire tanto e mi motiva per andare avanti ancora lungo questo percorso. Perché è questa mentalità che mi ha portato qui dove sono ora.

Fonte: nascarmedia.com

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