Motomondiale, nuovo format e warm-up ridotto: quando i danni peggiori non li fa la Sprint

BlogParola di Corsaro
Tempo di lettura: 9 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
4 Aprile 2023 - 21:30

Nonostante lo scetticismo iniziale e ancora latente, la Sprint Race MotoGP è sembrata avere più potenziale di quella F1. Tuttavia, il format scelto per la domenica crea i maggiori controsensi col taglio dei warm-up.


Sono passati solo due dei ventuno weekend previsti per il Motomondiale 2023. La stagione più lunga nella storia del Circus delle due ruote ha patito un inizio non proprio esaltante, soprattutto in termini di defezioni coi numerosi infortuni occorsi in ognuna delle tre categorie canoniche. Infortuni che hanno messo fuori gioco anche protagonisti di primo livello, quali Bastianini e Marc Márquez in MotoGP, Guevara ed Ogura in Moto2 e Kelso in Moto3.

L’annata ha visto anche l’introduzione di una serie di novità a cui ci si dovrà abituare in fretta, su tutte la creazione della Sprint Race per la classe regina. Nonostante le dichiarazioni di Carmelo Ezpeleta di una creazione ex novo, la manche corta ha preso a piene mani da esempi similari già introdotti in categorie vicine alla MotoGP e non, come la collocazione nel programma (molto similare a quella della Sprint Qualifying per la F1) o il sistema di punteggio (identico a quello della Superpole Race per la SBK, il 12-9-7-6-5-4-3-2-1).

L’inserimento di questa gara del 50% della durata del Gran Premio ha comportato dei cambiamenti anche nei palinsesti, con l’eliminazione di una prova libera al venerdì e la necessità per i piloti della MotoGP di lottare per i dieci posti in Q2 sin dal venerdì pomeriggio.

Essendo apparsa per due soli weekend penso sia difficile tracciare un quadro già completo di quest’introduzione. Tuttavia, l’impressione iniziale fornita dalla Sprint marchiata MotoGP sembrerebbe esser stata migliore di quanto ci si potesse aspettare: in termini di battaglie e spettacolo genuino le due mini-gare di Portimão e Termas de Rio Hondo hanno saputo intrattenere (che alla fine è l’obiettivo principale di una corsa così), con battaglie tirate all’ultimo giro sia in Portogallo che in Argentina, anche per la vittoria.

La Sprint, per quanto non ce ne fosse bisogno visti gli illustri esempi di alcuni GP del 2022 (come Silverstone o Phillip Island) ha dato anche ulteriore prova di come la storiella della mancanza dei sorpassi in top class sia solo una panzana da parte di chi non guarda il prodotto o non sa cosa sta guardando. La rimonta di Brad Binder dal 15° posto in griglia sabato scorso fornisce la prova del nove perfetta per questo ragionamento.

Persino in rapporto alla qualifica è stata scelta la soluzione più corretta: essendo divenuto essenziale qualificarsi bene con due manche da correre, già le P2 del venerdì per la selezione dei dieci posti della Q2 sono diventate una sorta di pre-qualifica di un’ora, nella quale a farla da padrone, specie negli ultimi venti minuti, è l’attacco al tempo. Per gli estimatori delle vecchie QP a lunga durata (tra cui il sottoscritto), ciò è un grosso punto a favore.

Però, non è tutto oro quel che luccica: la Sprint presenta dei difetti intrinsechi nel suo essere, in sostanza, una gara in più, seppur corta. Una partenza aggiuntiva al sabato equivale anche a maggiori rischi corsi dai piloti in ogni fine settimana, con un incidente che può mettere fuori gioco un protagonista ancor prima del GP effettivo (proprio come successo a Bastianini in Portogallo). Quest’aspetto della sicurezza, comunque problematico anche nelle gare lunghe (vedasi lo scontro tra Márquez ed Oliveira, sempre in Algarve), va a braccetto con una direzione gara che non riesce a tenere il passo nel determinare la gravità di un incidente in molti casi e, soprattutto, con un regolamento scritto coi piedi e che, visto il numero di possibili interpretazioni, pare più un Emmental per la quantità di buchi che presenta.

Inutile, inoltre, nascondere il problema di stampo tecnico che queste moto hanno. Nonostante i sorpassi si vedano e siano tutt’ora possibili e nonostante ciò non sia legato strettamente alla Sprint, sta diventando sempre più impellente il bisogno di limitare le prestazioni di questi bolidi divenuti oramai più simili ad astronavi, per via dello sforzo sul piano aerodinamico compiuto.

Le prime voci della lista da sistemare sono i freni (oramai troppo potenti, gli spazi di frenata si sono drasticamente ridotti) e le appendici anteriori, fragilissime al primo contatto e spesso pericolose quando si staccano a piena velocità (come accaduto al baffo dell’Aprilia di Maverick Viñales in Argentina). Con gli attuali prototipi un sorpasso in staccata sta diventando sempre più difficile, cosa che nelle gare corte finisce spesso per comportare qualche manovra un po’ fuori dalle righe. Anche reintrodurre la centralina libera per permettere la riapertura di un fronte tecnico su cui lavorare non sarebbe un’idea malvagia.

In più, la creazione della Sprint comporta, seppur indirettamente, una limitazione dell’importanza del GP della domenica, che concettualmente diventa più una “seconda occasione” nel quale rifarsi da una possibile manche corta andata male anziché il punto focale del fine settimana stesso, quello in cui è imperativo massimizzare. Questi limiti elencati sono di difficile risoluzione poiché, come detto, intrinsechi nel concetto stesso di una gara breve in più.

In soldoni, la Sprint è un’aggiunta che può avere delle potenzialità e che può suscitare genuino interesse, ben più della controparte F1 che appare più come un allungamento di un brodo già parecchio insipido; presenta dei difetti, anche piuttosto importanti, ma il giudizio, anche se in sospeso, al momento può essere definito positivo.

Ciò che assolutamente non lo è, invece, è quanto fatto nel programma della domenica mattina. La seconda grossa novità nel format è stata, infatti, l’eliminazione totale dei warm-up Moto2 e Moto3 e la riduzione del 50% di quello MotoGP per fare posto alla Riders’ Parade, ovvero un giro di pista dei piloti a bordo di un bus per salutare da vicino i fan, a cui poi fa seguito una breve sessione di autografi e contatto col pubblico.

Al contrario di quanto detto in precedenza in merito alla gara Sprint, un giudizio già molto schietto su quest’aggiunta lo si può dare. L’intento è palese: dare maggiore tempo ravvicinato tra fan e piloti, in modo da instaurare un rapporto un po’ più unito tra le due parti. Andando un po’ più a fondo coi significati, il tentativo (disperato) di creare il nuovo Valentino Rossi, ovvero una figura magnetica nel mondo del motorsport a due ruote, appare ovvio, senza che però si capisca come una figura come “The Doctor” sia impossibile da replicare. Gli attuali Bagnaia, Bastianini, Quartararo, Bezzecchi e compagnia devono puntare ad essere loro stessi, non le brutte copie di qualcun altro.

Per quanto sia comunque apprezzabile il tentativo di Dorna di avvicinare i piloti ai tifosi, ciò che assolutamente merita la bocciatura è il fatto che questa scelta vada a limitare il tempo in pista utile per piloti e squadre, soprattutto quelli delle categorie propedeutiche. In Moto2 e Moto3 adesso non hanno più un turno utile, anche breve, per poter sistemare eventuali guasti o danni alle moto causati fino al sabato (e ricordiamo, queste due classi non hanno il muletto), ridefinire alcuni dettagli o compiere delle modifiche all’ultimo minuto nella ricerca di un miglioramento inaspettato.

Anche il warm-up della MotoGP ne è uscito fortemente penalizzato: in soli dieci minuti, come dichiarato dallo stesso Pecco Bagnaia nel primo weekend di gara dell’anno, è divenuto praticamente impossibile studiare qualche nuova soluzione o assetto e i dieci minuti disponibili sono oramai utili solo per verificare il funzionamento di tutti i componenti.

Per molti ciò potrebbe essere considerato un prezzo onesto da pagare per accontentare il pubblico, ma è difficile ignorare il fatto che le tribune di Portimão e di Termas fossero mezze vuote quando il bus che trasportava i piloti completava il proprio giro mattutino; almeno in TV, si è trattata di una scena piuttosto triste da vedere, anche se sono sicuro che possa esserci chi l’abbia apprezzato dal vivo.

Anche su questo punto, però, voglio aggiungere una riflessione personale: con ciò che costa un biglietto, anche di fascia bassa, per la giornata di domenica (al Mugello si parla di 70-80 euro come minimo per un adulto nella zona Prato), ciò che vorrei vedere non è un autobus che va a zonzo per venti minuti scarsi, pur con sopra dei piloti, quanto più gli stessi a bordo dei loro bolidi in pista. Opinione mia, ma penso di non essere l’unico a pensarla così.

Per “dare di più” ai fan, si è finiti per dare loro meno, e persino le gare della domenica ne possono risentire. Difatti, è stato proprio il GP d’Argentina a fornire l’assist perfetto per questa bloggata e questo punto: l’assenza di un turno sul bagnato (che sarebbe potuto essere proprio il warm-up mattutino, però tolto) ha fatto sì che le gare di Moto2 e Moto3 fossero accorciate a due terzi della distanza originale, dato che il meteo argentino non aveva permesso ai piloti delle serie cadette di girare sotto la pioggia venerdì o sabato.

E’ qui che il cortocircuito tra la ricerca pacchiana di un contatto col pubblico, la forzata spettacolarizzazione e l’aspetto sportivo avviene. Ciò che fa ancora più rabbia è il pensiero che, con qualche piccolo accorgimento, l’introduzione della Riders’ Parade potesse essere vincente pur mantenendo lo stesso livello di valore sportivo: sarebbe bastato compierlo in un’altra giornata (magari il venerdì) oppure mantenere il solo contatto tra tifosi e fan nel paddock, proprio mentre Moto2 e Moto3 stavano in pista alle prese coi propri turni di riscaldamento. Una soluzione che avrebbe accontentato tutti, inspiegabilmente ignorata.

Non è un segreto che la MotoGP, condotta da Dorna, stia cercando di seguire l’esempio della F1 e di Liberty Media, ma non credo che potesse essere scelto un riferimento più errato di così. Quel che doveva essere il pinnacolo del motorsport a quattro ruote si è trasformato, soprattutto a Melbourne, in una baracconata di proporzioni abnormi, con l’uso improprio di bandiere rosse, ripartenze da fermi ed una serie di decisioni da parte dei giudici di gara fortemente discutibili.

Ciò che mette paura è quanto le due ruote possano ancora di attingere dalle quattro pur d’inseguire un successo ed un pubblico che, semplicemente, non è lo stesso: in già molti dei weekend dell’anno la concomitanza tra le due costringerà uno spettatore a sbilanciarsi su ciò che vedrà e dubito che quest’approccio della MotoGP possa funzionare. Una mentalità che denota anche una poca identità propria, nel tentativo di seguire forzatamente la strada (sbagliata) percorsa già da qualcun altro, principalmente per cercare di fare cassa.

Forse un cambio di leadership ai ranghi potrebbe essere utile, o forse potrebbe essere distruttivo tanto quanto il passaggio dalla gestione Ecclestone a quella Liberty. Il futuro, in buona sostanza, non è roseo, almeno per chi questo sport lo guarda vedendolo rivoltato come un calzino.

Fonte immagini: flickr.com, aprilia.com

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